Ryder Cup, 1999. Ben Crenshaw si inginocchia e bacia l’erba della 17 del The Country Club. Jose Maria Olazabal ha appena sbagliato un lungo putt per il birdie, facendo vincere la buca a Justin Leonard e regalando agli Stati Uniti quel mezzo punto necessario per suggellare un’incredibile vittoria in rimonta sull’Europa. “Me l’aspettavo – disse poi Crenshaw -. Conoscevo bene la storia di questo campo…”.

Le sue parole si riferivano alla buca 17, spesso teatro di improvvisi e incredibili scherzi del destino, un par 4 di 338 metri decisivo sia nelle precedenti edizioni dello U.S. Open qui giocate sia alla Ryder.

Nel 1913 Francis Ouimet, un dilettante di 20 anni cresciuto di fronte al The Country Club, imbucò un lungo putt per il birdie alla 17 nel giro finale dello U.S. Open per andare al playoff contro i pro Harry Vardon e Ted Ray. Il giorno dopo Ouimet, in testa di uno su Vardon, imbucò un altro putt per il birdie alla 17 (Vardon fece 5) per assicurarsi una vittoria storica.

Julius Boros era a due colpi dal primo nello U.S. Open del 1963 quando imbucò un putt da 6 metri per il birdie alla 17. Questo lo portò a pari merito con Tony Lema, che fece bogey a quella buca (e alla 18), e con Arnold Palmer, che fece anche lui 5. Il leader, Jacky Cupit, segnò un doppio bogey alla 17 per finire anche lui in un playoff a tre con Palmer e Boros, vinto proprio da quest’ultimo il giorno successivo, quando fece ancora una volta birdie alla 17.

Nel 1988 Curtis Strange aveva un solo colpo di vantaggio su Nick Faldo. Il suo colpo al green alla 17 lo lasciò con un brutto putt in discesa che lo portò a fare bogey con tre putt. Quella fu una prova di carattere e Strange la superò, facendo up & down dal bunker alla 18 per salvare un par e poi battere Faldo nel playoff il giorno successivo (proprio così: tutti e tre gli U.S. Open a The Country Club sono finiti con delle buche extra).

Lo U.S. Open torna quest’anno a Brookline e i giocatori troveranno un campo che si distingue da quasi tutti gli altri su cui gioca, un percorso vecchio stile, con i terreni cesellati e austeri. Anche se altri tracciati dove si svolse lo U.S. Open quali Shinnecock Hills (1891) e Oakmont (1904) furono progettati tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, The Country Club è quello che è cambiato meno in 117 anni, ovvero da quando si è espanso alle attuali 18 buche, nel 1905. 

Tuttavia pochi giocatori conoscono davvero il percorso, a parte coloro che disputarono la Ryder del 99 e lo U.S. Amateur del 2013. Il resto si troverà davanti un design comune al golf d’altri tempi, che ormai esiste solo in pochi campi e in nessuno tra quelli che oggi ospitano un major.

“Sarà un test mentale interessante perché molti di questi ragazzi vedranno delle buche che non hanno mai visto prima in vita loro”, afferma l’architetto Gil Hanse, che ha svolto consulenze per The Country Club dal 2009. “Dovranno giocare alcuni colpi che non risulteranno conformi ai loro standard abituali”.

Come per qualsiasi U.S. Open, il successo al The Country Club dipenderà dalla loro pazienza, oltre che dal loro gioco. Il modo in cui i giocatori interpreteranno le caratteristiche architettoniche insolite di questo campo determinerà chi sarà in contention per la vittoria. “Unico” è un aggettivo che descrive bene il The Country Club, ma anche questo non è sufficiente a fornire un quadro completo del campo.

Aspre morfologie

Lo scozzese Willie Campbell, primo pro del circolo, ampliò nel 1894 le 6 buche originali a 9 un anno dopo che furono giocate per la prima volta. Nel decennio successivo il campo continuò a crescere e a cambiare forma. La maggior parte delle buche furono progettate da tre soci e dal secondo pro del golf, Alex (Nipper) Campbell (l’unica buca rimasta è il par 3 della 6). L’influenza amateur fu brillante e aiuta a spiegare l’eccentricità di questo tracciato. “È un golf creato sopra il paesaggio – ricorda Gil Hanse -. Molti percorsi sono realizzati per attraversarlo, questo lo affronta invece a testa alta e passa sopra qualsiasi cosa”.

