“Gioco nel ‘Jesuit Golf Team’ e sono il primo junior del paese. Il mio sogno è giocare da professionista e vincere il Masters.”

Questa frase fa parte di una lettera che Jordan Spieth scrisse a mano, l’8 settembre 2009, al signore e alla signora Murphy, per ringraziarli del supporto alla sua scuola tramite un fondo intitolato a Joseph M. Murphy.

Una frase profetica, che la dice lunga sulla fermezza di propositi del giovane Jordan, in quel momento da poco quindicenne.

Un atteggiamento determinato che Davis Love III rinforza con un ricordo legato al proprio figlio, Dru, della stessa età di Spieth.

“Per un caso avevano giocato insieme – dice il capitano americano di Ryder Cup – portando a casa lo stesso score, un bel 66. Stesso davvero? Direi di no.

Per Dru era stata una piacevole giornata in campo, per Jordan la conferma che sarebbe diventato un buon professionista.”

Dominatore del Masters ad aprile e fresco vincitore dello U.S. Open, nonostante i suoi soli 21 anni (è nato a Dallas, in Texas, il 27 luglio 1993) Spieth era da tempo un predestinato.

Anche se sembra ripercorrere passo dopo passo il travolgente inizio del giovane Tiger, moltissimi sostengono che il vero riferimento sia però Jack Nicklaus, a cominciare da quel suo essere americano doc, il classico ragazzo della porta accanto dalla faccia pulita, diventato in poco tempo un eroe.

E non a caso un’azienda in rapida crescita come Under Armour ha investito pesantemente su di lui anche per questo motivo.

Lontano al momento dallo strapotere di Nike, il marchio di abbigliamento sportivo fondato e guidato del CEO Kevin Plank fattura comunque tre miliardi di dollari (contro 27) e ha superato proprio in questi mesi Adidas, guadagnando il secondo posto nelle vendite USA.

La scelta di ingaggiare Jordan è partita nel gennaio 2013, con il primo contratto.

Il rinnovo è arrivato proprio nel giorno in cui McIlroy firmava la prosecuzione del suo rapporto con Nike, quindi per i più è passato in sordina.

In realtà, vista la crescita già conclamata di Spieth, Under Armour gli aveva addirittura proposto un impegno della durata di 25 anni, poi ridotto a “soli” dieci.

Quanto vale? Nessuna somma è trapelata e in più una notevole incidenza è agganciata agli incentivi per i risultati ottenuti, fatto che rende difficile ipotizzare cifre.

Quello che invece i più attenti sono riusciti a contare sono i marchi Under Armour che Spieth portava addosso la domenica in cui ha vinto i primi due Major del 2015. Fra cappellino, polo, pantaloni e scarpe erano ben 16.

Per la sola stagione 2014, nel borsino del golf Spieth comunque valeva già più di 12 milioni (4,3 conquistati in campo) e ad oggi quella del 2015 gliene ha fatti incassare quasi otto di soli premi.

Il “golden boy” di Dallas ha messo da parte una bella fortuna, che gli ha dato la possibilità di acquistare una casa nuova per tutta la famiglia.

Quasi 700 i metri quadrati, appena fuori città, con cinque camere da letto, grande patio coperto, piscina, un enorme giardino e putting green: il tutto per 2,2 milioni di dollari.

Ma come dicevamo, gli Spieth non hanno certo problemi economici, visto che oltre a premi e a Under Armour  il fenomenale Jordan ha contratti con Rolex, AT&T e Titleist, più altri accordi per il momento di minore entità.

Partito fortissimo fin dagli anni in cui era junior, ha comunque seguito le tracce lasciate da Woods.

È infatti lui l’unico, oltre a Tiger, ad aver vinto più di una volta l’U.S. Amateur (2009 e 2011) ed è stato il primo teenager a imporsi sul Tour negli ultimi 82 anni.

La giacca verde gli è sfuggita di poco all’esordio, nel 2014, quando giunse secondo dietro Bubba Watson, ma quest’anno non ha lasciato scampo a gli avversari.

È così diventato il secondo per età a indossare la Green Jacket, non a caso dietro Woods, e proprio a Tiger stava strappando il record di score più basso nella storia del Masters.

Il bogey all’ultima buca del torneo lo ha però riportato a -18, facendogli pareggiare i conti con l’ex numero uno del mondo.

Il successo nello U.S. Open non ha fatto altro che confermare le sue eccezionali capacità di controllo e gestione del gioco, anche nei momenti più difficili, come è successo dopo il doppio bogey alla penultima buca.

E subito si sono sprecati i rimandi alla possibilità di Grande Slam, anche se Jordan per il momento è ancora solo a metà strada.

C’è comunque da ricordare che l’accoppiata Masters – U.S. Open in passato è riuscita a giocatori non proprio da buttare, quali Ben Hogan (1951 e 1953), Arnold Palmer (1960), i due citati Nicklaus (1974 ) e Woods (2002), più Craig Wood nel 1941.

