Forse non tutti, su una cartina “muta” degli Stati Uniti, indicherebbero a colpo sicuro l’Oregon. Inserito fra California (a sud) e Washington, è il terzo Stato che si affaccia sulle coste del Pacifico. Confina inoltre con Nevada e Idaho. Sono quattro i milioni di abitanti, con una densità di 16 per chilometro quadrato (in Italia siamo invece quasi 200). Questo dato da sé è sufficiente per indovinare la principale caratteristica dell’Oregon: immensi spazi, quasi disabitati, in mezzo a natura selvaggia, foreste, steppe, deserto.

In questo Stato, così decentrato e poco popolato, il golf è però di casa con quello che fuor di dubbio è il miglior resort americano. Il suo nome? Bandon Dunes, steso lungo l’oceano, nella parte meridionale dell’Oregon. Portland, città più grande e conosciuta dello Stato (per chi ama il basket, sede dei Trail Blazers della NBA), si trova a circa quattro ore di distanza in auto. Per raggiungere la nostra meta, il viaggio perciò è lungo e impegnativo, ma la ricompensa è di quelle che non dimenticherete mai.

Bandon Dunes si traduce infatti in una collana di gioielli forse senza riscontro al mondo. Sono cinque i suoi straordinari percorsi a 18 buche. I primi quattro in ordine cronologico sono tutti inseriti fra i 100 migliori campi degli U.S.A., nella indiscussa classifica stilata ogni due anni da Golf Digest. Un record imbattibile. E il quinto? È appena nato, ma si è già meritato il titolo di campo nuovo numero uno del 2020. 

Il Bandon Dunes Golf Resort comprende oltre 500 stanze, distribuite però su un’area vastissima e in cinque aree completamente separate. Le avvolgono meravigliose buche da puro links scozzese, con continui squarci e aperture sul Pacifico.

Proprietario e inventore di questo paradiso golfistico in Oregon è Mike Keizer, ricchissimo imprenditore di cartoline di auguri su carta riciclata. Innamorato del golf, ha preso spunto per Bandon Dunes dai suoi numerosi viaggi in Scozia e Irlanda. Punti di riferimento assoluti, il meraviglioso Royal Dornoch e Ballybunion.

BANDON DUNES

Il capostipite dei campi di golf, aperto nel 1999, è quello che dà il nome a tutto il complesso (numero 36 per Golf Digest). Progettato dallo scozzese David McLay Kidd, ha subito ricevuto grandi riconoscimenti, pur essendo fra i primi ideati da un Kidd ai suoi inizi nella progettazione. Il merito di questo splendido risultato va equamente diviso fra l’architetto e la spettacolare natura a sua disposizione, identica o quasi a quella dei più celebrati links britannici, capace di dettare con grande facilità il disegno al progettista. 

Dall’apertura, il campo da golf originale è stato poi modificato. Le variazioni includono la rimozione di quantità significative di ginestre, che erano l’ostacolo peggiore nelle buche. Grazie a questi interventi, Bandon Dunes è oggi il più abbordabile dei cinque percorsi e tradizionalmente regala i punteggi più bassi agli ospiti del resort. Le sue aree di atterraggio concedono buoni spazi agli errori e i fairway, pur ondulati, non disegnano pendenze troppo impegnative.

PACIFIC DUNES

Secondo il giudizio di Golf Digest è la punta di diamante di Bandon Dunes. Lo piazza infatti al 17° posto, posizione che ha progressivamente raggiunto migliorando di classifica in classifica. Con Pebble Beach, è l’unico campo pubblico inserito fra i primi 25 della graduatoria assoluta americana. Questo giudizio è collegato al superlativo livello tecnico del campo e alla selvaggia bellezza delle sue buche, affacciate sull’oceano da scogliere alte, rocciose e a picco. 

Pacific Dunes è stato inaugurato il 1 ° luglio 2001 e progettato dall’architetto del Michigan Tom Doak, con il supporto del suo studio di architettura di campi da golf, il Renaissance Design, Inc. Il percorso ha incontrato subito giudizi entusiastici e nel giro di pochi anni ha rapidamente superato Bandon Dunes come il campo più votato dell’intera proprietà. ­Riuscire a giocarlo è un miraggio per tutti i golfisti americani, vista la lunga lista d’attesa delle prenotazioni per un tee time. 

