Forse non tutti sapete che l’ultima volta che all’Olgiata Golf Club si è organizzato un torneo professionistico di alto livello è stato nel 2015: sullo stesso, temibile percorso che sta per ospitare l’Open d’Italia e che all’epoca era stato rinnovato da poco, si disputò infatti un’edizione dell’EMC Open del Challenge Tour.

E forse non tutti sapete che in quell’occasione il torneo non solo fu dominato da un azzurro (Matteo Delpodio), ma che a oggi quello stesso torneo è ancora tra le quattro gare del circuito Challenge conquistate con lo score più alto della storia.

Per dire: nel 2015, nei ventitré tornei disputati in stagione, la media del punteggio vincente sul Challenge Tour si attestava sul 15 sotto al par; a Roma Delpodio vinse con meno 5, dieci colpi in più.

Come mai, vi chiederete. Perché il percorso era (ed è) tra i più tecnici d’Europa.

“Nel 2015 – racconta Delpodio – il tracciato fu tirato al massimo e giocammo il torneo dai tee più lunghi in assoluto: forse fu un test in vista di un torneo più importante da ospitare”.

Ma cos’è esattamente che rende “mostruoso” questo percorso?

Al netto dei diversi set up possibili, un insieme di fattori: innanzi tutto la lunghezza del tracciato, quindi i fairway che sono stretti e incastonati all’interno di boschi e cespugli, poi i par 5 non raggiungibili in due colpi e i par 3 da ferro 4, infine i green duri e veloci.

“In queste condizioni – aggiunge Delpodio – per essere performante diventa fondamentale la differenza che il giocatore riesce a fare con i colpi che guadagna da tee a green: fortunatamente, in questo settore del gioco gli italiani sono tra i più forti in assoluto”.

E infatti, in vista della 76esima edizione del nostro Open, se si è tifosi del tricolore, la domanda corretta da porsi è proprio la seguente: in questo tipo di percorso testé descritto, tecnicamente come se la cavano i nostri azzurri?

Iniziamo da Francesco Molinari e sciogliamo subito ogni dubbio: con i ferri lunghi in mano per il green che si hanno all’Olgiata, il torinese va letteralmente a nozze.

Per dire: nella passata stagione, nelle statistiche americane degli Strokes Gained Approach, cioè dei ferri al green, nella fascia dei colpi dai 200 metri all’asta, il Chicco nazionale è 7°: pochi la tirano meglio di lui.

In questo senso va fortissimo anche Guido Migliozzi, che in Europa a metà settembre era quinto negli Strokes Gained Tee to Green, cioè proprio in quel settore del gioco che Delpodio ritiene essere basilare all’Olgiata.

Non solo: il vicentino era anche 16° nelle statistiche Off The Tee, cioè del drive, che, vista la strettezza dei fairway, resta un colpo chiave in quel di Formello.

Restando in tema tee shot, da sottolineare anche le capacità di Lorenzo Gagli e di Edoardo Molinari, che in Europa, nel mese scorso, risultavano rispettivamente 29° e 30° in quanto a precisione col driver in mano.

A proposito, nel 2009, all’Olgiata, seppur su un tracciato totalmente diverso, fu proprio Edoardo ad aggiudicarsi l’Italian Federation Cup, il torneo del Challenge Tour: segno che a Roma il torinese si trova a suo agio.

Che dire poi di Paratore e di Pavan che a Roma sono nati e cresciuti? Solo una cosa, forse: che Andrea è 11° nella statistica europea del Par 3 Scoring.

Tradotto: essendo un ottimo colpitore di ferri, Pavan è tra quelli che performano meglio nei par 3, buche che all’Olgiata sono tra le più toste e decisive del percorso.

Infine, Nino Bertasio: l’azzurro sta registrando la miglior media score della sua carriera sullo European Tour.

Ma non solo: quest’anno il suo rendimento nei tornei delle Rolex Series già disputati (4° allo Scottish Open e 27° all’Irish Open) è ottimo.

E, tanto per non scordarlo, l’Open d’Italia è proprio un torneo delle Rolex Series.

Quindi, bene se non benissimo.