Ogni tanto capita che chi non mi conosce inciampi nella domanda delle cento pistole: “Ma cosa ci trovi di tanto affascinante nel golf?”. 

A quel punto dovrei fare un respiro più lungo del solito, chiedere all’interlocutore di mettersi comodo e poi inanellare i mille e più motivi che mi tengono da trent’anni incatenato ai green. Invece mi capita di esitare, di non sapere esattamente cosa dire, incerto su quale delle innumerevoli motivazioni meriti di essere citata per prima.

È la stessa situazione nella quale mi spingeva la domanda della ragazzina con la quale sognavo (sogno realizzato) di vivere tutta la vita fianco a fianco: “Perché mi ami?”.
Anche lì non sapevo da cosa cominciare e quegli attimi di silenzio mi sembravano eterni e carichi di involontarie colpevoli omissioni. “Perché sei tu – rispondevo per prendere tempo e tentare di cambiare discorso – e poi non ci sono motivi definiti. Se ci fossero, uno potrebbe trovare a tavolino la sua anima gemella. Invece no, capita e basta”.  

Lo stesso accade per il golf

Tra le mille ragioni che mi spingono sui green potrei cominciare dagli scenari, dalle innumerevoli tonalità di verde che impari ad apprezzare calpestando fairway e rough.
Oppure parlare degli scoiattoli che attraversano di quando in quando il tee di partenza e osservano la pallina bianca come fosse una ghianda extralarge chiedendosi perché mai tu, invece di gustartela come farebbero loro, continui a lanciarla lontano.
Potrei anche parlare della sensazione quasi orgasmica che ti coglie quando inopinatamente il ferro o il legno che hai impugnato colpisce la palla con il ritmo e la forza giusti, la centra proprio nello sweet spot, la fa decollare dolce e vigorosa verso il cielo e tu in quell’attimo capisci che atterrerà esattamente dove volevi arrivasse e ti auguri un accenno di quel backspin che invidi da sempre ai colpi dei campioni.
Di certo non mi sogno di raccontare degli air shot che hanno punteggiato le mie gesta golfistiche, degli slice devastanti che hanno seminato palline nei campi di mezzo mondo, dei rattoni che hanno umiliato il mio swing, delle flappe che lo hanno irriso e mortificato.

Invento qualcosa lì per lì e probabilmente, più delle mie parole, parlano i miei occhi, ancora entusiasti ed eccitati mentre racconto di campi, clubhouse,  incontri sul green

Tornando a casa, però, la domanda continua a frullare nella testa: “Cosa ci trovi di tanto affascinante nel golf?”

Se ci penso a mente fredda, senza dover dare risposte a nessun altro se non a me stesso, credo che la motivazione di base sia la riconquista del tempo

Viviamo in una società che ha fatto delle fretta il suo pentagramma. La tecnologia ha ingigantito questa tendenza. Non sappiamo più aspettare. Io per primo ricorro a Google ogni volta che mi balena in testa un interrogativo per avere subito una risposta. Non mi importa se documentata e affidabile, basta che sia veloce e soddisfi subito la mia curiosità, si tratti dell’esatta formula di Einstein che codifica energia, massa e velocità oppure dell’età di Sabrina Ferilli. 

In campo no: la fretta resta sulla soglia di casa

Già il fatto che normalmente ci sia qualche chilometro tra la voglia di giocare e il momento in cui sarà soddisfatta ci mette in sintonia con Leopardi e il suo “Sabato del villaggio”.
Poi i panorami, gli spazi, il profumo dell’erba rasata di fresco, i riflessi sugli ostacoli d’acqua, la bandiera che si agita là in fondo sul green, il cigolìo del carrello, il silenzio che avvolge il campo, interrotto solo da qualche “Fore” o da qualche imprecazione lontana dello sventurato che ha sbordato il birdie. Tutto invita alla calma, a riprendersi il gusto del tempo, ad assaporare l’attimo fuggente, ad allontanare il più possibile il momento in cui toccherà risalire in auto e rituffarsi nel caos quotidiano.

A patto, ovviamente, che i quattro davanti a noi finalmente si decidano a lasciare libero il green: “Allora! Domani mattina alle 8 devo andare in ufficio, mi lasciate il tempo di fare la doccia o dovrò partire direttamente da qui?”