Domenica 12 agosto 2007. Non una data qualunque ma il giorno in cui un allora 31enne Tiger Woods vinceva il suo quarto PGA Championship scrivendo una nuova pagina della storia del golf.

Per il 15° anniversario da quella storica vittoria si torna al Southern Hills Country Club, a Tulsa per l’edizione numero 104. 

Non è forse il più bello e probabilmente nemmeno il più difficile o spettacolare, ma una cosa è certa: il PGA Championship è certamente il più democratico dei quattro major. Non esistono infatti inviti speciali ma la sola legge del campo.

Qui giocano i migliori e basta. Classifica del World Ranking alla mano o attraverso le tradizionali qualifiche, e rigorosamente professionisti, visto che stiamo parlando di fatto del campionato della PGA americana, l’unico torneo del Grande Slam che non contempla dilettanti al via.

Fino al 1957 il PGA Championship fu giocato con formula match-play e finale sulla distanza delle 36 buche. Leggende che hanno scritto la storia del golf quali Gene Sarazen, vincitore di tre edizioni (1922, 1923 e 1933), Walter Hagen (cinque successi, 1921 e dal 1924 al 1927), Sam Snead (1942, 1949 e 1951), Byron Nelson (1945) e Ben Hogan (1946) hanno dato lustro al torneo tra le due Guerre Mondiali. 

I loro nomi sono riportati sui ben 12 chili del celebre Rodman Wanamaker Trophy. La coppa riservata al vincitore e voluta dal magnate americano che contribuì personalmente alla nascita del torneo nel 1916.

Poi con gli anni ‘60 e ‘70 ecco gli indimenticabili duelli tra i tre grandi amici e rivali Arnold Palmer, Jack Nicklaus (il più vincente nella storia del torneo insieme a Hagen con cinque titoli, 1963, 1971, 1973, 1975 e 1980) e Gary Player (1962 e 1972). Fino allo storico successo di Julius Boros, che nel 1968 vinse alla tenera età di 48 anni. 

Nell’era moderna invece nessuno può vantare il palmarès di Tiger Woods, vincitore di quattro edizioni, la prima a Medinah nel 1999 a soli 23 anni e l’ultima nel 2007 proprio su questo percorso, Southern Hills.

In questa edizione il nome di Tiger compare nell’elenco dei partecipanti ma, com’è successo per il Masters, bisognerà attendere fino all’ultimo minuto per sperare di vedere il Fenomeno mettere la pallina sul tee della 1.

Chi invece sappiamo già che non giocherà il PGA Championship è il defending champion Phil Mickelson. Il mancino l’anno scorso divenne il più anziano ad imporsi nella storia dei tornei del Grande Slam a 50 anni, 11 mesi e sette giorni. Con la vittoria dello scorso anno Mickelson è diventato il quarto giocatore ad essere riuscito a trionfare sul PGA Tour in quattro decenni diversi.

Prima di lui solo Sam Snead, Raymond Floyd e Davis Love III.  Ad oggi Mickelson è ancora nell’occhio del ciclone per le sue dichiarazioni su PGA Tour e sull’Arabia Saudita e il suo periodo di “aspettativa” dal massimo circuito americano dura ormai da fine gennaio, in occasione del Farmers Insurance Open.

In questa edizione a Southern Hills le speranze sono perciò tutte riposte nelle giovani leve, sempre più protagoniste del golf mondiale. Ovviamente non si può non partire dal numero uno del mondo, Scottie Scheffler, il mattatore di questa stagione, in grado di mettere insieme un filotto impressionante di successi che recita Phoenix Open, Arnold Palmer Invitational, Dell-Technologies Match Play e Masters.

Grande attesa anche per i giocatori che ricoprono i primi posti del World Ranking a partire da Jon Rahm, Collin Morikawa, Cameron Smith Patrick Cantlay e Viktor Hovland. Impossibile non citare Brooks Koepka, il Mister major del Tour, il primo giocatore nella storia del golf a realizzare il back-to-back al PGA Championship (2018 e 2019) e allo U.S Open (2017 e 2018).

Scorrendo l’albo d’oro tornano in mente edizioni e vittorie clamorose, come quella di un allora sconosciuto John Daly nel 1991, chiamato il giorno prima per giocare il torneo come riserva al posto di Nick Price, tornato a casa per l’improvvisa nascita del figlio. Dopo aver guidato per otto ore nella notte per raggiungere Crooked Stick, in Indiana, sede dell’edizione numero 73, Daly fu autore della più incredibile prestazione di un rookie nella storia di un major.

E chissà che tra pochi giorni il torneo non si tinga d’azzurro con Francesco Molinari, veterano ormai dei tornei del Grande Slam. Chicco nel 2017 sfiorò a Quail Hollow il sogno americano chiudendo al 2° posto a soli due colpi da Justin Thomas e dal portarsi a casa il Wanamaker Trophy.

Oggi più che mai il tifo deve essere per Francesco a caccia di una rivalsa in un periodo golfisticamente non facile e scarso di buoni piazzamenti. Ricordiamoci il Chicco di un paio di anni fa, mai stato così incisivo e vincente e, a dirlo, non siamo solo noi italiani, accecati da un tifo naturalmente di parte, ma è stato apertamente dichiarato da un ragazzo che ha riscritto la storia del golf negli ultimi vent’anni con il suo immenso talento, Tiger Woods. E si sa che i fenomeni raramente parlano senza cognizione di causa.