Spieth vive in Texas con papà Shawn e mamma Mary Christine, entrambi nati in Pennsylvania ed entrambi atleti

Lui era un buon giocatore di baseball a Lehigh, lei giocava a basket al Moravian College. In famiglia una menzione speciale spetta di diritto anche al nonno paterno, Donald Spieth, direttore d’orchestra di buon livello, che può vantare nel suo curriculum concerti alla Carnegie Hall e al Lincoln Center di New York.

Jordan ha un fratello, Steven, e una sorella di 14 anni, Ellen, affetta da autismo, alla quale è affezionatissimo e che, come Jordan sostiene sempre, è la sua più grande tifosa.

“Con lei vedo le cose in un diverso quadro generale, constatando lo sforzo che le costano piccole azioni che noi diamo per scontate – dice -. Se lei e i suoi amici sono contenti, anche noi siamo felici e allora un bogey o un putt mancato diventano meno importanti.” Proprio la speciale assistenza richiesta da Ellen è alla base del Jordan Spieth Charitable Fund, che si occupa di raccogliere donazioni per bambini che hanno bisogno di particolari sostegni.

Anche sul piano sentimentale Spieth è il prototipo del bravo adolescente americano.

La storia d’amore con la ragazzina incontrata alle scuole superiori, Annie Verret, continua da anni. Lui e il fratello Steven arrivano dalla St. Monica Catholic School e dal Jesuit College,  lei si è diplomata alla Texas Tech di Dallas ed è impegnata nel First Tee, il programma lanciato negli Stati Uniti per avvicinare i giovani al golf. Confusa fra i parenti anche nel giorno del trionfo al Masters, Annie ha già seguito ufficialmente Jordan nella Ryder Cup dello scorso anno e alla President Cup del 2013.

In quella occasione fu Phil Mickelson a perorare con determinazione l’entrata in squadra dell’appena 20enne Spieth.

“Ha un talento raro”, disse Lefty a Couples, capitano della squadra, pregandolo di usare per lui una delle sue wild card.

Fred gli diede retta e Jordan lo ripagò portando a casa un paio di punti in coppia con Stricker.

Se analizziamo il suo gioco dal punto di vista estetico e tecnico, non c’è nulla di sensazionale.

Lo sa anche il coach Cameron McCormick, che conosce bene le anomalie dello swing di Jordan, come la posizione del braccio sinistro al momento dell’impatto.

Ma visto che con lui funziona, Cameron si guarda bene dal correggerlo. Anche se date un’occhiata alle statistiche del PGA Tour potreste rimanere delusi.

Nella lunghezza del drive è solo al 65° posto, come precisione è anche peggio (105°) e non migliora più di tanto sui green in regulation (76°).

Ma tutti gli riconoscono una grande virtù: quella di riuscire a controllare le difficoltà anche nei momenti peggiori.

Proprio per questo, grazie a una tenacia che sta già diventando proverbiale, lo trovate al primo posto nella classifica del punteggio medio per giro, con 69, 25 colpi.

Del resto Jordan aveva già la vittoria nel suo cognome, Spieth, parola che qualcuno ha rinvenuto in un tedesco medioevale e che dovrebbe significare “successo”.

La sua ininterrotta scalata alla classifica mondiale ne è l’ennesima riprova: in tempi brevissimi è infatti riuscito, dopo la vittoria di Augusta, ad arrampicarsi al secondo posto.

E con il nuovo successo nello U.S. Open ha ridotto moltissimo il distacco da McIlroy, oggi inferiore ai due punti.

Nello sport avrebbe potuto riuscire anche in specialità diverse dal golf, visto il suo fisico atletico e compatto. Il suo grande amore era infatti il baseball, ma a 13 anni decise di puntare su sacca e bastoni perché avrebbero potuto dargli soddisfazioni maggiori.

“Fu il giorno più difficile della mia vita”, ricorda oggi.

Nella sua vita proprio tutto semplice? Diciamo di sì, grazie alla sua grinta, anche se esistono cose che fa ha fatto solo per dovere, come ad esempio il bucato al tempo del college, e che odia. Letteralmente.

Altre invece non gli riescono alla perfezione: una su tutte, conservare i capelli.

Pare abbia tentato varie strade per preservare la chioma ma già adesso, quando si toglie l’inseparabile cappello sponsorizzato, la stempiatura è piuttosto visibile. “Il motivo è semplice – sostiene Spieth -.

Noi pro perdiamo i capelli perché il nostro è un lavoro stressante.”

In campo, dal 2011 ha al suo fianco Michael Greller, in precedenza insegnante di matematica per dieci anni. Il loro sodalizio è iniziato con il secondo U.S. Amateur vinto da Jordan e da allora è in continuo crescendo.

Michael ha fatto il caddie per un po’ di tempo a Chambers Bay, il percorso nello stato di Washington che quest’anno ha ospitato lo U.S. Open.

Forse un segno del destino?

Visto il risultato del 21 giugno, diremmo proprio di sì. È lui uno dei fuoriclasse della generazione di giovani leoni che sta andando all’assalto di quella che aveva in Woods e Mickelson i suoi principali fuoriclasse.

Insieme a Rory McIlroy e Rickie Fowler, Jordan Spieth è l’esponente di maggior spicco della nouvelle vague mondiale.

Saprà aiutare il Gioco nell’attacco che gli sta portando il XXI secolo?

È quello che tutti ci auguriamo.