Masters: provate semplicemente a pronunciare questa parola e difficilmente non sarete travolti da un improvviso brivido nel sillabarlo.
E non importa che siate un normale tifoso della domenica o un addetto ai lavori, un professionista di un golf club o un giocatore del Tour, oppure un semplice curioso di sport in generale.
Ci sono nomi, luoghi ed eventi capaci di superare le semplici passioni e trasmettere a chiunque ne venga a contatto qualcosa di magico, in grado di affascinare e conquistare fino a lasciare un segno indelebile.

Bobby Jones, il più grande giocatore amateur della storia del golf e, di fatto, l’ideatore nel 1934 del torneo e del campo oggi più sognato e ammirato al mondo andrebbe davvero orgoglioso dell’importanza che ha oggi l’Augusta National e tutto ciò che rappresenta.
Questo era il suo vero sogno, quello di trasformare un torneo a inviti in qualcosa di molto più che una semplice gara di golf.
A partire dal campo, unico nel suo genere, assolutamente inimitabile, capolavoro senza tempo ritagliato all’interno di quella che una volta era una piantagione di cotone.

Tradizione, la parola d’ordine alla base del Masters

Dal 1940 si gioca sempre e solo tra la prima e la seconda settimana di aprile (la prima edizione è datata 1934) in un trionfo di colori e profumi meravigliosamente regalati dalla primavera georgiana.
È l’unico dei quattro major disputato regolarmente nella stessa sede. È il primo ad aprire i tornei del Grande Slam ed è il più affascinante e spettacolare non solo per i giocatori ma per chiunque abbia la fortuna di assistervi, sia come addetto ai lavori che come semplice spettatore.
La sua assoluta esclusività, costruita con maestria nel corso degli anni, ha contribuito ha farlo diventare una vera icona non solo del golf ma dello sport mondiale attraverso la Giacca Verde. il premio riservato al vincitore del torneo. Il simbolo dell’appartenenza al gotha di questo sport per il resto della propria vita.

La storia si scrive lì, su quelle 18 buche immerse in un panorama di piante e fiori perfettamente curate. Un’immagine bucolica rafforzata dalla denominazione delle buche, ciascuna con il nome di una delle varietà di piante presenti sul percorso. 

Tiger, il più forte di tutti i tempi

Il Masters ha regalato ricordi indelebile e, a volte, dal sapore dolce-amaro, come l’edizione 2019 che ha visto Francesco Molinari uscire sconfitto da quelle terribili 18 buche finali.
Una disfatta attutita dalla vittoria di Tiger Woods.
Quell’anno il mondo intero si è alzato in piedi per celebrare quello che, a tutti gli effetti, resta il più incredibile successo sportivo di tutti i tempi. Se Tiger era di fatto già una leggenda, non solo del golf, con il ritorno alla vittoria in un major undici anni dopo l’ultimo titolo (lo U.S. Open a Torrey Pines del 2008), è entrato di fatto nell’Olimpo assoluto quale il più grande di sempre.

Ed eccoci arrivati al 2022

Dal 7 al 10 aprile il palcoscenico si apre per l’atto numero 86, sogni e speranze di gloria saranno racchiusi in quattro giri, 72 buche di gioie e dolori, colpi impossibili e clamorosi crolli, un film dalla fitta trama capace di regalare scorci degni del miglior capolavoro cinematografico.

Protagonisti un mix di attori conclamati, ambiziose comparse e dilettanti dal futuro già scritto, tutti indistintamente a caccia dell’interpretazione che vale una vita intera. 

La storia è pronta ad arricchirsi, ferma alle lacrime di Hideki Matsuyama, il primo giapponese a vincere un major e, soprattutto del suo caddie, Shota Hayafuji, che l’anno scorso, domenica 12 aprile, diede al mondo intero una vera lezione di sport.
Tutti ricordano quell’inchino sul green della 18, un gesto semplice quanto imprevedibile, un segno di rispetto e omaggio ad Augusta che, in un attimo, ha fatto il giro del mondo scatenando un’onda emotiva senza precedenti. 

Dustin Johnson aiuta Hideki Matsuyama ad indossare la Giacca Verde dopo la sua vittoria nel 2021

Quello di quest’anno sarà nuovamente un Masters orfano di Tiger Woods (salvo copi di scena dell’ultimo momento)

Non sappiamo ancora quando il 15 volte campione major rientrerà in campo. Alcuni dicono già a luglio in occasione del 150° Open Championship, altri addirittura al Masters 2023.

