Nel 2020 il duello tra il numero 1 e 2 del mondo si farà ancora più fitto, ma rispetto agli anni passati, c’è un Rory che pare molto più consapevole delle proprie possibilità e un Brooks troppo arroccato sulle sue posizioni di forza.

Si sa: la conoscenza è tutto.

Per dire: se in un qualsivoglia momento della sua impegnatissima vita sotto i riflettori Brooks Koepka avesse spulciato i classici greci, concetti come “hybris” e “trappola di Tucidide” gli sarebbero assai noti.

E risultandogli noti, probabilmente gli avrebbero evitato certi guai derivanti da talune recenti dichiarazioni esibite nei confronti di Rory McIlroy.

Ma andiamo con ordine: qualche scriba golfistico, in qualche conferenza stampa in qualche parte del globo, a metà ottobre ha avuto l’ardire di domandare al numero 1 del mondo cosa ne pensasse della rivalità esistente col trentenne nordirlandese che, proprio ai danni di Brooks, negli Stati Uniti aveva appena conquistato la finalissima FedEx Cup di Atlanta e, conseguentemente, il titolo di Player of The Year del Pga Tour.

Ora, i saggi dicono che non esistono domande non intelligenti, esistono semmai risposte stupide.

Ed eccoci, infatti, con Koepka che in Corea, all’esordio della CJ Cup, non ha perso l’occasione per ribattere con la sua consueta umiltà:

“Da quando sono sul circuito, Rory non ha mai vinto un titolo major. Per cui non mi pare che la nostra si possa definire una vera e propria rivalità”.

Fermi tutti. A parte che l’unico al mondo a non vedere un tira e molla continuo tra il numero 1 del World Ranking e il numero 2 è solo Brooks Koepka, ciò che è innegabile (e pure imperdonabile) è che nei comportamenti e nelle parole dell’americano vi sia quasi sempre una forte dose di quella “hybris” greca a cui accennavo in precedenza.

Per chi ha frequentato il liceo classico, il tema è arcinoto; per chi non lo ha frequentato, ecco servita la spiegazione: qualsiasi eroe, dai tempi di Omero e Ulisse in poi, sapeva che gli dei avrebbero punito con somma goduria chiunque di loro si fosse macchiato di tracotanza.

Insomma, nell’Avanti Cristo questa benedetta “hybris” altro non era che il peggior peccato che si potesse commettere: la superbia. L’arroganza. La presunzione. La prevaricazione.

Siccome i greci quando parlavano di “hybris” si riferivano a un’azione avvenuta nel passato che produceva conseguenze negative su persone ed eventi nel presente e siccome ne discettavano a ragion veduta, eccoci qui con un Brooks Koepka acciaccato che, mentre Rory conquistava il suo 4° titolo 2019 all’HSBC Champions, saltava tutta la Fall Series del Pga Tour per un guaio serio al ginocchio sinistro che non smetteva di scricchiolare.

Ah, l’ira degli dei… Ma non solo. Qui c’entra anche Tucidide. O meglio, la cosiddetta “trappola di Tucidide”.

Di nuovo, per chi non vanta un passato chino sul vocabolario Rocci di greco al liceo classico, ecco la spiegazione: la “trappola di Tucidide” è un’immagine usata per descrivere la tendenza di una potenza dominante a ricorrere alla forza per contenere una forza emergente.

Da cotanta paura di perdere il primato, la storia greca ci insegna che scaturiscono solo guai: la rivalità tra Sparta e Atene e la conseguente guerra del Peloponneso; l’odierno scontro tra gli Stati Uniti e la Cina e l’arrivo dei dazi economici; le scaramucce di Koepka contro Rory e le sue inutili quanto antipatiche sparate sui media.

Morale: mentre Brooks sembra prigioniero dell’immagine di maschio virile che in questa stagione d’interminabili polemiche (ve le ricordate le querelle contro DeChambeau, Chamblee, Holmes e Garcia?) ha costruito intorno a se stesso e ai suoi bicipiti, dal canto suo, Rory, forte in questo 2019 dei suoi quattro trionfi, dei suoi 17 Top Ten, delle sue statistiche da numero 1 in tutti i settori del gioco e, infine, del titolo di Player of The Year, se ne sta in silenzio e quatto, quatto, da un paio di anni legge pile di libri.

“Leggo di tutto – ha raccontato -. Ho iniziato con manuali di mindfulness e meditazione e ho imparato molto sulla gestione dei momenti di stress. Ho letto testi che mi hanno aiutato a staccarmi dal telefono cellulare e dall’odio che circola in rete. Recentemente poi, volando in Giappone per un match di rugby degli All Blacks, ho letto un libro su di loro e ho scoperto come gestiscono le ore libere prima dei match ed è stato illuminante: insomma, da ogni lettura ho appreso qualcosa che mi ha fatto crescere”. 

Ora, a dare retta a Daniel Pennac, “un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa, persino da te stesso”.

A giudicare dagli exploit di Rory in questo 2019, tutte queste letture paiono nel tempo aver aiutato il nordirlandese a gestire meglio quella forte pressione che in passato non ha mai amato sentire sulle spalle, e, soprattutto, lo hanno reso più maturo e realista nella gestione del suo enorme potenziale.

“Sono eccitato per il futuro – ha dichiarato – perché questa stagione non ha nulla in meno rispetto a quelle del 2014 e del 2015. E in tutta onestà non vedo perché il 2020 non possa essere persino migliore”.

Morale: Brooks Koepka è avvertito. In vista del prossimo anno, insieme a un bel po’ di pratica al driving range, urge anche qualche sana lettura classica.

Perché si sa: il corpo si spinge laddove la mente spazia.