Si è concluso un meraviglioso Open d’Italia. Finalmente siamo riusciti ad offrire ai giocatori un campo in condizioni perfette a livello di manto erboso e di manutenzione.
I green, molto mossi, veloci e duri hanno fatto sì che il “nuovo” Marco Simone abbia potuto reggere egregiamente l’impatto con il Tour, che ha comunque schierato nomi importanti e un ottimo field.

La macchina organizzativa ha funzionato perfettamente, nel rispetto dei severi protocolli Covid

Inimmaginabile la mole di lavoro che precede un evento del genere.
Solo chi lo vive di persona può capire quanto sia in salita la strada che porta al successo, e questa volta il successo c’è stato eccome. 

Non è mancato all’appello neppure il caldo sole romano, che ha accompagnato il nostro prestigioso torneo durante tutte le giornate di gara.
L’unico grande assente è stato il pubblico, poco, troppo poco per un Open giocato sul campo che ospiterà la Ryder 2023, situato a pochi chilometri dal centro di Roma.

Il fairway della buca 1 del Marco Simone Golf Club

I risultati li avete visti. Ottimi Top 5 per Francesco Laporta ed Edoardo Molinari ma prestazione sotto tono delle seconde linee, poco abituati a giocare su percorsi con queste difficili caratteristiche tecniche.

Se per l’Open d’Italia il campo ha avuto buone recensioni da parte dei giocatori, come sarà invece giudicato in chiave Ryder Cup? Andiamo quindi a evidenziare qualche particolarità e qualche curiosità in vista dell’atteso match tra Europa e Stati Uniti tra due anni. Difficile dire quale delle due squadre possa essere favorita dal disegno di questo tracciato. Possiamo affermare senza ombra di dubbio che i giocatori dovranno abituarsi al fatto di ritrovarsi pochissimi secondi colpi con la palla in piano: ben otto sono gli attacchi al green con lie in salita e slope pronunciati, mentre tre sono quelli nei quali i protagonisti dovranno gestire una palla in discesa.

Questa particolarità potrebbe sulla carta favorire il Team Europa, sicuramente più abituato a tipologie di campi “mossi” rispetto agli americani. Un’altra caratteristica del percorso sono i suoi ben undici dogleg nei quali i “picchiatori” potranno trarne grandi vantaggi se opteranno per linee aggressive. In molti casi infatti, prendendosi qualche rischio in più, avranno davvero l’occasione di ridicolizzare parecchie buche e di crearsi enormi vantaggi rispetto ad avversari medio lunghi. Questo aspetto potrebbe favorire gli statunitensi, notoriamente più lunghi e potenti rispetto ai nostri giocatori.

Anche i green molto ondulati e veloci potrebbero giocare a favore degli americani, che hanno la possibilità di giocare ed allenarsi tutto l’anno in situazioni analoghe.

Dal punto di vista tecnico normalmente un campo con così tanti dogleg richiede la capacità di saper eseguire entrambi gli effetti. Al Marco Simone questa dote non è necessaria, non essendoci alberi nelle vicinanze dei battitori che ti obbligano a seguire il disegno del tracciato. Si è infatti liberi di poter interpretare tutti i tee shot con l’effetto che si preferisce.

Un elemento importante per scegliere a chi destinare le wild card sarà necessariamente la forma fisica dei giocatori.

Il campo è davvero molto faticoso, vi sono tante salite da percorrere e non tutti saranno in grado di sopportare le 36 buche giornaliere e di arrivare freschi per i decisivi incontri singoli della domenica.

Qualche correzione per la Ryder Cup credo debba essere comunque apportata al percorso, alcune buche a mio avviso sono piuttosto anonime. Il tee shot della buca 3 è cieco e senza punti di riferimento sulla sinistra. La buca 5, un corto par 4 interessato da un bel lago, ha un green troppo grande e distante dall’acqua. Il secondo colpo deve assolutamente diventare un challenge e presentare qualche difficoltà in più.

Anche la 6 è una buca senza ’pepe’: doveroso sarà rendere più impegnativo il colpo di partenza.

Il green della buca 7 dovrà per forza di cose essere rivisto. È un par 3 dall’enorme potenziale, reso poco divertente da un green mal concepito e con pendenze troppo pronunciate.

Il finale sarà sicuramente divertente per la formula di gioco match-play. Alla 16, par 4 corto, in tanti prenderanno il rischio di tirare al green sopra l’acqua. La 17 è uno splendido e delicato par 3 con un green molto stretto e approcci difficili da ambo le parti, mentre la 18 è il classico par 5 raggiungibile in due con il green difeso dall’acqua.

Sarà curioso vedere che tipo di set-up chiederà il nostro capitano per favorire il team europeo: sarà sufficiente tenere i green lenti e stringere gli atterraggi intorno ai 300 metri per domare gli Stati Uniti? Speriamo di sì!

Ma ricordiamoci che a Parigi abbiamo vinto anche perché abbiamo giocato su di un percorso che i nostri giocatori conoscevano a memoria. Spero vivamente che nelle prossime edizioni dell’Open d’Italia tutti i migliori giocatori europei vengano a familiarizzare con il nuovo Marco Simone e ad ammirare la nostra splendida Capitale.