Con l’Open Championship al Royal St. George’s i giocatori hanno avuto modo di apprezzare nuovamente gli applausi e l’incitamento del pubblico. È stata davvero una grande emozione rivedere le tribune gremite e le ordinate code degli spettatori in attesa di un posto a sedere.

La novità assoluta di questa edizione è stata l’obbligo per i Player’s Guest, di camminare all’interno delle corde.
Una bellissima occasione per vivere il torneo a stretto contatto con i giocatori e per non doversi arrampicare sulle numerose dune che circondano lo splendido percorso situato nella baia di Sandwich.

Come sempre l’atmosfera di questo major in terra britannica è stata stupenda.
I boati del pubblico sottolineavano i colpi vincenti che echeggiavano per il campo e arrivavano alle orecchie dei giocatori proprio come un urlo di battaglia nemico.

Purtroppo, l’unica nota dolente è stato l’immeritato taglio mancato di Guido Migliozzi per un solo colpo. Abbiamo preparato l’Open nel migliore dei modi, scegliendo di giocare da soli negli orari meno affollati per scoprire ogni possibile tranello di questo storico percorso inglese.

I campi che ospitano questo major sono costellati di piccoli trabocchetti e vanno quindi studiati nei minimi particolari se non si vogliono avere spiacevoli sorprese in gara.

Durante le giornate di allenamento ci siamo soffermati su ogni green per almeno 10 minuti, provando ogni tipo di approccio che potesse capitare e testando i diversi tipi di esecuzione.
I links lasciano infatti la possibilità di usare molta immaginazione attorno ai green, capita spesso di poter eseguire lo stesso colpo con bastoni completamente diversi.

Abbiamo lavorato a lungo in campo pratica con il Trackman per capire l’esatta influenza dell’intensità del vento e di quanti metri rubasse il colpo quando soffiava diretto in faccia.

Per fare un esempio, nelle punte di massima velocità con il ferro 7 si raggiungevano 130 metri, una quarantina di metri in meno rispetto alla norma. L’altro lavoro molto importante è stato il valutare quanto effetto dare alla palla per contrastare le folate di vento laterali.

Purtroppo per noi durante il torneo le condizioni climatiche non sono state difficili come speravamo di incontrare.

Eravamo sicuramente molto ben preparati ad affrontare il forte vento di mare che solitamente mette in difficoltà gran parte dei giocatori ma, alla fine, Eolo ha riposato e ci ha mandato solo una piccola e timida brezza.

Ma ha fatto la grande gioia del pubblico, che ha fatto invece enorme uso di creme solari e ha potuto sfoggiare pantaloni corti e magliette.

Guido ha giocato davvero molto bene mettendo in luce una forte predisposizione per questo tipo di percorso.

Il taglio mancato di appena un colpo causato da un rimbalzo imprevedibile del drive alla 17 e dal putt della 18 che è letteralmente entrato e uscito, lascia molto amaro in bocca.
Ma anche la grande voglia di rifarsi in occasione dell’Open Championship di St Andrews dell’anno prossimo.
Pensate che proprio al Royal St George’s il giovane azzurro vinse a 17 anni il prestigioso Duke of York. Le sue caratteristiche di gioco si sposano infatti molto bene con le difficili situazioni che normalmente si trovano sui links.   

Guido ha grande facilità nello scalare la marcia con i ferri, abbassare lo spin e utilizzare traiettorie basse e penetranti. Caratteristiche non facili da allenare se non possiedi già nel DNA e non le hai testate bene da ragazzino.

Purtroppo, a tradire gli italiani sono state proprio due palle trovate ingiocabili in bunker. Dopo essere rimasti dentro con il primo colpo, sia Guido che Francesco Molinari si sono ritrovati la palla sprofondata nelle proprie impronte.

Questi episodi capitano spesso su questi tipi di campi.
Successe la stessa cosa a Thomas Bjorn nel 2003 quando si trovava in testa di ben tre colpi a tre buche dal termine e dovette cedere la Claret Jug, che aveva già tra le mani, all’americano Ben Curtis.