Le incredibili vittorie negli ultimi mesi delle due giovani ragazze Anna Davis e Jennifer Kupcho gettano una luce di speranza sul futuro del golf femminile. Nello stesso weekend di inizio aprile la Davis si è imposta nell’Augusta National Women’s Amateur e la Kupcho è andata a segno nel Chevron Championship. 

Il mondo del golf si è inchinato all’adolescente californiana che ad appena 16 anni di età ha ammaliato con il suo gioco solido e la sua eccentricità. Jennifer che, ironia della sorte, vinse la prima edizione del Masters in rosa nel 2019, ha invece dominato in California aggiudicandosi il suo primo titolo sull’LPGA nonché primo major in carriera.

Adoro l’attenzione che il golf femminile sta ricevendo in questo momento, merito delle giovani promesse e delle campionesse dei massimi circuiti mondiali che stanno compiendo imprese straordinarie da quando ne ho memoria. Il segreto di questo successo e dell’interesse è da attribuirsi anche ai social network, sempre più coinvolti nello sviluppo e nella crescita del nostro sport. 

Questo è un mondo lontano anni luce da quando ero una giovane dilettante. All’epoca non c’era tutta questa consapevolezza del mondo professionistico e non esistevano le classifiche mondiali riservate agli amateur. Oggi, tutto è cambiato e sono molto felice di poter affermare di essere l’ultima generazione di ragazze cresciute senza troppo interesse mediatico. Nel mio piccolo, nel 2002 a 17 anni, mi sono qualificata per la prima edizione della Junior Solheim Cup senza sapere quale fosse il criterio di selezione. 

Credo fosse già marzo quando ho iniziato a sentir parlare per la prima volta di un evento di tale portata e ricordo che vicino a me c’era Louise Stahle, fortissima dilettante svedese, che è poi diventata la mia compagna nei foursome. Entrambe sapevamo di essere tra le migliori giocatrici d’Europa ma, senza la presenza di un ranking ufficiale, era difficile stabilire chi si sarebbe qualificata di diritto. Sia la Stahle che la sottoscritta ci siamo poi qualificate nuovamente per l’edizione del 2003, con l’incredibile vittoria della nostra squadra.

È brutto da dire ma quando ero ancora dilettante il mondo professionistico era come se non esistesse. Ad essere completamente onesta, fino all’età di 15 anni non ero in grado di identificare più di una giocatrice di golf tra le mie preferite, la grande Laura Davis. Poi le cose sono cambiate rapidamente, da quando ho iniziato a giocare due o tre eventi professionistici all’anno dai 15 anni fino al mio passaggio al professionismo. Non ho mai avuto un caddie e il calcolo dei metri per eseguire un colpo era completamente diverso da oggi, permettendomi però di allenare la mente e gestire meglio il percorso di gioco e la mia strategia. 

Quello che non è cambiato è l’impegno che ci si metteva ogni singolo giorno nell’allenamento e che oggi hanno le giovani leve. E vi dirò di più, sono contenta che la mia generazione non avesse i social a portata di mano, è già abbastanza difficile gestire il periodo dell’adolescenza ed essere competitive in campo senza il peso del giudizio del mondo sulle proprie spalle. Eravamo sicuramente più protette e, alla lunga, è stato vantaggioso.