Per ogni golfista che vive di questo sport la reclusione forzata è stata come un fulmine a ciel sereno.

Il senso di responsabilità che abbiamo dovuto mostrare, per cercare di rallentare questo “spreading” del Coronavirus, ha inevitabilmente significato deporre bastoni e palline, in attesa di tempi migliori.

In questo momento di pandemia e crisi globale è ovvio che gli sport e la passione che per essi mostriamo quotidianamente debbano passare in secondo piano, ci mancherebbe.

Migliaia di persone sono morte e, purtroppo, tante altre ne arriveranno nelle prossime settimane.

Ci eravamo illusi che fosse una semplice influenza e ci sentivamo distanti dal pericolo, sicuri del fatto che colpisse solo persone già con patologie serie, ultraottantenni, e che comunque ogni anno si vedevano più morti a causa delle classiche malattie stagionali.

Non voglio e non sono in grado di approfondire verità, ipotetici complotti, polemiche e le giuste procedure che si dovrebbero adottare in questi momenti.

Come in passato, nei momenti di difficoltà e dove ci viene richiesto di seguire le regole, noi italiani abbiamo tirato fuori quello che ci contraddistingue da sempre: il restare uniti e la voglia di supportarci.

Il mondo dei golfisti ha fatto lo stesso.

Alle prime crisi di astinenza degli amateur, professionisti e coach hanno risposto con video, tutorial e post su ogni piattaforma social.

Lo scopo? Quello di sfruttare al meglio la permanenza in casa, magari lavorando in modalità training sul proprio swing e sul feeling.

Ormai da mesi molti maestri elargivano consigli nel tentativo di creare curiosità e far avvicinare nuovi giocatori.

Uno su tutti Elio Vergari, che con passione, dedizione e semplicità ha fatto capire quanto questo gioco sia maledettamente affascinante e accessibile a tutti.

Come Elio altri hanno mostrato tutorial, spiegando passo dopo passo come si può iniziare, quanto costa, cosa bisogna portare e come progredire.

Dopo aver pulito la nostra dimora come neanche un’impresa di pulizie, aver sistemato armadi, camere dei bambini, giochi, essersi improvvisati chef, inventori, animatori, dopo aver riscoperto il fitness e il suo lato oscuro, seguendo tutti i video possibili e immaginabili su YouTube, alla fine abbiamo ritirato fuori dalla cantina o dal garage un vecchio ferro ammuffito e abbiamo cominciato sul balcone a mimare swing, con la curiosità dei nostri vicini, ignari di cosa possa generare l’assenza dai campi di golf.

Ho visto maestri che, con bottiglie d’acqua o manici di scopa e stampelle, dare consigli su come migliorare lo stacco, il backswing e l’impatto.

Ho visto giocatori del Tour spiegare come, attraverso la testa appoggiata alla parete, evitare lo spostamento della stessa al momento dell’impatto nel putt.

Altri, grazie all’aiuto di doppler e software di ultima generazione, analizzavano i dati e come migliorarli, semplicemente con l’uso di una scopa.

Dilettanti che, scippando il bidone della spazzatura alla propria moglie e sfruttando l’unico pezzetto di verde del proprio giardino, improvvisavano colpi da 10-15 metri, ovviamente con ottimi risultati…

Ho, con una certa invidia, anche visto video di top player che, restando nelle loro case, invitavano a fare lo stesso per evitare il contagio, ma dando per scontato che tutti potessero godere come loro della fortuna di avere una zona approcci al posto del classico giardino abbandonato.

Non sappiamo quando finirà tutto questo e quando potremo finalmente tornare a invadere i campi da golf ma su di una cosa sono certo: che questo virus ci farà vedere le cose in maniera diversa, apprezzando molto di più ciò che da tempo diamo per scontato.

E forse un bogey, una flappa o un gancio micidiale non saranno poi allora cosi tremendi.