Phil Mickelson ha appena spento le 50 candeline della sua grande torta. Il fuoriclasse americano è infatti nato a San Diego (California) il 16 giugno 1970 e il Grande Golf lo ringrazia per la magnifica carriera. Nel suo palmarès figurano cinque major (Masters 2004, 2006, 2010; Open 2013; Pga Campionship 2005) e ben 44 successi sul PGA Tour (nono di tutti i tempi). Una carriera sfolgorante, iniziata 28 anni fa, quando lasciò l’Arizona State University per diventare professionista. E in tutto questo tempo, infinito per uno sportivo, Lefty (questo il suo soprannome, essendo mancino) è riuscito a conservare un posto fra i migliori 50 del mondo addirittura per un quarto di secolo.

Una carriera da fuoriclasse assoluto, dicevamo, che avrebbe però potuta essere straordinaria, se sul suo cammino non avesse incrociato il fenomeno chiamato Tiger Woods. E sarebbe stata comunque da record, se fosse riuscito a trasformare in vittorie qualcuno dei suoi incredibili 11 secondi posti nei major. Mickelson è comunque uno dei soli 12 golfisti di tutti i tempi capaci di vincere tre dei quattro major. Gli manca clamorosamente lo U.S. Open, gara in cui ha stabilito il poco invidiabile primato assoluto di sei piazze d’onore. La più terribile nel 2006, a Winged Foot, quando perse nei confronti di Ogilvy, pur avendo quattro colpi di vantaggio sul tee della 17 e due su quello della 18.

Altri numeri incredibili quelli delle partecipazioni alle gare del Grande Slam. Sono 107 in totale, di cui tre quelle da campione alle prime armi e dilettante.  E per addirittura 38 volte la classifica dei major lo ha visto fra i migliori dieci. Dato che al momento della definizione del field di quest’anno Phil non era fra quelli che ammessi a disputare lo U.S. Open (oggi è 66° nel World Ranking), è arrivata subito l’idea di offrirgli una wild card. Ma con la sportività che lo contraddistingue ha rifiutato il compromesso. Ora però, vista la complessità della situazione al tempo del Covid-19 (impossibile disputare le qualifiche), il major spostato a metà settembre potrebbe avere regole di ammissione ad hoc e quindi riammettere anche Phil.

Ma Mickelson non pare così smanioso di essere al via dello U.S. Open. E ha già dichiarato che non sarebbe poi male vederlo alla televisione nella sua casa di San Diego. In primis forse perché l’appuntamento è proprio a Winged Foot, peggior ricordo del major che rappresenta la sua bestia nera. E poi perché allo U.S. Open ha già rinunciato senza troppi rimpianti nel 2017, dopo 23 partecipazioni consecutive. In quella occasione non fu in partenza perché aveva preferito assistere alla cerimonia per il diploma di sua figlia a conclusione della high school.

Il bellissimo rapporto con la sua famiglia è un fatto noto. Ed è stato spesso usato in contrapposizione a quello disastroso del suo grande rivale. Phil l’angelo della casa, Tiger il diavolo divorziato e finito in clinica ossessionato dal sesso. Quando alla moglie Amy, nel 2009, fu diagnosticato un tumore al seno, Mickelson sospese a tempo indeterminato la sua attività agonistica. Tutto per fortuna finì bene, ma poco dopo lo stesso male attaccò la mamma di Phil. E per starle vicino, lui decise anche di saltare un appuntamento fondamentale come quello dell’Open Championship.

Padre di due figlie (Amanda Brynn e Sophia Isabel) e un figlio (Evan Samuel), Phil è il simbolo dello sportivo pulito e onesto per tutti gli americani. Una vita priva di colpi di testa, la sua, ma anche con qualche chicca non comune. Vista la sua passione per i dinosauri, la moglie Amy per il suo 38° compleanno gli ha impacchettato nientemeno che il cranio di un T Rex femmina, scoperto in Mongolia. E sempre lei, in un’altra occasione, gli ha regalato un meteorite grosso come una palla da basket, da affiancare ad altri più piccoli che fanno bella mostra di sé nel salone della casa di San Diego.

Tanti auguri, Phil! Cento di questi giorni.