BANDON TRAILS

La firma prestigiosa è quella di Ben Crenshaw, in accoppiata con Bill Coore. Per il terzo dei percorsi di Bandon Dunes in ordine di età, vale la posizione numero 69 per Golf Digest. È la “peggiore” fra le quattro del resort, ma la quasi totalità dei circa 15mila campi esistenti negli Stati Uniti pagherebbero fior di dollari per un riconoscimento così prestigioso. 

Bandon Trails, inaugurato il 1 giugno 2005, infatti ha ben poco da invidiare ai suoi compagni. A differenza degli altri si trova più all’interno e quindi non presenta buche che si specchiano nel Pacifico. Il percorso si snoda tra dune, prati e boschi. Al momento della sua apertura, Golf Odyssey, la principale newsletter americana dedicata ai viaggi di golf, aveva già definito Bandon Dunes e i suoi tre campi dell’epoca “il miglior posto sul pianeta per giocare”. 

Fra il Bandon Dunes e il Bandon Trails si trova una incredibile “chicca”: le 13 buche par 3 del Bandon Preserve, short course disegnato sempre da Crenshaw e Coore, di una bellezza esagerata. L’apertura al gioco risale al 1° maggio 2012.

OLD MACDONALD

Il quarto percorso del resort è stato progettato da un team guidato da Tom Doak e Jim Urbina. Come il Bandon Trails, è disegnato leggermente all’interno rispetto alla costa. Lo modellano una serie di dune e grandi macchie di ginestre, che il più delle volte ingoiano le palline senza restituirle ai giocatori. La denominazione, che ricorda anche il protagonista americano de “Nella vecchia fattoria”, rappresenta in realtà un omaggio a Charles Blair Macdonald. Ovvero una vera icona del golf a stelle e strisce cui Doak e Urbina si sono ispirati. Fra i mille successi nella sua brillante carriera, a cavallo fra XIX e XX secolo figurano queste perle: costruttore del primo percorso americano da 18 buche, fondatore della United States Golf Association, primo vincitore del prestigioso titolo U.S. Amateur.

Il campo numero 50 nella graduatoria di Golf Digest è stato inaugurato nel giugno 2010. Sarebbe stato senz’altro il migliore nuovo percorso di quell’anno. Non venne però proclamato tale perché, nelle difficili stagioni 2008 e 2009, non fu inaugurato un numero sufficiente di campi. La rivista più famosa del mondo decise perciò di non stilare la classifica dei 18 buche appena aperti.

L’ultimo nato: SHEEP RANCH

Lo strepitoso “ranch della pecora” ha visto il suo tee shot inaugurale solo lo scorso primo giugno. Ma la sua incredibile bellezza, che gli è valso subito il titolo di “miglior campo nuovo dell’anno”, ha già fatto parlare molto di sé fra i milioni di giocatori americani

Situato a nord dell’Old Macdonald, ha quasi due chilometri di estensione di fronte all’oceano. Si articola su una serie di promontori, con diverse buche caratterizzate da colpi a volare acqua e scogliere. La proprietà era stata un parco eolico negli anni ’70, poi abbandonato perché i venti si erano rivelati troppo intensi per le turbine di quell’epoca. Il proprietario del resort, Mike Keizer, ha acquistato il terreno nel 2000 insieme al socio in affari Phil Friedmann. In origine, lo Sheep Ranch avrebbe dovuto essere un campo privato separato dal resort principale. 

Doak e Urbina hanno iniziato a lavorare sulla proprietà dopo aver completato Pacific Dunes. Completati però 13 green, la realizzazione venne interrotta da Keizer e Friedmann. La gente del posto aveva sentito parlare del progetto e temeva che il nuovo campo avrebbe causato problemi al resort. Per più di 15 anni, la proprietà è rimasta in gran parte abbandonata. I green non sono stati irrigati e solo un numero selezionato di ospiti del resort venivano ammessi sul percorso incompleto. Alla fine, i due soci ritornarono sulla decisione. Incorporarono questa area nel resto della struttura e arruolarono Coore e Crenshaw per progettare un percorso completo. 

Nove green occupano posizioni sulla scogliera e il percorso è di gran lunga il più aperto del resort di fronte all’oceano. Quindi vento assoluto protagonista. Le buche si aprono in modo spettacolare verso la costa e vagano su una nuda pianura rocciosa. Il risultato, adesso sotto gli occhi di tutti dopo un lungo travaglio, è a dir poco da applausi.