Clubhouse dello Stuttgarter Golf Club Solitude. Davanti a noi una fila di giornalisti con taccuino in mano e tanta esperienza alle spalle.

Ci fanno entrare in un salottino e lì, ad aspettarci, Bernhard Langer che ci accoglie con un caldo sorriso.

E subito inizia il lungo racconto del campione tedesco fatto di ricordi indelebili, di tanta ironia e di una certezza: rendere il golf sempre più veloce.

Per cominciare, ci può raccontare qualcosa che pochi conoscono.

All’inizio della carriera la mia grande passione era l’insegnamento. Appena passato al professionismo, nel 1972, quando avevo 18 anni, passavo anche ore a fare lezione al Munich Golf Club. Dopo tre anni nei quali mi destreggiavo tra gare e campo pratica, capì che forse non sarei solamente “sopravvissuto” sul Tour maggiore. Forse potevo diventare qualcuno. Da allora decisi di dedicare tutte le mie energie al gioco.

Ha concluso il suo primo anno sull’European Tour in 56esima posizione. Poi cosa è successo?

Non fu un periodo facile. Dovetti abbandonare il golf, dapprima per 15 mesi, per fare il servizio militare, poi per un problema alla schiena. Sei settimane in ospedale. Lì pensai che la mia carriera fosse già finita. Ma sai, noi tedeschi abbiamo la testa dura. Mi sono alzato da quel letto, ho fatto fisioterapia e ripreso il ferro in mano perché, in cuor mio, sapevo che il sogno si doveva ancora realizzare.

Nonostante l’ampia espansione che ha avuto il nostro sport, come possiamo renderlo più appetibile e interessante per le nuove generazioni?

Bella domanda! Sappiamo tutti quanto tempo e soldi ci vogliano per giocare. Rispetto a quando ho iniziato io i costi si sono dimezzati ma la questione “tempo” è sempre la principale. Se un ragazzo ha poco tempo a disposizione preferirà un altro tipo di sport. Dobbiamo innovarci e trovare il sistema di rendere tutto più veloce.

Ha anticipato la mia prossima domanda. Se le dicessi “gioco lento” cosa mi risponderebbe?

Ti direi che non se ne può più. Bisogna cominciare a risolvere questo problema partendo dal mondo dilettantistico, iniziando con gare su 6 o 9 buche. Così mi riallaccio alla domanda di prima e finisco nel dire che i ragazzi hanno ormai tantissimi interessi ed è inutile passare cinque ore su un campo da golf. Il futuro sono i tornei a 6 o 9 buche. Dopo due ore, due e mezzo se ne tiri tanti, torni a casa e fai altro. 

Anche il golf professionistico ha iniziato a prendere provvedimenti sul gioco lento. Cosa si può fare per eliminare questo problema?

Non possiamo paragonare le due realtà. Qua non parliamo dei “giocatori della domenica” ma di professionisti che ogni settimana si giocano milioni di dollari e un posto per l’anno successivo su PGA ed European Tour. Inoltre, i tempi di percorrenza si dilatano perché i percorsi si sono allungati in modo esponenziale rispetto a 15 o 20 anni fa. Siamo passati da una lunghezza media di 6.000 metri a una di 7.000 ed è ovvio quindi che si impieghi più tempo a finire 18 buche. Un ulteriore ostacolo al gioco lento sul Tour è poi la difficoltà con la quale vengono preparati i campi. Fairway strettissimi, rough sempre più alti e duri e posizioni di bandiera a volte proibitive.

In questo modo sembra che stia giustificando i suoi colleghi però…

Queste sono le ragioni che portano il golf professionistico ad avere tempi lunghi. Poi sono i giocatori stessi a doversi dare una mossa in campo. Quante volte non sono mai sulla palla e pronti a tirare quando è il loro turno? Quante volte perdono tempo sistemandosi il guanto o leggendo la mappetta per minuti come se lì dentro fosse nascosto il segreto che permetta loro di segnare solo eagle! Quindi no, non giustifico nessuno.

Ho sempre pensato che la sua esatta antitesi nel golf fosse Seve Ballesteros. Lei così preciso e pragmatico e Ballesteros più impulsivo, tanto genio e sregolatezza. C’è sempre stata molta rivalità tra voi due?

Sì, c’è sempre stata rivalità ma perché, prima di tutto, eravamo grandi amici, soprattutto in età adulta, e c’è sempre stato un profondo rispetto dell’uno verso l’altro. Lui era molto più spettacolare ed emozionante e nei momenti di difficoltà tirava fuori colpi inverosimili, io invece ero forse meno coinvolgente ma sicuramente più preciso di Seve e cercavo di evitare di mettermi nei guai.

Personalità assolutamente opposte quindi come Niki Lauda e James Hunt?

Stavo per dire come Borg e McEnroe, ma ottimo paragone anche il tuo.

In quasi mezzo secolo di agonismo, qual è il giocatore che l’ha impressionata di più?

Senza alcun dubbio Johnny Miller. Ho giocato con lui durante l’Open d’Italia del 1974 e da allora non ho mai più visto nulla di simile. Non dimenticherò mai le sue seconde nove buche dell’ultimo giro, il modo con il quale colpiva la pallina, il suono che faceva il bastone all’impatto, la traiettoria perfetta e il controllo della distanza. Stranamente non vinse il torneo e arrivò secondo dietro a Peter Oosterhuis. Ma il suo golf quel giorno è il golf che vedo quando chiudo gli occhi e sogno.

Lei sembra non dimenticarsi di nulla, visto come si ricorda dei dettagli. Il suo miglior colpo in carriera?

Masters del 1993, domenica, ultimo giro. Buca 5, ferro 4. Ah, e alla fine indossai la mia seconda Giacca Verde.

Ha vinto 104 tornei nella sua lunga carriera e tra questi 42 vittorie sull’European Tour, tre sul PGA Tour, due major e 40 sul PGA Tour Championship. Nel 1986 divenne inoltre il primo numero uno del mondo. Che cosa desidererebbe ancora?

Posso essere molto sincero e dire veramente quello che desidero? Vorrei smettere di fare quattro putt, ma temo che sarà molto difficile!

Cosa succede sul green a un giocatore della sua portata? 

Non so dirti cosa succeda di preciso anche perché altrimenti avrei risolto l’80% dei miei problemi. Mi è capitato di fare quattro putt da meno di due metri e una volta ho fatto perfino doppio tocco. Ti assicuro che è molto più difficile a farsi che a dirsi. La mia è una “malattia” da torneo e si presenta nel momento peggiore.

Parliamo delle sue più importanti vittorie, i due Masters. Ha sempre giocato bene all’Augusta National. È un percorso che le tira fuori il meglio?

Assolutamente sì, adoro quel campo. A volte ti costringe ad avere una fervida immaginazione, se non prendi il green hai almeno sei ferri tra i quali scegliere per approcciare. Augusta non è fatta per i picchiatori ma per i creativi.   

Dopo 47 anni di incredibile carriera, dove trova ancora la forza per mettersi sempre in discussione?

La motivazione è alla base di tutto. Essere sempre stimolato a fare meglio e in competizione. Ammetto di essere competitivo in tutto ciò che faccio, anche quando gioco a ping   pong. E credo che questa sia la fiamma che tiene acceso tutto. Prima mi hai detto di essere stata nella Nazionale Italiana di golf, quindi sai benissimo di cosa parlo.

Assolutamente sì e ci fosse un tavolo da ping pong la sfiderei subito, se potessi.
Va bene chiediamo se ce n’è uno. Ma prima andiamo a mangiarci un Club sandwich. Qua lo fanno davvero buonissimo.