Lo scorso anno, da debuttante nel major britannico, ha portato a casa la sua prima Claret Jug in carriera. A distanza di 12 mesi il 25enne californiano ci riprova sul palcoscenico più prestigioso del golf mondiale.

Partiamo dalla fine. Avrai riflettuto a lungo sulla tua vittoria dello scorso anno al Royal St George’s, qual è stato il momento clou?

Beh, il putt vincente! (Ride). Era la mia prima all’Open Championship ed ero partito con l’idea di fare esperienza sui links britannici. Il Royal St George’s è un po’ diverso dagli altri campi che ospitano questo major, devi solo capirlo e interpretarlo al meglio. È ciò che ho cercato di fare dal primo colpo di pratica sino al putt decisivo di domenica pomeriggio, penso di aver fatto un bel lavoro considerando che ero all’esordio assoluto…

Quest’anno si gioca nella casa del golf, St Andrews, e sono previsti 300.000 spettatori. Immagino che tu non veda l’ora di difendere al meglio la Claret Jug in un teatro simile.

Il pubblico è un fattore determinante in ogni sport, sono i fan che trasformano l’atmosfera di un evento in qualcosa di assolutamente magico. Ricordo quando giocavamo nel silenzio assoluto durante la pandemia, erano gare senza pathos, quasi noiose. Intendiamoci, io amo il mio lavoro e il golf ma l’energia che il pubblico è capace di trasmetterti durante una gara è impagabile, ti aiuta a tirare fuori il meglio del tuo gioco e a volte andare oltre i tuoi limiti. Lo scorso anno al Royal St George’s osservando i fan potevi percepire il loro amore per il gioco e la loro enorme passione. Si gioca per sé stessi ma anche per il pubblico. Ogni volta che penso a St Andrews e all’Old Course mi immagino la straordinaria accoglienza, quella di un pubblico unico ed estremamente competente. Sono queste le situazioni che mi stimolano maggiormente e che mi consentono di rendere al massimo.

Non hai mai giocato nemmeno all’Old Course, come ti immagini quindi la tua prima volta sul campo più famoso del mondo?

Molti mi chiedono se ho intenzione di andare a St Andrews prima per testarlo ma in realtà non l’ho mai fatto per nessun campo in cui ho giocato sino ad ora un major. Quando si tratta di St Andrews, ovviamente, il discorso è diverso. È la culla del nostro sport, trasuda storia, è un luogo leggendario ricco di fascino, un campo temibile sotto molti aspetti. Ma non cambierò la mia routine, da lunedì a mercoledì nei giorni di pratica mi preparerò al meglio studiando ogni colpo e situazione, immaginandomi come vorrei giocarlo nella mia testa. Non posso pensare di farlo come altri giocatori in passato, ognuno ha il proprio modo di affrontare ogni tracciato. Non sappiamo poi che tempo farà quella settimana, se soffierà vento, se ci sarà la pioggia oppure se avremo calma piatta. In fondo devo solo pensare a presentarmi al meglio delle mie possibilità. Ho l’esperienza dello scorso anno dalla mia parte quindi penso che alcuni dettagli pre gara riuscirò a sistemarli più rapidamente. L’anno scorso ho preso molti rischi, ho cambiato alcuni ferri in sacca e la configurazione del putter, quest’anno arrivo certamente più preparato ad andare in campo su un links puro e cercherò di interpretare al meglio l’Old Course e i suoi pericoli.

Immagino che avrai visto in tv il torneo quando eri ragazzino. Cosa ti è rimasto in mente più di tutto?

Ho in mente la 18 e la 17, non sono mai stato in un golf dove il campo fa praticamente parte della città stessa. L’amore per il gioco immagino che si respiri in ogni suo angolo. Non vedo l’ora di vivere queste emozioni e far parte di quella città, essere lì per l’Open quando tutto ruota intorno a questo evento. Spesso le città dove giochiamo sono anonime e vivono solo durante il torneo, a St Andrews si respira golf 365 giorni all’anno, sarà certamente meraviglioso far parte di una settimana così speciale.

Visto quanto ci hai detto, avrai delle motivazioni particolari per tornare ancora a casa con il titolo di Champion Golf of the Year?

Certamente, penso che non ci sia persona al mondo che non vorrebbe difendere la Claret Jug da campione in carica all’Old Course. Non sarà la stessa location dello scorso anno quindi per me sarà una novità assoluta ancora una volta. Ci sono molti colleghi che conoscono davvero bene il campo, io in pratica da tre anni mi confronto con loro su tracciati che non ho mai visto prima per cui la cosa non mi preoccupa. Quando i colpi contano e sono decisivi l’importante è fare il proprio gioco da tee a green ed essere incisivo con il putt. Ma per vincere bisogna farlo tutti e quattro i giorni.

L’anno scorso hai detto che giocare la settimana prima lo Scottish Open è stato importante per capire come affrontare nel modo giusto i links britannici. Farai la stessa cosa anche quest’anno? 

