Tutti i campi da golf sono difficili per chi gioca male.
Altri invece sono creati per essere complicati per chiunque, indipendentemente dalla qualità dei colpi. Quando dal 20 al 23 maggio prossimo i migliori professionisti del mondo scenderanno in campo all’Ocean Course di Kiawah Island per il 103° PGA Championship si troveranno di fronte quello che di fatto è ritenuto il percorso più difficile nella storia recente dei tornei major.

Solo sei campi negli Stati Uniti possono infatti vantare un valore combinato tra Course e Slope Rating superiore rispetto al 79,1 e 155 dell’Ocean Course, che dai suoi Championship Tee misura quasi 7.223 metri, numeri che sembrano quasi incredibili per un campo da golf.
Solo uno però dei sei tracciati più tosti d’America, l’Oak Tree National, ha ospitato in passato un major maschile, il PGA Championship del 1988.

Per quanto scoraggiante possa sembrare questa premessa, non dobbiamo necessariamente aspettarci un vero e proprio massacro a Kiawah Island

È vero che il Course Rating riflette il punteggio medio previsto da un giocatore scratch da quei tee, ma nemmeno ai professionisti del Tour verrà chiesto di confrontarsi con l’Ocean Course nella sua massima lunghezza.
È altamente improbabile infatti che il PGA Championship si giocherà sfruttando ogni centimetro del tracciato. La presenza di venti forti e costanti da est a ovest, alternati e imprevedibili, non renderà infatti necessario ricorrere a tutti i suoi 7.223 metri per renderlo già di per sé un vero inferno golfistico. 

Ogni giorno la metà delle buche del tracciato potrebbe essere soggetta a forti venti contrari e, solo 24 ore dopo, a favore, facendo risultare le stesse buche totalmente diverse. A maggio poi, con temperature più fresche, sarà molto facile avere anche intense raffiche da nord, che taglieranno trasversalmente la linea di gioco creando non pochi problemi.

Sarà compito di Kerry Haigh, Chief Championships Officer della PGA of America e del suo team, provare a prevedere la direzione del vento e spostare i tee avanti o indietro di conseguenza.
Così da rendere l’Ocean Course non un incubo ma semplicemente un test severo e completo. 

Vento e lunghezza saranno probabilmente le sfide più ardue da affrontare, ma non sono insormontabili

I professionisti di oggi possiedono i colpi e la distanza necessari per superare queste difficoltà o almeno mitigarle.
Rory McIlroy ha fatto sembrare l’Ocean Course quasi un campo facile durante il PGA Championship del 2012, vincendo con 275 colpi (13 sotto il par), otto in meno del secondo classificato.

Condizioni meteo a parte però, il campo presenta una serie di importanti caratteristiche che ne elevano il livello di difficoltà. Come i numerosi bunker delle zone desertiche, la nodosa posidonia che si affaccia sui fairway e una serie di altre difese che Pete Dye ha creato per completarlo in tempo per la Ryder Cup del 1991. Tutti elementi che possono trasformare un giro in un’interminabile missione per schivare insidie e pericoli e contenere lo score.

La reputazione che ha l’Ocean Course nasce proprio da quella celebre Ryder Cup del 1991 vinta dagli Stati Uniti.
Molte buche furono vinte con il par o addirittura il bogey, creando non pochi problemi ai 24 protagonisti. Il tentativo di superare le sfide estreme è parte integrante del fascino del gioco del golf. Ma affrontare percorsi impegnativi non dovrebbe sempre essere sinonimo di un risultato disastroso.

Il modo in cui i professionisti lo attaccheranno durante il PGA Championship può anche essere istruttivo per i golfisti amateur meno esperti. Potranno infatti elaborare nuove strategie di gioco da applicare una volta che si troveranno loro stessi in situazioni simili.

Sia le prime che le seconde nove dell’Ocean Course comprendono buche che formano mini percorsi di andata e ritorno incuneati tra le paludi saline interne e le dune dell’Atlantico.
Alla 2, un par 5 dogleg a sinistra di 510 metri, il tee shot deve volare sopra un’ampia area paludosa fino al fairway. Per i professionisti la decisione è fino a che punto vale la pena giocare a sinistra, per lasciarsi un secondo colpo corto che non sia bloccato dal gruppo di querce che attraversa il fairway. Coloro che puntano a giocare in sicurezza mirando a destra verso un’ampia area di atterraggio visibile, si troveranno però un secondo colpo lungo e complicato a causa della zona di atterraggio affusolata, composta da uno stretto passaggio su un terreno paludoso che divide in due il fairway e il querceto.

Se giocata in modo eccessivamente sicuro quindi la 2 diventa una buca da prendere con il terzo colpo per la maggior parte dei giocatori, il che significa un’ulteriore opportunità di mandare la palla in un bunker, in una zona paludosa o in un’area di penalità vicino al green.

Rimanere in condizione di fare par richiede quindi l’impegno a rischiare di più dal tee, per aumentare le possibilità di superare le zone paludose con il secondo colpo.

“Chi gioca per la prima volta all’Ocean Course sale su alcuni tee e pensa, dove devo tirare?” racconta il direttore Gerard -. Dye è riuscito a fare distogliere lo sguardo del golfista dalla linea di gioco e a indirizzarlo verso un pericolo, e questo crea indecisione. In questo Dye era un vero maestro”.

