La febbre da Masters sta iniziando a salire anche se bisognerà aspettare altri sette weekend prima che i cancelli della Magnolia Lane si aprano nuovamente.

Nella storia di Augusta ci sono stati campioni destinati a lasciare il segno e, a volte, addirittura a riscriverla. Dopo la vittoria di Tiger Woods dell’anno scorso un nome è tornato alla ribalta, a volte dimenticato e offuscato dai tanti, tantissimi giocatori e dalle nuove leve sfornate dal golf moderno.

Parliamo ovviamente di Sam Snead, passato alla storia non soltanto per il record di 82 vittorie sul PGA Tour, eguagliato da Tiger a fine ottobre del 2019, ma anche per la sua capacità di eseguire uno swing perfetto ammirato e invidiato da altri campioni del calibro di Jack Nicklaus, Gary Player e Billy Casper. 

Nato ad Ashwood, in Virginia, Snead si avvicinò subito al golf, prima come caddie all’età di sette anni per poi diventare a 19 assistente professionista presso l’Homestead Golf Club.

Riconosciuto da tutto il mondo per la sua immagine “rustica” e stravagante, indossava sempre il suo cappello di paglia, spesso si vedeva giocare a piedi nudi e non si stancava mai di ripetere quello che poi diventò il suo motto “Tieni sotto controllo i tuoi spiccioli, stai lontano dal whisky e non concedere mai un putt”. 

La sua carriera percorse ben cinque decadi. Iniziò la cavalcata al successo nel 1936 e da lì non si fermò, continuando a giocare fino al 1987 quando si ritirò dalle scene all’età di 75 anni.

Dotato di un talento eccezionale, al suo esordio impressionò il pubblico dopo aver raggiunto il green con un colpo da 315 metri. Questo gli valse da subito il soprannome di “Slammin Sammy” per la sua incredibile lunghezza generata con il driver e i ferri. 

Le storie spesso servono a spiegare l’ovvio. A volte, invece, certificano l’inevitabile  

Tantissimi sono gli aneddoti su di lui. Si narra che riuscì a fare buca in uno addirittura con ogni bastone della sacca a eccezione del putter, incluso un ace con un ferro 3 giocato da mancino. 

Dagli archivi del golf emergono molte testimonianze di grandi campioni del passato che hanno incontrato sul loro percorso Sam Snead e che gli hanno visto fare colpi incredibili. Lee Trevino restò ammaliato dal drive che Sam tirò dal fairway in un campo vicino a Fort Lauderdale nel 1967: “Non dimenticherò mai quel colpo in draw alto verso la bandiera a 200 metri di distanza e la palla leggermente più in bassa dei piedi. Ci mise molto poco: tirò e basta. E poi si comportò come se nulla fosse, come un colpo di routine che faceva tutti i giorni”. 

Jack Nicklaus ha più volte ammesso che da giocatore alle prime armi, quando chiudeva gli occhi e immaginava il tipo di swing che avrebbe voluto, visualizzava quello di Snead.
Gary Player, Chi Chi Rodriguez, Doug Ford, Johnny Miller, Fuzzy Zoeller, Bob Rosburg e Bob Goalby hanno tutti raccontato storie su quello che hanno visto fare a Snead con un bastone da golf in mano. 

Ma l’americano era questo e molto altro. Accanto alle vittorie, ai trionfi e a colpi entrarti nella leggenda, c’era il rammarico e la cocente delusione di non aver mai vinto lo U.S. Open e non aver mai compiuto il Grande Slam, oltre che l’amarezza nel vedersi il totale di vittorie nel PGA Tour ridotto da 88 a 81 e poi riportato a 82. Questo perché l’allora commissario del Tour americano, Deane Beman, decise di tenere validi solamente i tornei sopra le 54 buche giocate.

Campione incompreso

Sam Snead aveva anche la tendenza a lamentarsi, ma lo faceva in un modo umano e quasi toccante. In diverse interviste sottolineò come nel 1950 vinse ben undici tornei mentre Ben Hogan, suo eterno rivale, ne vinse solamente uno. “E alla fine della stagione a chi andò il titolo di “Giocatore dell’Anno” del PGA Tour? Ad Hogan, naturalmente”. 

A ricordare il grande campione c’è anche lui, Tiger Woods che, dopo aver raggiungo il traguardo degli 82 tornei vinti e conquistato l’incredibile, si è lasciato andare ricordando il suo idolo di sempre con un atteggiamento quasi reverenziale: “Ero un bambino quando ho conosciuto Sam Snead e, con gli anni, abbiamo stabilito un grande rapporto”, ha detto Woods. “Non vedevo l’ora che arrivasse il Masters per incontrarlo alla cena dei campioni. Era un momento unico per me. Sam spesso raccontava storie e barzellette. Era un vero onore condividere quell’ambiente con lui, sentirlo parlare di golf e ricordare diversi tornei era come vivere la storia. Di lui ho sempre ammirato anche la sua preparazione fisica, come si fosse mantenuto in grande forma con il passare degli anni. Era un atleta eccezionale. Sento molto la mancanza di Sam e sono onorato di essere stato suo amico”.

Ecco forse proprio questo è il miracolo di Snead. Se hai passato del tempo assieme a lui, allora il suo ricordo vivrà con te per sempre.