È strano dopo tutto questo tempo poter scrivere di nuovo di viaggi lontani. In due anni la pandemia ha cambiato le nostre priorità e le nostre prospettive. Pensare di attraversare l’oceano poi….
Per fortuna le cose stanno tornando lentamente a una situazione di normalità, anche se a questo termine bisogna dare un significato ben diverso dal passato. La recentissima abolizione dell’obbligo del tampone per salire su un aereo con destinazione Stati Uniti è stato il punto di svolta di questo progresso verso la normalità.

Inevitabile per noi golfisti, quindi, ricominciare a sognare una delle infinite destinazioni oltreoceano, quelle che guardiamo sempre con occhi increduli in TV durante le gare del PGA: purtroppo molte sono proprio irraggiungibili perché campi privati come Augusta o Hyannisport Club (quello dove giocava John Kennedy nel Massachusetts, per capirsi), altri sono troppo costosi (Pebble Beach con green fee mai sotto i 500 dollari), altri ancora sembrano economicamente accettabili ma poi obbligano a pernottamenti nelle strutture del campo, all’uso di caddie e forecaddie, con un conto finale al quale non siamo abituati.

Ma è anche vero che gli Stati Uniti sono un paese dove un bel campo a prezzi accettabilissimi lo trovi, e sempre disegnato da grandi progettisti: Trent Jones, Jack Nicklaus, Pete Dye, Davis Love III, Tom Fazio, Gary Player.

Molto spesso sono campi pubblici, il che non è sinonimo né di basso prezzo da una parte, né di scarsa qualità e manutenzione dall’altra. Ma di facile accessibilità, sì.

Molti ormai conoscono la zona di Myrtle Beach, nel South Carolina, perché lì si svolge da 39 anni il World Am, una specie di campionato mondiale ad handicap per dilettanti, una kermesse di cinque giorni dove partecipano 4-5.000 giocatori, con quattro partite giocate con formula stroke play, ogni giorno su un campo diverso, ed una finale all’ultimo giorno a cui tutti aspirano di partecipare, vincendo la propria eliminatoria.

Mi risulta anche che in tutti questi anni gli italiani che ce l’hanno fatta ad accedere alla finale si contano sulle dita di una mano, mentre molti, come chi vi scrive, ci prova stoicamente quasi ogni anno, ma finora senza successo. 

Atlantic Dunes, disegnato da Davis Love III, si affaccia sull’Atlantico ed è caratterizzato da grosse dune di fronte al mare

Ma il South Carolina non ha solo Myrtle Beach come destinazione per golfisti, pur avendo oltre 80 percorsi nel raggio di poche miglia. La costa atlantica, percorsa verso sud, è una serie interminabile di campi: Murrells Inlet, Pawleys Plantation, Mount Pleasant fino al famoso Kiawah Island dove, anche qui, i campi sono numerosi. Il più famoso è certamente l’Ocean Course, dove si svolse la leggendaria “War on the Shore” Ryder Cup del 1991 e il PGA Championship dello scorso anno vinto da Phil Mickelson.

Il costo dei green fee in tutto il South Carolina è molto variabile: si parte dai 30 dollari dei campi meno celebrati e nelle ore marginali, agli oltre 300, sempre con il golf car compreso e spesso con uno spuntino e un paio di birre al termine del giro.

Ma è andando ancora più a sud, quasi al confine con la Georgia che si trovano le sorprese più belle: sto parlando di Hilton Head Island. È una cittadina nata nei primi anni ’60 ed oggi conta circa 40.000 abitanti. È un insediamento turistico creato dal nulla, dove il golf svolge un ruolo fondamentale, anche se, come altre volte, gli americani sono riusciti a inventare dal nulla una località turistica grazie ad un mare trasparente e spiagge molto sabbiose (contrariamente al resto del South Carolina dove l’acqua è oceanica, e quindi poco praticabile per la balneazione).