L’architettura del campo premia quindi chi è disposto a prendersi un rischio e a giocare su linee aggressive. Sia che si tratti dei Tour pro che tirano drive oltre i 300 metri sia che si tratti di semplici amateur. Affrontare un ostacolo all’inizio della buca di solito libera la strada ai colpi successivi, mentre evitarlo, rallenta e intensifica il suo coinvolgimento.

La 3 è un par 4 corto di 356 metri che spinge a tirare un altro drive a tagliare l’angolo da destra a sinistra oltre la palude. Aspettatevi quindi di vedere i protagonisti del prossimo PGA Championship tentare di avvicinarsi il più possibile al green con il tee shot, per lasciarsi un corto pitch al green.

Questa dovrebbe essere la strategia di tutti perché è imperativo puntare a prendere il minuscolo green di soli 1.128 metri quadrati con un bastone corto e con molto loft.

Le palle che mancano il green, appollaiato circa tre metri sopra il fairway con ripide discese su tutti i lati, scivoleranno fuori. Sebbene sia ingegnosamente difeso solo da erba, un po’ d’indecisione con il drive o di imprecisione nell’approccio basteranno a fare la differenza tra un 4 e un 6 o addirittura peggio.

I lie irregolari presentano un diverso tipo di problema alla 9, una vera bestia nera.

È un par 4 di 470 metri con il lato sinistro del fairway adiacente a un’area desertica che corre lungo tutta la lunghezza della buca al fianco di un’altra palude. Per i professionisti fare par è questione di prendere il fairway e quindi controllare la traiettoria del secondo colpo in base al vento.

Ad amplificare le difficoltà ci sono bunker profondi e una serie di avvallamenti a sinistra e a destra del green

Nei decenni successivi alla Ryder Cup 1991, Pete Dye è tornato più volte a Kiawah Island per espandere le zone di manto erboso. In particolare intorno ai green, in modo che i colpi mancati terminassero sull’erba piuttosto che nella vegetazione delle dune.

Ma depressioni come queste producono situazioni comunque scomode per chi deve eseguire colpi di recupero da lie duri e irregolari a un green che spesso non si riesce a vedere. Il modo in cui verranno gestite queste situazioni delicate è ciò che avrà il maggiore impatto sullo score finale dei protagonisti, specialmente se finiscono per fare più di un approccio a buca.

Il par 4 della 10 e il par 5 della 11, due buche che corrono dritte tra dune spesse e coperte da vegetazione nativa a sinistra e un canale a destra, dimostrano come gli architetti spesso intimidiscano i giocatori con l’inganno. Le aree desertiche profonde che proteggono il lato destro di ciascuna buca sembrano più grandi di quanto non siano in realtà e portano spesso ad andare a sinistra.

“Questi tee shot sono i più impegnativi”, afferma Jeff Stone, superintendent dell’Ocean Course dal 2003. “Quando stai su quei battitori, guardi la buca e pensi: è davvero stretta. Ma una volta in campo vedi quanto fairway c’è. La capacità di Dye di intimidirti visivamente dal tee è la chiave del campo – te l’ha fatta ancora prima che tu abbia eseguito il colpo”.

Il tee shot al par 4 della 13 è la rara volta in cui Dye non cerca di camuffare l’area di atterraggio.
I drive devono essere giocati dal lato opposto del canale e dai battitori c’è una lunga e inquietante vista dell’acqua che scorre stretta lungo tutto il lato destro del fairway e a fianco del green. Sul lato opposto della zona di atterraggio, dune e cinque bunker elevati attendono i giocatori.

Non c’è spazio per sbagliare e i colpi al green che sfuggono all’acqua costringono il giocatore a fare un approccio delicato o un’uscita dal bunker decisa verso il canale. Questa è una buca in cui i protagonisti del PGA Championship, che giocheranno dai tee posizionati a 455 metri, saranno in ansia tanto quanto un giocatore della domenica.

Che si tratti di un particolare bunker profondo a Pine Valley, di un ruscello ad Augusta o del bunker “Church Pews” a Oakmont, i grandi campi hanno sempre degli ostacoli distintivi che stuzzicano la psiche e mettono alla prova la strategia del giocatore. All’Ocean Course è il caso del cavernoso bunker sahariano che protegge l’area di atterraggio del secondo colpo del par 5 della 16. Il bunker si estende per 60 metri lungo la parte anteriore sinistra del green, circa sette metri sotto la superficie, e presenta cumuli d’erba filiforme piantati al suo interno, ostacoli all’interno dell’ostacolo. Una buona regola da seguire è che, se è necessaria una scala per entrare e uscire da un bunker, allora è meglio stargli alla larga… 

Dopo aver affrontato vento, sabbia, paludi, palle perse e altre forme di umiliazione, i giocatori arrivano alla famigerata buca 17, un par 3 di 203 metri con lago e senza spazio per mancare il green.

Eccoci là dove sono caduti tantissimi nomi illustri del golf mondiale, sia nella Ryder Cup del 1991 sia nel PGA Championship del 2012.
Giocando da tee rialzati, con il vento che soffia quasi sempre teso, il disastro è dietro l’angolo.

Una cosa è certa: il PGA Championship di quest’anno sarà una gara tutta da godersi e ricca di colpi di scena, fino all’ultima buca.