Ogni volta che Andrea, il mio direttore, mi scrive per ricordarmi di mandargli il pezzo per la mia mensile rubrica, sono spesso combattuto su quale argomento affrontare.

Il numero di aprile è sempre stato dedicato (giustamente) al Masters, torneo che anche i ‘non addicted’ conoscono molto bene grazie al suo fascino, alla tradizione e allo spettacolo garantito.

Certo quello del 2021, al di là del vincitore, rimarrà nella storia anche per aver ‘costretto’ Dustin Johnson a indossare la Giacca Verde per appena cinque mesi (salvo bis).

Non si è ancora ben capito se e quanto pubblico potrà accedere, se le ‘concession’, ossia i punti di ristoro, saranno regolarmente aperti, così come i megastore all’interno del club. Quello che è certo è che il sottoscritto, per il secondo anno di fila, dovrà assistere da casa al torneo più figo del mondo, e la cosa proprio non mi va giù…

Sì lo so, si devono rispettare le regole e le restrizioni, ci mancherebbe, ma mettetevi nei miei panni: cinque anni consecutivi ad Augusta, la condivisone con tutti voi, il potervi regalare “live” emozioni, scoop, aneddoti e interviste.

Il Masters ha la magia di essere un torneo che dura 24 ore al giorno per chi ha la possibilità di viverlo sul posto. Mi spiego meglio: questo è il potere che il primo major della stagione riesce a dare da ben 85 edizioni a un piccolo paesino della Georgia. Immaginate se Rho, nei pressi di Milano, o Acilia, vicino alla Capitale, diventassero per sette giorni all’anno il centro del golf mondiale.

Tutto questo, come vi ho scritto negli anni passati, con i giusti (secondo loro) adeguamenti tariffari per hotel, airbnb, parcheggi, etc. Come dimenticare il famoso motel che la settimana precedente offriva tariffe B&B a 45 dollari a notte, per poi chiederne ben 400 nei giorni del Masters ed essere addirittura ‘sold out’ già nove mesi prima?

Party, stand, musica, truck, bagarini, happy hour, merchandising vero e contraffatto: tutto questo vive come si dice in America “twentyfourseven”.Non importa se il tuo contapassi dice che quei giorni hai un media di 30 chilometri o se il tuo iWatch ti fa notare che continui a guadagnare “rewards” grazie alle tante calorie bruciate.

E se neanche il jet leg o il caldo sole della Georgia riescono a fermarti, vuol dire che anche tu sei stato ‘contaminato’ (questa volta in senso buono), e ti lasci trasportare senza farti troppe domande.

Ti ritrovi così senza accorgertene a parlare del birdie di Tiger o del gancio di Garcia con perfetti sconosciuti, condividendo con loro l’emozione e la passione per questo sport, sapendo di essere dei privilegiati a trovarsi nel famoso ‘Place to be’. E chi se ne frega se poi ad aumentare l’euforia generale di molti spettatori ci sia lo zampino della dodicesima birra alle 11 di mattina, tanto è una Bud Light…

Se poi hai voglia di staccare un attimo dalla gara, ti aspettano non solo le famose concession, dove all’interno trovi qualsiasi cosa da mangiare e bere a prezzi ridicoli, ma anche gli store con tutto il merchandising ufficiale. Credo che ci sia stato lo zampino del Diavolo nel concepire questi luoghi di perdizione golfistica.

In netta contrapposizione con i loro prezzi, concession e pro shop sono i due posti dove più pensi ogni volta di esserne uscito per sempre più misteriosamente ci ricaschi, immerso a scegliere tra i vari tipi di sandwich da un dollaro e mezzo (costa poco, mangio tanto) o tra le centinaia di polo logate, con prezzi dai 40 ai 200 dollari.

Un pò come Jumanji, devi finire la missione se vuoi tornare nel mondo reale, con la differenza che al Masters non hai un limite di vite ma vorresti averne uno sulle carte di credito…

Il problema è che si rimane talmente estasiati da tutto quello che viene venduto che ti fermi a pensare a quale amico poter regalare un oggetto con il famoso logo, non tanto per farlo contento ma per stupirlo, ricordandogli ogni volta che indosserà quella maglia che tu ci sei stato (e lui no).

Insomma come avrete ben capito il Masters è diventato per me una meravigliosa parentesi di vita che si è ripetuta per cinque anni e di cui oggi ne sento profondamente la mancanza.