Loro definiscono la destinazione “raffinata”, noi la vediamo con occhi più disincantati e la giudichiamo di buon livello. Dove sono formidabili gli americani (ma questo è tipico del business turistico di oltreoceano) è l’organizzazione: dalla gita in bicicletta elettrica su percorsi nella foresta paludosa alla crociera per vedere i delfini, dal giro sulla barca dei pirati alle avventure in moto d’acqua o in kayak, dal tour guidato dell’isola di Daufuskie a quello commemorativo dei veterani al Segway Shelter Cove. Tutto è fatto in modo molto professionale, senza improvvisazione e con l’obiettivo di soddisfare il visitatore. Ovviamente le catene alberghiere più famose sono tutte presenti così come numerosi ristoranti, molti anche piuttosto raffinati (non manca il ristorante italiano che propone i soliti “fetucini Alfredo” declinati nell’ennesima versione a stelle e strisce) e dove i prezzi sono piuttosto alti, comparati al resto del South Carolina. Cosa c’entra tutto questo con il golf, mi chiederete. A parte la logica commerciale di diversificare l’offerta per penetrare più fasce di mercato, bisogna entrare nella mentalità del golfista americano che, quando si sposta da queste parti per sfuggire al freddo invernale degli stati del nord, lo fa con l’intera famiglia e si ferma piuttosto a lungo. E questo vuole dire che bisogna pensare a intrattenere anche chi non è fanatico del nostro sport o non lo pratica proprio: e così hanno creato questo luogo che nel tempo si è trasformato da una cosa artefatta a una realtà ben oliata e piacevole dove basta tirare fuori la carta di credito. 

Ma veniamo al golf, l’elemento che ha fatto nascere questa località: il primo campo fu The Sea Pines Resort Atlantic Dunes, disegnato da Denis Love nel 1964 ed è onorata del titolo di primo campo da golf di Hilton Head Island. Successivamente nacquero il Sea Marsh Course (1964) e il celeberrimo Harbour Town Golf Links (1969), campo dove si svolge ogni anno l’RBC Heritage, del PGA Tour, certamente il più famoso in zona, anche se io ho trovato più bello il Sea Pines (ora Atlantic Dunes). Dell’Harbour Town rimangono impressi lo slope (148), la raccomandazione di utilizzare i tee avanzati e l’obbligo del caddie o o del fore caddie che, al di là del costo che può variare dai 40 ai 150 dollari a testa, è assai utile anche nel ruolo di intrattenitore sulle caratteristiche del campo e per gli aneddoti su campioni e peones. Il campo ovviamente è uno spettacolo di natura, quasi tutta ritagliato nella foresta nell’immediato entroterra, con sole due buche che si affacciano sul mare, verso la baia: il green della 17 e la strepitosa buca 18, quella che ha il celebre faro dipinto a strisce bianco-rosse sullo sfondo. Queste due buche sono fortemente influenzate dal vento: arrivarci nel pomeriggio vuole dire giocare un’altra partita. Molto affascinante e un bel posto per fare foto è il grande green della 13, tutto circondato da uno scenico bunker e separato dal green stesso da una protezione di tavole di legno con un dislivello di circa un metro per tutta la larghezza: una difficoltà più psicologica che altro, vista la qualità della sabbia. Poi vi segnalo il par 3 della 14: sullo scoring card è indicato come difficoltà 18. In effetti, giocata dai tee box avanzati, è facile portare a casa un par. Ma il forecaddie ci ha detto di andare a vedere il tee box da dove giocano l’RBC Heritage. Lì si capisce perché è classificato il par 3 più difficile del tour americano: un albero copre oltre metà del green, lasciando alla vista solo la parte più stretta, che è pure tagliata in diagonale dal ruscello dell’area di penalità! Il prezzo di questo splendore? Per un tee time a metà luglio ci hanno chiesto 335 USD più il forecaddie obbligatorio.

Harbour Town Golf Links, campo nato nel 1969 dove si svolge ogni anno l’RBC Heritage, una delle tappe storiche del PGA Tour.

