Da quando il Professor Franco Chimenti ha preso la guida della Federazione Italiana Golf nel 2002, di acqua sotto i ponti, come si suole dire in gergo, ne è passata davvero tanta. Merito dell’intuito, della decisione e dell’entusiasmo di un uomo che ha contribuito in modo determinante con le sue scelte a lanciare definitivamente il nostro movimento in una nuova entusiasmante dimensione. A parlare per lui non sono solo i numeri ma i fatti: l’incremento di tesserati, la creazione e la crescita di innumerevoli talenti, l’ottenimento di prestigiose e storiche vittorie a livello internazionale e, ciliegina sulla torta, nientemeno che quello che tutti o quasi definivano una ‘mission impossibile’, l’assegnazione all’Italia della 44esima Ryder Cup. A ormai pochi giorni dalla prima storica edizione della biennale sfida tra Europa e Stati Uniti nel nostro Paese, non potevamo quindi non iniziare le nostre speciali interviste proprio dal principale artefice di un sogno diventato realtà e farci raccontare da lui il cammino che ha portato il golf italiano oggi ad essere al centro dell’attenzione mediatica mondiale.

Professor Chimenti, ormai ci siamo, la lunga attesa è finita. Quali sono le sue sensazioni oggi alla vigilia del più importante appuntamento della storia del golf italiano?

Tutto nacque da una mia certezza: che l’Italia, in competizione con qualsiasi Paese del mondo, non è seconda a nessuno e può vincere contro tutti. Partendo da questo presupposto, sono riuscito a scardinare quella che era la convinzione di molti: che potevano esserci dei dubbi su chi si sarebbe aggiudicata la Ryder Cup del 2022 (poi posticipata per la pandemia al 2023, ndr) ma tutti erano certi della nostra sconfitta. Devo dire che non ci sarebbe stata minimamente partita se non si fosse verificato un cambio decisivo al vertice dell’European Tour, con l’arrivo in qualità di CEO di un personaggio non contaminato proveniente dal Canada, Keith Pelley. I giochi erano praticamente già fatti. La gente mi diceva che, insistendo, avrei soltanto fatto perdere all’Italia una marea di soldi che non avrebbero prodotto altro che una palese sconfitta. Chiaramente bisognava prima organizzare una candidatura ufficiale e poi partecipare nel miglior dei modi possibile. Sono passato all’inizio quasi per un dissipatore dei denari pubblici e sarebbe stato così certamente se non si fosse verificato quello di cui ho parlato precedentemente, l’arrivo di Pelley, che ha creduto fin da subito con me che l’Italia e Roma sarebbe stata la scelta vincente.

Il Comitato della Ryder Cup europeo aveva deciso già da tempo che soltanto in altre due occasioni dopo quella storica di Valderrama del 1997, la prima disputata nell’Europa Continentale, la Ryder Cup sarebbe stata assegnata ancora due volte a paesi al di fuori del Regno Unito. Poi si sarebbe tornati a disputarla per sempre in Gran Bretagna e Irlanda. Quando iniziai a pensare seriamente di candidare il nostro Paese, la prima occasione era già andata, con la Francia e Parigi che si aggiudicarono l’edizione del 2018. Poi c’era il tributo da concedere alla Germania, sconfitta in quell’occasione, che ripresentando la candidatura per il 2022 avrebbe quindi vinto quasi certamente. Una missione, insomma, che sulla carta sembrava praticamente impossibile.

Cosa spostò quindi gli equilibri di quella che agli occhi di tutti pareva una decisione ormai già presa?

Ci ritrovammo a Wentworth, in occasione del BMW PGA Championship del 2014, nel corso di una serata in cui si celebravano i successi dell’anno e a cui presero parte le delegazioni di tutti i paesi golfistici europei. Quella è stata una delle serate peggiori della mia vita. Si era già saputo che l’Italia avrebbe ufficialmente presentato la candidatura per ospitare la 44esima Ryder Cup nel 2022 e un signore, che faceva parte di un tavolo importante, ridicolizzò la mia idea di partecipare, soprattutto con il campo del Marco Simone. C’era da restare offesi, ma tante volte nella mia vita mi è capitato di partecipare a situazioni di questo genere e poi di risultare vincitore. Beh, questa è stata la mia soddisfazione più grande. Il tempo e il grande lavoro svolto da tutte le persone coinvolte in questo progetto mi ha dato ragione. Sono stato professore ordinario di Chimica Farmaceutica e poi Preside della Facoltà di Farmacia a La Sapienza di Roma, in cui arrivare in alto non era facile, per niente. Nessuno mi dava la minima credibilità anche nella corsa alla presidenza della FIG: tutti si ricorderanno che uscii dalla federazione da vicepresidente, per tornare ad occupare poi il posto di presidente contro uno in carica che aveva molte più chance del sottoscritto. 

