Com’è andato il ritorno del grande golf nel PGA Tour? Agonisticamente molto bene, vista la presenza dei primi cinque giocatori del mondo: un quadro d’autore, ma con una tristissima cornice

 

Buona la prima. Questa in sintesi la sentenza di Jay Monahan, commissario generale del PGA Tour, al termine del Charles Schwab Challenge, prima gara ai massimi livelli dopo i tre mesi di blocco per il Covid-19. “Guardate, c’è ancora molto lavoro da fare, ma è stato un rientro fenomenale. Non ci sono altri commenti da aggiungere – ha dichiarato -. I nuovi protocolli della sicurezza e dei test hanno funzionato e tutto è andato come ci aspettavamo.”

Non discutiamo certo la soddisfazione del numero uno del PGA Tour. Riuscire a tenere in piedi gare da sette milioni e passa di dollari in questo periodo è segno di enorme forza nei confronti di sponsor e media. Detto ciò, speriamo però di non doverci abituare al triste spettacolo di una premiazione per pochi intimi (nella foto). Con la sua squillante giacca in tartan, identica a quella del numero uno dell’organizzazione, Daniel Berger è sembrato lo sperduto pesce rosso in un acquario. Attorno a lui un vero deserto, interrotto solo da un pugno di fotografi e cameramen. E lo stesso, ovviamente, era già successo in campo, durante i quattro giorni di gara.

PGA Championship a porte chiuse

Molte le cose strane o nuove introdotte a Fort Worth. A cominciare dai test per il Covid, tutti per fortuna negativi (come del resto per il secondo torneo, l’RBC Heritage di Hilton Head), che hanno dato un minimo di serenità all’ambiente. Poi ci sono stati il distanziamento sociale, la limitazione dei movimenti dei giocatori in campo, le mascherine delle scarne troupe al seguito, le conferenze stampa in remoto, il commento televisivo solitario di Jim Nantz per la CBS, il silenzio assoluto senza pubblico, il charter in partenza per la successiva tappa iniziata ieri in Carolina del Sud. E ancora, le tribune improvvisate oltre la recinzione da sparuti gruppi di spettatori e il tentativo (poco interessante) di giocatori microfonati per commenti in diretta.

Bravi, anzi bravissimi, gli uomini del PGA Tour. Ma la notizia che tanto il Memorial a Casa Nicklaus (dal 16 luglio, con probabile rientro di Tiger) quanto il primo major (PGA Championship) si terranno a porte chiuse, contro le speranze di tutti, non ci fa certo esultare. In ogni caso, show must go on. 

Alla faccia della pandemia.

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13 regole 13

Sono in molti quelli che accusano il golf di avere regole troppo complicate. Possiamo capirli e prendere nota che spesso alcuni alle prime armi si arrendono davanti a una materia tanto complessa, lasciando perdere sacca e bastoni. Ma all’inizio della sua storia, il golf non era certo così. Fu nel 1744, dopo secoli di gioco con regole non codificate, che qualcuno decise di mettere un po’ di ordine alla materia. Quella che poi fu definita la Honourable Company of Edimburgh Golfers, si mise attorno a un tavolo per partorire “articoli e leggi per il gioco del golf”.

Questo lavoro, che viene semplicemente ricordato come “i 13 articoli” e che a malapena occupava un foglio, negli anni si è ampliato a dismisura. Oggi le regole sono 24, ma al di là del loro numero ognuna ha una lunga serie di sottoregole, di casi particolari e di eccezioni. La domanda che sorge spontanea è: ma il vero “spirit of the game” non dovrebbe essere quello dei padri fondatori scozzesi e delle loro 13, semplicissime regole?