Il golfista se ne accorge già al par 4 della 3, che ha il battitore sopra una collina e una zona di atterraggio stretta, che serpeggia tra argini pieni di festuca bloccando la vista del green dalla maggior parte del fairway. La buca più suggestiva è la 10, “Himalaya”. Il primo colpo passa sopra una stradina e una parte di roccia sulla sinistra. Un torrente attraversa il fairway a 140 metri da un piccolo green, incastonato sopra a un altro banco roccioso, vicino a cinque profondi bunker. Altri 22 ettari, annessi nel 1923, divennero le terze 9 (Primrose). Quattro di queste fanno parte di un percorso composito per i tornei più importanti dal 1957, tra cui la 14, par 5 di 570 metri. Qui il fairway termina alla base di un ripido dislivello ricoperto da una fitta erba, per poi ridiventare fairway gli ultimi 140 metri, quando la buca si allarga e piega verso sinistra, affiancata da alberi e bunker sparsi. I drive non in pista avranno poche possibilità di raggiungere l’ampio fairway finale dal duro rough dello U.S. Open, il che costringerà i giocatori a fare dei terzi tiri lunghi e alla cieca verso un minuscolo green nascosto.

Green piccoli

“Una delle grandi particolarità del The Country Club è la dimensione ridotta dei green e la difficoltà dell’erba alta intorno ad essi – ha detto Bill Spence, sovrintendente del circolo dal 1985 al 2018 -. Fare un bel colpo da quell’erba e fermarla su quei green minuscoli sarà estremamente difficile”.

I green del The Country Club sono secondi solo a quelli di Pebble Beach tra i campi dei major. Quando Spence iniziò il suo incarico, in media i green erano di soli 300 metri quadrati anche se non erano tutti uguali. Spence lavorò con l’architetto Rees Jones prima dello U.S. Open del 1988 per riportare i green a dimensioni simili a quelle originali, sulla base di foto degli anni ‘40 e dei ricordi di un addetto al campo che lavorava al circolo da più di 40 anni.

“Attraverso una serie di sforzi scientifici e artistici siamo stati in grado di elaborare un piano di ristrutturazione – racconta Spence -, anche se nel mondo di oggi era assolutamente un processo preistorico”.

Jones e Spence ampliarono leggermente dieci green e ridussero le dimensioni e la forma di altri tre che Geoffrey Cornish aveva modernizzato dopo lo U.S. Open del 1963 (quello della 1, della 4 e della 17). In preparazione del major di quest’anno Hanse ha nuovamente ampliato l’area dei green di circa il 20%, aggiungendo una o due posizioni perimetrali dove mettere le aste su ciascun green. Anche se ancora minuscoli ora sono in media appena meno di 370 metri quadrati (la media di Pebble Beach è di circa 360). Anche se alcuni sono inclinati in avanti, la maggior parte possiede pendenze trasversali, che scivolano in avanti con vari gradi di inclinazione a sinistra o a destra. Se il clima sarà asciutto i green duri saranno l’aspetto più impegnativo del The Country Club: salvare il par, se sbagliano dalla parte sbagliata, andando lunghi in rough con l’asta lunga, per esempio, richiederà giudizio, ottima esecuzione e parecchia fortuna. Se soffierà il vento i risultati saranno sicuramente molto alti.

Carattere antico

Il nome The Country Club è azzeccatissimo: fu infatti questo il primo “country club” degli Stati Uniti, un rifugio fuori città, dove l’élite di Boston si ritirava per svagarsi. Era più un circolo ippico che di golf, con i paddock, il campo da polo e l’ippodromo sulla parte più pianeggiante del terreno a sud-est della club house. La prima e la diciottesima buca si giocavano accanto all’ippodromo, con il rettilineo e la dirittura d’arrivo che delimitavano il bordo destro di ogni fairway e le curve sterrate che tagliavano davanti a ogni green. L’ippodromo fu abbandonato decenni fa, ma la depressione davanti al primo green è ancora evidente e già negli anni ‘60 la sponda esterna rialzata nascondeva parti del green.

