Il freddo e la relativa accensione dei termosifoni ci hanno fatto capire che si va a grandi passi verso il Natale, la notte di San Silvestro e il brindisi di benvenuto al 2022.

Sono tempi, questi, di bilanci.

Carlo Borghi, pirotecnico presidente del Comitato Regionale Lombardo della Federgolf, come spesso gli accade si è portato avanti con il programma. Ha cominciato a fare i conti sui nuovi tesserati e ha verificato che a ottobre 2021 i Circoli della Lombardia hanno fatto segnare un incremento del 15% rispetto all’anno passato.
Roba da stappare champagne immediatamente o, anche meglio, un Franciacorta (ogni riferimento è puramente voluto) senza aspettare Capodanno. 

Un’avanzata così corposa del numero dei golfisti non la si vedeva da tempo.

Ma adesso, archiviata la sorpresa, occorre cercare di capire meglio cosa è accaduto.
Non per assegnare medaglie a questo o a quello, visto che in molti tenteranno in ogni modo di intestarsi il successo, ma per capire i meccanismi che hanno portato al risultato lombardo e vedere se alcuni di questi fattori possono essere applicati su larga scala, facendo lievitare il numero dei golfisti non solo tra il Ticino e l’Oglio.

Perché ho l’impressione che non sia stato il nostro mondo ad attrarre nuovi adepti, ma ci si sia trovati di fronte a un’avanzata di nuovi golfisti per motivi di carattere generale.  

Per prima cosa la pandemia ha sicuramente messo in risalto come non tutti gli sport sono uguali.

Alcuni sono costretti al chiuso, obbligano a contatti ravvicinati, diventano rischiosi in certe situazioni sanitarie.
Altri – e il golf è tra questi – si sviluppano all’aperto, in spazi ampi e salutari, riducendo al minimo i contatti tra i giocatori. 

Dunque l’impressione di sport sicuro può avere spinto molti a varcare finalmente i cancelli di un golf club e a provare l’ebbrezza di maneggiare un ferro 7 sul tappetino del campo pratica.

Qualcun altro sostiene che lo stop di tutte le attività al chiuso e anche di molte all’aperto (si pensi allo sci, ad esempio) hanno dirottato i vedovi del calcetto, della palestra, del rugby e perfino delle bocce, verso i nostri fairway, rimasti praticabili a lungo, anche grazie a qualche italica invenzione normativa.  

Trasformati tutti in giocatori di interesse nazionale grazie all’handicap (one digit o doppia cifra, dal punto di vista legale non contava) abbiamo continuato imperterriti a vangare il campo con le nostre flappe, a lasciar partire rattoni inguardabili, a spedire palline in ogni dove grazie a slice e gancioni da Guinness. Ma tutto da giocatori di interesse nazionale, mica da zappatori seriali quali in effetti siamo.

Un altro elemento che qualcuno azzarda per spiegare il sorprendente incremento è il fatto che, aumentando il numero dei giocatori in campo soprattutto nel weekend, molti, per non essere messi in lista d’attesa, hanno preferito associarsi al Circolo – magari approfittando delle offerte a tempo che occhieggiano ormai in tutti i listini dei Club – invece che restare appesi ai “tesserifici” che fanno sì risparmiare, ma rischiano di metterti fuorigioco quando si tratta di competere per la Coppa Fragola o il Trofeo del Gestore. 

Di fronte a tutto questo il mondo del golf, a essere onesti, non ha trovato nuove soluzioni per sfruttare il momento favorevole.

Molti Circoli hanno continuato a combattersi a suon di sconti cercando di soffiare soci al vicino e anche il ruolo della Ryder Cup non ha fino ad ora aiutato le sorti del movimento italiano.
Tutti ripetono che occorre allargare la base di praticanti intonando un refrain che sento, identico, da quando – più di 30 anni fa – ho impugnato il primo ferro sotto l’occhio indulgente del maestro Alberto Ballarin.   

Il problema è che – senza dannarci più di tanto – in Lombardia adesso c’è un golfista e mezzo in più ogni dieci che vanno in campo. E questa è una splendida notizia.
Speriamo però che la tentazione di restare ancora più fermi, per aumentare il numero degli adepti, non diventi irresistibile, visto che le cose si stanno già muovendo con le proprie gambe.