Ma se la notizia dell’assenza di Tiger era già nota, la mancata partecipazione di Phil Mickelson ha lasciato tutti attoniti. Il mancino più famoso del mondo, che questo torneo lo gioca consecutivamente dal lontano 1995 con all’attivo tre vittorie nel 2004, nel 2006 e nel 2010, ha deciso che non salirà sul tee della 1 di Augusta. Una decisione che suona come una sorta di “aspettativa” nei confronti del PGA Tour. 

Phil contro tutti

Ma facciamo un passo indietro. Il 51enne di San Diego ha criticato l’operato del circuito americano sollecitando “un disperato bisogno di cambiamenti”, parlando anche di “avidità, di tattiche manipolative, coercitive”. Come se non bastasse, Lefty ha rincarato la dose parlando di un “PGA Tour che afferma di essere un ente democratico ma rappresenta una dittatura”.
Frasi durissime usate anche contro la Superlega capitanata da Greg Norman. “Sono dei balordi con cui fare affari, hanno ammazzato il giornalista Khashoggi e, in materia di diritti umani, hanno una reputazione orribile. Inoltre, compiono esecuzioni sulle persone perché gay. Ma le loro ricchezze rappresentano un’opportunità unica anche per noi golfisti”.

Parole crude uscite dalla bocca di un giocatore che, lo sappiamo, non ha mai avuto peli sulla lingua. Ma se da una parte il PGA Tour è in attesa di scuse, Mickelson ha deciso di andare nuovamente controcorrente cancellandosi da uno degli appuntamenti più attesi dell’anno. 

Gli occhi sono perciò tutti puntati sulle nuove leve del PGA Tour che in questo inizio d’anno solare hanno sbaragliato la concorrenza delle vecchie glorie.
Partiamo da Scottie Scheffler, in vetta alla FedEx Cup e nuovo numero 1 del mondo, con all’attivo già tre vittorie in questo 2022 nelle sue prime cinque apparizioni: il WM Phenix Open, il Palmer Invitational e il WGC Dell Technologies.
Da un giovane talento americano a un altro. Will Zalatoris che l’anno scorso sfiorò l’impresa concludendo al secondo posto nel suo primo Masters.
Senza dimenticare Collin Morikawa, numero tre del World Ranking, e nomi di peso come Justin Thomas, Xander Schauffele, Brooks Koepka, Dustin Johnson e Jordan Spieth.
Si faranno sentire anche Cameron Smith, l’australiano che ammaliò tutti al Players di un mese fa con il suo gioco e il suo putt infallibile e Joaquin Niemann, a segno quest’anno nel Genesis Open al cospetto del suo isolo, Tiger Woods.

Come sempre c’è poi grande attesa per Rory McIlroy, affamato di rivincite su un campo che gli ha procurato più dolori che gioie

L’ex numero uno del mondo ha un solo dichiarato obiettivo: tornare a vincere un major e porre fine a un digiuno lungo otto anni che inizia a diventare scomodo (gli ultimi titoli, l’Open Championship e il PGA Championship, risalgono al 2014). Ma il Masters e Augusta sono anche questo. Un torneo e un campo che prima di essere domati impartiscono lezioni spesso e volentieri amare e brucianti, un lento e doloroso processo di apprendimento verso la gloria che solo i migliori riescono a percorrere fino alla Giacca Verde.

L’Europa non si gioca certo solo la carta McIlroy.
Sono ormai molti i suoi top player impegnati regolarmente sul circuito americano con ottime possibilità di vittoria. Primi tra tutti, Jon Rahm, numero due del mondo, seguito a ruota da un giovanissimo Viktor Hovland, numero quattro.
Passando poi ai veterani come Paul Casey, Justin Rose, Danny Willett, Sergio Garcia, Tommy Fleetwood e Lee Westwood, recordman di presenze nei major, 89. È lui il giocatore in attività che vanta la più lunga striscia di partecipazioni senza vittorie nelle prove dello Slam.

Ma se la storia del Masters insegna che qui tutto può davvero accadere, allora il primo pensiero che ci attraversa ha un nome: Francesco Molinari.

L’italiano, alla sua undicesima partecipazione, cercherà quell’exploit che vale una vita intera. Quest’anno il tricolore sventolerà orgoglioso anche per Guido Migliozzi, che farà il suo debutto ad Augusta. Era dal 2014 che non vedevano due connazionali varcare i cancelli del Masters. All’epoca erano Francesco Molinari e Matteo Manassero.

Bene, il dado è tratto

I giocatori stanno per scendere in campo ma è bene ricordare che per il successo finale bisognerà fare i conti con sua maestà, l’Augusta National. Un percorso capace di dettare prestazioni e risultati dei protagonisti, in bilico su quella sottile linea che divide la sconfitta dal sogno di portarsi a casa la Giacca Verde più desiderata del mondo.