Le modifiche più significative che Hanse e Wagner incoraggiarono furono la rimozione di centinaia di alberi, in particolare i pini bianchi a foglia non caduca e a crescita rapida che ombreggiavano i green e affollavano le buche al punto che il percorso sembrava, come dice Hanse, “stanco”. Gli spettatori che non vedono The  Country Club dai tempi della Ryder Cup del 99 noteranno spazi di gioco più aperti, con viste che collegano le buche, in particolare, sulle prime nove. Rimuovere alcuni alberi ha evidenziato anche un’altra vecchia caratteristica: ammassi di collinette e cumuli a forma di gocce di cioccolato, come quelli a destra del green della 6 e della 10, e a destra del green della 14 e nel rough di sinistra, oltre i bunker del fairway, alla 17, potranno intrappolare i giocatori che cercheranno di tagliare l’angolo. Coperti dalla tradizionale festuca ruvida e irregolare, i tumuli hanno lo scopo di collocare l’architettura nel primo periodo americano e favorire recuperi imbarazzanti e imprevedibili.

La rimozione degli alberi è servita a raggiungere obiettivi agronomici ed estetici ma ha anche messo in gioco le aree di confine coperte dalla festuca. Durante i recenti U.S. Open a Winged Foot e a Torrey Pines i drive storti di solito andavano a finire in un rough ben mantenuto, spesso calpestato e non molto insidioso per giocatori forti e lunghi come Bryson DeChambeau e il campione in carica, Jon Rahm. I drive lunghi e storti al The Country Club è probabile invece che finiranno nella festuca sottile o nell’erba dura, forse anche su una collinetta laterale o in discesa, rendendo i colpi verso i green minuscoli una sorta di “tenta e spera”. Bentornati al golf dei vecchi tempi.

Colpi alla cieca

Potenziali colpi alla cieca come quello alla 14 sono comuni a The Country Club. Sebbene la tecnologia di mappatura del percorso, i telemetri e il controllo preciso della distanza ora eliminino gran parte delle congetture dai colpi alla cieca, i percorsi che nascondono inesorabilmente i bersagli ai giocatori sono rari e richiedono un costo psicologico molto alto.

Il disagio per i colpi alla cieca era una delle ragioni – insieme ai forti venti – per il quale i punteggi allo U.S. Open del 1963 furono i più alti degli ultimi 28 anni – con nove sopra al par si arrivava a giocare il playoff. Tony Lema, che mancò il playoff di due colpi dopo aver chiuso con un paio di bogey, scherza nel suo libro Golfers’ Gold che “Il The Country Club… resterà sempre memorabile. Probabilmente avremo incubi a riguardo per il resto della nostra vita. Di tanto in tanto era visibile uno scorcio della bandiera, che sventolava come un fazzoletto giallo battuto dal forte vento ma c’erano almeno 12 buche che potevano essere definite cieche o parzialmente cieche. Ciò significava che quando tiravi dal tee, o quando colpivi il colpo al green, non sapevi esattamente dove dovevi tirare la palla”.

Da notare il secondo colpo al par 4 della 3, dove il fairway scende tra gli affioramenti rocciosi fino a diventare un minuscolo pezzetto di soli 10 metri. “Era molto difficile… drivare la palla in un posto che non fosse direttamente dietro quel tumulo, e quindi poi eri costretto a sparare il secondo colpo verso il cielo, non verso un vero bersaglio”, ricorda Lema.

