Quarta puntata della nostra passerella dedicata agli errori e alle infrazioni relativi alle regole, che hanno segnato la storia del golf. Qui i link con la puntata 1, la puntata 2  e la puntata 3. Ci ha pensato Golf Digest a ricordare le più famose infrazioni registrate sui Tour. Ve le proponiamo divise in sei appuntamenti domenicali sul nostro sito. Partiti dagli anni 20 del secolo scorso con il grande Bobby Jones, arriveremo fino alle celebri infrazioni dei giorni nostri.

Infrazioni 2000 – 2010

Ian Woosnam, 2001 Open Championship

Il fallimento di Woosnam nel round finale del 2001 è in gran parte dovuto a uno dei più clamorosi errori del golf recente. Dopo il birdie sulla prima buca al Royal Lytham & St Annes, Woosie, all’epoca 43 anni, era in lizza per vincere un secondo major in carriera. Ma sul secondo tee si scoprì scoperto che il secondo driver con cui Woosnam si stava allenando sul campo era rimasto nella sua sacca. Il che significava averne con sé 15, una in più rispetto a quanto consentito. Per colpa del caddie Miles Byrne, che poi si vociferò avesse alzato un po’ troppo il gomito la sera precedente, il gallese venne penalizzato di due colpi. Da quel momento il suo gioco non fu lo stesso, brillante e preciso, dei giorni precedenti. Finì così terzo, a quattro colpi da David Duval, in quell’occasione vincitore del suo unico major in carriera. E quello per l’americano fu anche l’ultimo successo sui Tour maggiori.

Jeff Maggert, 2003 Masters

Con un vantaggio di due colpi dopo 54 buche, Maggert era pronto per tentare il successo in quello che sarebbe stato il suo unico titolo importante. Tre buche nel suo giro finale infransero però quel sogno. Sul corto terzo par 4, Maggert giocò in sicurezza dal tee con un ferro 2, trovando però un bunker da fairway. Quindi tentò l’approccio con un wedge da 53 gradi. La palla colpì il bordo del bunker, tornando indietro e colpendo Maggert al petto. Doppia penalità e triplo bogey finale. Più tardi, sulle seconde nove, Maggert chiuse con un disastroso un 8 il celebre par 3 della 12 sull’Amen Corner. Nonostante queste due terribili buche, riuscì a chiudere in 75, finendo a cinque colpi da un potenziale playoff.

Nota: quando l’USGA e l’R & A hanno modernizzato le regole del golf nel 2019, questa regola è stata modificata in modo che i giocatori non siano più penalizzati se la loro palla viene deviata accidentalmente da loro stessi o dal loro equipaggiamento.

Jesper Parnevik, Mark Roe, 2003 Open Championship

Roe quell’anno al Royal St. George’s ebbe la possibilità di lottare per quella che sarebbe stata la più grande vittoria della sua carriera. Dopo 54 buche, l’inglese era in vantaggio di due colpi grazie a un 67 del terzo round. Purtroppo non ebbe mai la possibilità di disputare il quarto. Lui e Parnevik, il suo compagno di gioco, infatti vennero squalificati. La ragione? La coppia si dimenticò di scambiarsi le scorecard sul primo tee sabato. Hanno quindi annotato erroneamente i punteggi l’uno dell’altro, finendo perciò fuori gara. E quella fu anche l’ultima volta in cui Roe giocò in un major…

Michelle Wie, 2005 Samsung World Championship

Nel suo primo evento da professionista, Wie, allora 16enne, ottenne un impressionante quarto posto. Ma un giornalista informò i funzionari di aver notato un giorno prima che Wie avesse droppato più vicina alla buca, in quel caso la settima. Wie alla fine fu squalificata per aver firmato una scorecard non corretta, privata del quarto posto e dell’assegno di 53.126 dollari che ne derivava.

Brian Davis, 2010 RBC Heritage

Dopo un birdie alla 18a e famosa buca di Harbour Town, Davis riuscì ad agguantare il playoff, che avrebbe disputato con Jim Furyk. Di nuovo sulla 18, Davis puntò dritto all’asta, finendo però a sinistra, nella sabbia. Quando mosse il suo bastone, sfiorò una zolla d’erba, che era un impedimento sciolto. Davis chiamò immediatamente l’arbitro Slugger White per verificare se avesse commesso un’infrazione. Cosa che White confermò. Due colpi di penalità e Furyk vinse con facilità. Davis, che ora ha 46 anni, non ha mai vinto sul PGA Tour. In compenso ha portato a casa più di 13 milioni e mezzo di dollari, il massimo di qualsiasi giocatore che non si sia mai imposto in una prova del Tour.

Dustin Johnson, PGA Championship 2010

Una delle pagine più “dolorose” nella storia delle infrazioni golfistiche. Dopo aver mancato l’ultimo fairway del major, il PGA Championship, Johnson appoggiò il suo bastone in quella che sembrava essere una waste area. Se DJ avesse guardato più da vicino la nota sull’armadietto di ogni giocatore quella settimana a Whistling Straits, tuttavia, avrebbe saputo che in realtà si trovava in un bunker. Chiuse con un bogey, che gli sarebbe bastato per disputare il playoff con Martin Kaymer, che poi vinse, e Bubba Watson. Era infatti in testa per un colpo, grazie ai birdie sulla 16 e 17. Sul green della 18 venne invece informato della violazione, tradotta in una penalità di due colpi. E così dovette accontentarsi del quinto posto.

Uli Inkster, 2010 Safeway Classic

Con tre colpi di vantaggio dopo 36 buche, Inkster era in ottima posizione per una vittoria. Ma non ebbe mai la possibilità di provarci. Uno spettatore aveva contattato via e-mail l’LPGA e la fece squalificare. Inkster aveva usato un aiuto per l’allenamento durante il gioco. Durante una lunga attesa sul decimo tee, agganciò una ciambella appesantita al suo ferro 9 , facendo alcune oscillazioni per rimanere sciolta. Un fatto non consentito dal regolamento.

Ryuji Imada, 2010 Mission Hills Star Trophy

A un giocatore possono essere assegnati retroattivamente colpi di penalità per infrazioni commesse durante un giro. E quei colpi di penalità possono sommarsi. Imada può vantare un insolito e poco piacevole record. La mancata lettura di una regola locale si aggiunse a una penalità di ben 26 colpi in un evento a 36 buche, in Cina. I giocatori non erano autorizzati a sollevare, pulire e posizionare la palla. Imada invece lo aveva fatto 13 volte prima di essere informato che non gli era permesso.

4) continua