Il programma è di ripetere quanto fatto nel 2021, quindi giocare già la settimana prima in Scozia per prendere confidenza con clima e tracciati. Devo molto allo Scottish Open che mi ha permesso lo scorso anno di prepararmi al meglio e di capire come cambiare alcuni ferri in sacca. Nel 2021 arrivai nel pieno della mia forma e il mio gioco era perfetto. Iniziai a colpire la palla con i ferri e mancavo regolarmente i green, davvero frustrante. Diedi la colpa ai bastoni anche se raramente è così. Decisi quindi di fermarmi e capire cosa non andasse e lunedì, nel primo giro di prova a Royal St George’s, ho apportato alcune decisive modifiche che poi mi hanno permesso di esprimere al meglio il mio gioco e addirittura vincere.

Per quanto riguarda i fan, più sono e meglio è dal mio punto di vista. Il Masters di quest’anno è stata la prima volta che ho giocato il torneo con il pubblico a pieno regime: quando ho intorno una grande folla mi concentro maggiormente su quello che devo fare, non lo vedo come un elemento negativo, anzi. Mi diverto ancora di più quando c’è grande affluenza quindi non vedo l’ora di godermi l’Old Course strapieno di gente pronta a tifare per noi.

Il fatto che tu sia stato in grado di apportare quel cambiamento decisivo alla tua sacca lo scorso anno insieme al tuo caddie ti dà ancora più sicurezza di poterti adattare a qualsiasi campo al mondo?

Quello che ho fatto negli ultimi tre anni è cercare di capire in cosa devo adattarmi, come devo cambiare di settimana in settimana per rendere sempre al massimo. Ho imparato molto sui diversi grind dei wedge, su come questo possa reagire su diversi tipi di manto erboso e, nel caso dell’Open Championship, sui links. Cambiare è stato un rischio ma ha pagato. Ne ho parlato con il mio caddie e con il team di TaylorMade. Sapevo che qualcosa non andava nell’impatto e dovevo fare un cambiamento. Quando si tratta di rischiare devi farlo, senza timori. A volte riceverai una ricompensa come l’anno scorso, a volte magari sarà invece un fallimento, ma da quello imparerai ad essere migliore. 

C’è qualche giocatore di esperienza a cui hai chiesto o chiederai qualcosa sull’Old Course?

Non solo solito farlo, mi piace andare in campo e provare a capire il campo da solo. Da quello che ho sentito c’è da sperare che ci sia vento, per vedere il percorso nella sue veste abituale. Non amo personalmente ascoltare troppe persone perché questo mi allontana dal mio concetto di gioco. In passato mi è capitato ma non è andata proprio come volevo. Con il mio caddie e il mio coach stiamo facendo un ottimo lavoro e così sarà anche quest’anno: da lunedì a mercoledì lavoreremo duramente per arrivare al primo giro preparati al meglio per come giocare e quale strategia adottare.

Tu e Rory McIlroy sarete tra i grandi favoriti della vigilia, ti piacerebbe ripetere 18 buche come quelle che avete giocato insieme al Masters di quest’anno nell’ultimo giro?

Quel giro è probabilmente la più bella esperienza vissuta sin ora al Masters e lo resterà per sempre a meno che un giorno non vinca anche io la Giacca Verde. Non c’è miglior modo per uscire dal green della 18 in un giro finale di un major se non fare quello che abbiamo fatto quel giorno insieme e vedere la reazione entusiasta del pubblico.

Se  si ripetesse domenica all’Old Course durante l’Open? Sarebbe bello, sia io che lui siamo andati vicini a sollevare un altro major quest’anno e certamente saremo entrambi molto motivati, specialmente quest’anno che si gioca nella casa del golf. Vincere un torneo dello Slam non è solo una questione tecnica ma anche mentale. L’obiettivo è arrivare a rivivere quelle sensazioni, tornare ad assaporare quello stato d’animo, l’adrenalina dell’essere in contention che ti esalta e ti consente performance oltre i tuoi limiti

Ti sei tenuto la Claret Jug per un anno, dove esattamente?

In realtà le ho fatto fare poca strada: a casa di amici, a Las Vegas dove di solito mi alleno e a un paio di eventi con i miei sponsor. Tutti vogliono tenerla in mano, rappresenta la storia, il mito, è l’essenza del nostro gioco, il primo trofeo, il più antico. La cosa più bella è vedere come cambia il volto della gente comune quando la tocca. La Claret Jug non invecchierà mai, vederla sollevare al cielo da chi la vince sul campo è ogni volta una grande emozione. Entri a far parte della storia del gioco del golf e mai niente e nessuno potrà mai cancellarlo.

Il LIV Golf Tour è partito il mese scorso al Centurion creando una spaccatura con il PGA Tour, secondo te come andrà a finire?

Mi sono espresso sulla questione a inizio anno al Riviera. Io sono un giocatore del PGA Tour. Se continuerò a seguire la vicenda? Sì, certo, è il settore in cui sono impegnato quindi lo farò. Ma se mi chiedete se mi interessa chi si è schierato con loro o quanti soldi sono in palio vi rispondi di no, per niente. Io sono qui per vincere i major e i tornei del PGA Tour, così come spero di tornare a Dubai e difendere il mio titolo della Race to Dubai. Ci sono molte altre cose che ho in mente e diversi obiettivi che mi sono prefissato all’inizio dell’anno. Finora non ho ancora vinto quindi voglio tornare a farlo in fretta. Vorrei finire questo 2022 portando a casa almeno un altro titolo pesante e ce la metterò tutta per farlo.