Il drive al par 4 della 4, che si tira da un battitore rialzato vicino alla 3, è completamente cieco, come anche quello del par 4 della 15. Solo la parte superiore della bandiera è visibile dopo che la maggior parte dei drive sono stati colpiti al corto parv4 in salita della 5 e della 10, e lo stesso vale per il par 4 della 7, a meno che i giocatori non riescano a tirare il drive a quasi 275 metri, fino ad arrivare alla parte superiore del fairway. In totale ci sono ancora almeno 12 buche dove i giocatori non riusciranno a veder atterrare i loro drive o i loro colpi al green.

Mai lo stesso campo due volte

Durante i suoi primi anni il The Country Club è passato da 6, a 9, a 18 buche. All’inizio del 1900 il campo aveva pressoché assunto la sua forma attuale e con delle piccole modifiche sarebbe diventato il percorso di oggi, con il layout abituale su cui giocano i soci, che si è classificato al 17° posto nella classifica di Golf Digest dei 100 campi più belli d’America. Nel 1927 il circolo aprì le terze nove buche, le Primrose, progettate da William Flynn, dando al The Country Club tre percorsi da nove buche e la flessibilità di utilizzare la migliore combinazione di buche quando i grandi tornei venivano disputati a Brookline. Il layout originale, progettato nel 1913, era diverso rispetto a quello dei tornei giocati dopo il 1957, quando furono incluse diverse buche del percorso Primrose. Quest’anno, in onore dell’Open, il circolo debutterà per la prima volta in un major con una nuova sequenza e combinazione di buche.

ACCANTONATA

Il par 4 della 4, parte del primo layout completo a 18 buche del The Country Club, fu giocato in tutti i major dal 1913, inclusi gli U.S. Open del 1963 e 1988 e la Ryder Cup del 1999. Togliere questa buca, che verrà utilizzata per collocare la zona dei media durante il torneo, elimina una lunga camminata indietro dal green al quinto tee. La quinta buca del Main Course diventerà ora la quarta buca dell’Open Course.

UNA BUCA RESUSCITATA

Con la 4 rimossa dal giro, il par 3 corto e in discesa della 12 del Main Course verrà utilizzato per la prima volta in uno U.S. Open dal 1913, diventando l’undicesima buca del campo di gara. Nel playoff tra Vardon e Ray, Ouimet fece par qui contro i due bogey degli avversari, prendendo un vantaggio che non avrebbe mai più perso.

UN PERCORSO ECLETTICO

L’espansione a 27 buche nel 1927 permise al The Country Club di includere la 1, la 2, la 8 e la 9 delle nove buche Primrose per formare un nuovo percorso da campionato (la 1 e la 2, due par 4, seguite da un par 3 con l’acqua, sono state usate per formare la 13 dell’Open Course, un par 4). La 8 del Primrose, normalmente di 421 metri, è stata allungata fino a diventare un par 5 di 571 metri che prende il suo posto come 14esima buca.

UNA PICCOLA DEVIAZIONE

Queste due buche (la 9 del Primrose, a sinistra, e la 14 del Main Course) diventeranno la 8, un par 5 e la 9, un par 4 dell’Open Course (erano la buca 13 e la buca 14 nei tornei precedenti). Questo sposterà il battitore della 10 più vicino al campo pratica, un vantaggio per quando ci saranno le doppie partenze dalla 1 e dalla 10 (una cosa che non era necessaria nel 1988). Questo cambiamento inoltre renderà più centrale il green della 9.

UN GIRO STORICO

Quelle che non sono cambiate sono la 15 e la 18, tutti i campioni che hanno sollevato il trofeo al The Country Club sono sopravvissuti alle stesse quattro buche finali, inclusa la famigerata 17 che attraversa la parte più piatta della proprietà. Così come lo spettacolo intorno allo U.S. Open è cresciuto negli anni, questo gruppetto di buche diventeranno una specie di anfiteatro naturale, pieno di tribune, tende ospitalità e spettatori chiassosi, che ammireranno il major da vari punti di vista.

DOPPIA FUNZIONE

In questa area qui di solito ci sono la 9 e la 10 del Main Course, anche se nel 1913 per Ouimet e compagnia queste erano la 12 e la 13. Stavolta verranno utilizzate come campo pratica per i giocatori durante lo U.S. Open.