Gli altri campi di questa organizzazione sono altrettanto straordinari. Ad esempio l’Atlantic Dunes, disegnato da Davis Love III (ricostruzione completa dell’originale The Sea Pines), si affaccia sull’oceano ed è caratterizzata dalle dune di fronte all’oceano, molte naturali, altre aggiunte durante la ristrutturazione. Inoltre, sono state piantate migliaia di piante indigene per caratterizzare il campo, rendendolo più simile agli altri due percorsi della società. Il lavoro di armonizzazione è stato straordinario al punto che non ci si avvede di questo profondo cambio di carattere del campo rispetto all’originale. Anche qui lo slope di questo par 72 è notevole (143). E infine l’Heron Point, in pratica il già citato Sea Marsh ridisegnato da Pete Dye nel 2014, è indicato come il più “friendly” del gruppo Sea Pines Resort per il giocatore medio, ma con quattro buche difese da laghi d’acqua dall’aspetto non troppo … friendly. I costi su questi due percorsi sono un pelo più bassi di quello più titolato, e non c’è l’obbligo del forecaddie.

Ma ci sono molti altri campi su quest’isola, certamente meno celebri, ma tutti spettacolari e che valgono sicuramente una visita. La Palmetto Dunes offre diversi campi, tutti pubblici, tutti bellissimi e a prezzi assai ragionevoli. Sopra tutti metterei uno dei campi che ho visitato: il Robert Trent Jones Oceanfront Course, dove l’unico consiglio che do è quello di giocare rilassati: il paesaggio è talmente bello, con una vista sull’oceano incomparabile che quasi conviene non pensare allo score. Ma non dimenticherei l’Arthur Hills Course, che richiede un gioco molto preciso, o il George Fazio Course, entrato di recente nei 100 migliori campi d’America e che comincia con un lungo par 4 da 432 yard e termina con la 18 lunga addirittura 462 yard. Ma sono tutti e tre campi adatti a tutti i livelli di gioco. L’elenco delle organizzazioni che propongono campi da golf a Hilton Head Island è lungo: ad esempio l’Heritage Golf Collection che propone sei percorsi o lo Shipyard. Complessivamente i percorsi sono più di 25, suddivisi in una quindicina di percorsi pubblici e gli altri privati: buona parte sono sull’isola, gli altri sono nell’immediata terraferma. Quello che è interessante è che, salvo i tre del gruppo The Sea Pines, gli altri hanno prezzi assolutamente abbordabili: per la stessa data del 12 luglio, il Bear Creek chiede 89 dollari, il Barony 125, l’Oyster Reef solamente 115. E vi assicuro che sono tutti campi splendidi. 

Palmetto Dunes

E per finire vi do qualche suggerimento per organizzare al meglio il vostro viaggio. Innanzi tutto, fermatevi qualche giorno perché la località, turisticamente vivace e piena di eventi, vi farà passare dei bei momenti anche fuori dal golf. Per il pernottamento potete scegliere un albergo: ci sono tutte le catene più importanti e camere per tutte le tasche. Ma, se siete in famiglia, sono molto diffuse le ville, strutture con tre o quattro camere da letto e bagni, ben arredate, dotate di ogni comfort e assai comode per una vacanza più in libertà: l’isola è piena di pub, ristoranti, locali dove suonano dal vivo e vale la pena di vivere la vera vita americana. Come campi, scegliete quello che vi spiace di più ma all’ultimo giorno metteteci l’Harbor Town Links: anche se costa caro, porterete a casa un ricordo che non ha prezzo e, quando in televisione vedrete l’RBC, riconoscerete i posti dove anche voi avete giocato. 

L’elegante club house del Port Royal Golf and Racquet Club, circolo dotato di due imperdibili 18 buche, il Barony Course, disegnato da George W. Cobb all’inizio degli Anni 60, e il Robber’s Row, rivisitato nel 1994 dal grande Pete Dye

Infine, il volo. Non è una destinazione comodissima da raggiungere dall’Italia, non c’è il volo diretto. Gli aeroporti più vicini sono Charleston e Savannah, dove potete arrivare con un volo di una compagnia americana e un solo scalo. Lì prendete un’auto a noleggio: è facile, comodo e indispensabile per muoversi. E ricordate sempre che una vacanza negli USA è facilissima da vivere: basta rispettare le regole ed entrare nello spirito di un popolo che vuole solo divertirsi.