Nella mia vita ho lottato contro ogni avversità con impegno e dedizione e l’ho sempre fatto con la massima correttezza. A quel punto per me la Ryder Cup era diventata un motivo di orgoglio personale e ho incominciato a lavorare assiduamente con il mio staff sulla candidatura basandomi su una grande certezza: che ad ospitare la più grande manifestazione golfistica del mondo sarebbe stata l’Italia e Roma, con il peso della sua grande e inimitabile storia. Su Roma abbiamo puntato e con Roma abbiamo vinto, ma ne ero certissimo. Roma è la Città Eterna, la culla della civiltà, nessun luogo al mondo può competere per fascino, cultura e tradizione. Quando il 14 dicembre del 2015 ricevetti la telefonata di Keith Pelley che mi annunciava il nostro successo, fu una gioia indescrivibile. Da quel giorno sono state moltissime le persone che sono venute da me personalmente a rammaricarsi per avermi criticato. Ma nella vita bisogna essere superiori, e noi siamo andati avanti per la nostra strada, lavorando, giorno dopo giorno, con grande impegno per dimostrare a tutti che saremmo arrivati preparati e al meglio a questo storico appuntamento. E ci siamo riusciti.

Non deve essere stato semplice gestire la pressione mediatica dopo che vi siete aggiudicati l’evento. 

Dopo l’assegnazione abbiamo visto addirittura politici incatenarsi pubblicamente di fronte al nostro Parlamento per protestare contro la Ryder. Non capivano perché il golf, uno sport secondo loro d’élite e riservato a pochissimi, dovesse diventare teatro di qualcosa che sarebbe costato al nostro Paese molto denaro. Pareva insuperabile questo ostracismo generale, ma noi siamo andati avanti senza indugi, consapevoli delle nostre idee e della bontà del progetto, e abbiamo vinto anche in questo senso, convincendo alla fine anche chi non aveva mai creduto che un evento di golf potesse portare all’Italia vantaggi economici di enorme spessore. C’è tanta gente che dice che nonostante la Ryder i numeri del golf non crescono come dovrebbero. Intanto dobbiamo considerare quello che la pandemia ha provocato. Ci sono federazioni che sono addirittura sparite per il Covid. I frutti si potranno vedere solo nel tempo. Quando la gente resterà colpita dalla settimana di Roma e di tutta l’incredibile atmosfera che circonda la Ryder, si creerà un entusiasmo unico intorno al nostro sport. È un’altra scommessa, vediamo cosa succederà mai io sono certo che i risultati arriveranno.

Franco Chimenti, Presidente della Federazione Italiana Golf dal 2002. Sotto, in compagnia
di Luke Donald e Zach Johnson, capitani di Europa e Stati Uniti, con la Ryder Cup davanti al Colosseo

Cosa si aspetta e si augura, vittoria europea a parte, dalla settimana?

Mi aspetto un entusiasmo senza precedenti e un successo su tutta la linea. Abbiamo avuto un numero impressionante di richieste di biglietti e cercheremo di accontentare tutti perché anche gli italiani possano essere presenti in gran numero. Questo è un evento mondiale che prescinde dalle realtà locali, si parla di due Continenti che si affrontano per la gloria e la storia. La Ryder affascina tutti per l’incredibile unità che è capace di trasmettere a protagonisti e pubblico. Se pensiamo all’Europa, parliamo di popoli con culture e tradizioni molto diverse, tutti accomunati sotto un’unica bandiera, in una sorta di fratellanza che solo un evento come la Ryder è capace di creare, in campo come sulle tribune. È una straordinaria dimostrazione di unità che certifica che l’Europa funziona, e un aiuto concreto all’unità del nostro Continente. Lo sport abbatte barriere e unisce, non divide.  Se alla Ryder potessero partecipare anche un russo e un ucraino non avrei dubbi, sono certo che i due giocherebbero con una forza d’animo e d’intenti unica. Questo è il messaggio unico che è capace di trasmettere la Ryder, questa è la ragione per cui ci si batte con tutte le forze per eventi di questo genere. 

Che futuro si aspetta una volta terminata questa storica settimana?

Ho la certezza che il golf avrà una definitiva consacrazione nel nostro Paese con la Ryder Cup al Marco Simone. Ho la sicurezza che avrà una forte evoluzione. Il golf è uno sport sano dove non esistono arbitri e nemmeno dinamiche negative come in altre discipline. Il golf è uno sport che unisce in cui non ci sono mai divisioni profonde. La Ryder è una competizione a parte ma vige lo stesso spirito, di sano agonismo e di rispetto assoluto. Manifestazioni di questo tipo hanno un valore educativo di importanza non replicabile.

È questo il sogno più bello che ha realizzato come uomo di sport o ne ha ancora un altro?

Aver realizzato questo è per me motivo di enorme soddisfazione. Poi ormai sono state superate anche le ultime divisioni e tutti i media plaudono a questa nostra iniziativa. Ci rivediamo dopo la Ryder per parlarne ma sono certo che ci attende una settimana davvero indimenticabile, sotto ogni punto di vista.

Il taglio del nastro per l’inaugurazione ufficiale del Marco Simone, avvenuta in occasione dell’Open d’Italia del 2021