Certo che se la nuova “superlega” di golf avesse avuto in Italia anche solo il 20% di eco mediatico di quella naufragata (per adesso) nel calcio qualche mese fa, avremmo sentito parlare di golf anche nelle emittenti più popolari e sulla stampa nostrana.

Stiamo ovviamente parlando del LIV, ovvero il super circuito finanziato dai Paperoni Sauditi. Questi hanno preso come ‘reference’ dagli antichi romani proprio il numero 54 (LIV), che sta ad indicare in un giro di 18 buche su di un par 72 altrettanti birdie, per un totale di -18.

Attorno a questo nuovo Tour sono piovute critiche, interviste bomba, decisioni clamorose, prese di posizione e tante, tante polemiche. Partendo dal presupposto che ognuno è libero di scegliere cosa fare nella vita, dove giocare, e a cosa rinunciare, credo che come sempre la verità si trovi nel mezzo.

Tutti sono rimasti sconvolti dal piatto ricco messo sul tavolo, urlando allo scandalo e alla vergogna. Senza dimenticare gli ingaggi pesanti per accaparrarsi non solo ex vincitori di major ma anche giocatori che negli ultimi anni hanno indossato la Giacca Verde e occupato le posizioni migliori del World Ranking, come nel caso di Dustin Johnson.

Escluso il fatto dell’accordo economico tra le singole parti, credo che il LIV sta al PGA come lo stesso circuito americano sta all’European Tour. Niente di più niente di meno. Negli ultimi 15 anni, a causa di montepremi ‘monster’ che spesso doppiavano quelli delle gare in Europa, c’è stata una vera e propria transumanza dei campioni continentali verso l’altra parte dell’Oceano Atlantico.

Anno dopo anno tutti i big hanno (giustamente) preferito gareggiare in un circuito dove i montepremi sfioravano settimanalmente i 7 milioni di dollari, con punte di 10-12, fino ad arrivare al culmine nel 2022, in quello che viene definito per antonomasia il quinto major, il The Players Championship a Sawgrass, con i suoi 20 milioni di dollari e una prima moneta di oltre due.

Questo ha portato a due conseguenze. La prima di svuotare di appeal molti dei tornei di quello che ora si chiama DP World Tour (indovinate perché ha cambiato nome e chi mette tanti soldi…). La seconda, decisamente migliore, quella di dare spazio a giovani rookie. Tanti giocatori europei di peso li rivediamo nel nostro continente solo per poche gare all’anno e per le finali di novembre a Dubai. Eppure nessuno del DP sino ad ora ha gridato allo scandalo o ha deciso di mettere un veto ai giocatori europei, rei di aver partecipato alla prima tappa del LIV.

Come spesso accade, gli americani diventano bigotti, pensando solo a tutelare i propri interessi. Ma soprattutto non capendo che divieti e accuse danneggiano tutti, anche i loro stessi circuiti e tutto quello che vi è collegato. E non importa (nella loro testa) se hanno fatto e stanno facendo lo stesso da 20 anni a questa parte e nessuno gli ha mai detto nulla.