Quando l’Augusta National Golf Club acquistò nel 2017 diversi ettari di terreno dietro il tee della buca 13 dal vicino Augusta Country Club non c’erano dubbi sul motivo dietro a questa decisione.

L’ultima buca del mitico Amen Corner, un par 5 dogleg a sinistra di 466 metri, era ormai diventata una buca da drive e ferro corto al green. Si era perso quindi molto del pathos che il secondo colpo regalava un tempo ai protagonisti e al pubblico, un vero affronto per il campo del Masters.

L’estensione del tee della 13 è stato il modo più logico per ristabilire l’integrità e il fascino di questa leggendaria buca che ha scritto alcune delle pagine più belle del major georgiano.

La nuova 13 è oggi una delle buche più delicate

Il suo allungamento di 73 metri potrebbe sembrare una mossa drastica ma le mosse drastiche sono in sintonia con il dna dell’Augusta National e rappresenta solo l’ultimo sostanziale adattamento che il circolo ha voluto per il suo celebre campo negli ultimi 40 anni – e in particolare negli ultimi 20 – per contrastare il continuo incremento di potenza e distanza dei professionisti.

Ma facciamo un passo indietro. Le prime modifiche di rilievo al progetto originale di Alister MacKenzie e Bobby Jones, datato 1933, furono completate negli anni ’50 (compreso il trasferimento e la ricostruzione dei green, la semplificazione delle forme dei bunker e la costruzione di una nuova buca 16).

Cambiare per stare al passo con i tempi e i materiali

I cambiamenti successivi si sono concentrati su tre obiettivi: evitare che il percorso venisse massacrato dai professionisti e dalle moderne attrezzature; migliorare l’esperienza degli spettatori presenti e di quelli davanti alla tivù; massimizzare i miglioramenti agronomici e di manutenzione.

A tal fine l’Augusta National ha aggiunto dal 1999 a oggi la bellezza di 457 metri al percorso (per un totale di 6.835 metri), ha piantato alberi per rendere più stretti i fairway, ha rimodellato le montagnole e gli avvallamenti attorno ai green e ha introdotto un secondo taglio di rough.

Il fatto che questi cambiamenti non abbiano prodotto abbassamenti drastici negli score del Masters è probabilmente la prova che sono state efficaci: le medie dei punteggi per decennio, a partire dagli anni ’80, sono infatti di 73.97, 73.40, 73.89 e 73.22.

Le modifiche iniziate a partire dal 1999 dimostrano anche una certa flessibilità, a volte in contrasto con la filosofia del circolo: per preservare alcuni suoi capisaldi l’Augusta National ne ha dovuti sacrificare altri.

Il restringimento di determinate buche attraverso l’inserimento di nuovi alberi garantisce un vantaggio a chi riesce a drivare dritto, in contrasto con la capacità di modellare i colpi che da sempre ha caratterizzato il gioco al Masters.

Gran parte della creatività e dell’intuizione mostrata da leggende quali Arnold Palmer e Seve Ballesteros nell’interpretare il tracciato è purtroppo andata persa per rendere il campo più adatto al gioco del Terzo Millennio.

BUCA 7 – PAR 4 – 411 METRI

Se Alister MacKenzie oggi fosse vivo non la riconoscerebbe. La buca da lui progettata in realtà era già scomparsa nel 1938, quando l’architetto Perry Maxwell spostò il green su una cresta elevata e gli costruì davanti dei profondi bunker.

Ma per i successivi 50 e più anni è servita (insieme alla buca 3) quale unico par 4 corto, una sorta di tregua di 329 metri dopo le dure 4, 5 e 6. Questo approccio è stato in gran parte abbandonato nel 2002, quando la 7 è stata allungata a 374 metri e definitivamente ovviato prima del 2006, quando i battitori sono stati portati indietro, facendo arrivare la sua distanza agli attuali 411 metri.

Con quasi 90 metri in più e con i pini che costeggiano l’area di atterraggio della palla, è diventata la buca più claustrofobica del campo dal tee.

Se l’intento del Comitato del Masters era quello di avere un par 4 più difficile lo ha ottenuto: nei 17 Masters giocati tra il 1983 e il suo allungamento furono segnati più di 800 birdie. Nelle ultime 15 edizioni, con la buca portata a 411 metri, ce ne sono stati solo 500.

BUCA 11 – PAR 4 – 461 METRI

Anche dopo che Robert Trent Jones apportò sostanziali modifiche alla 11 nel 1950, spostando il tee di 36 metri indietro, collocandolo a sinistra del green della 10 e sbarrando un ruscello per creare l’attuale stagno al lato del green, statisticamente è rimasta una delle buche più impegnative.

Il green è stato rialzato e rinforzato più volte durante gli anni ’90 ma i giocatori potevano ancora tirare un drive forte e mettere la palla sulla cresta della collina, posizione ideale e larga quasi 90 metri in mezzo agli alberi, da dove poi giocare il secondo colpo al green.

Dopo il Masters del 2001, quando a Phil Mickelson mancavano solo 86 metri al green con il suo secondo colpo, il circolo ha deciso di correre ai ripari, incaricando Tom Fazio di occuparsi delle modifiche.

Fazio ha portato la 11 da 416 a 448 metri e durante i successivi cinque anni la buca è stata allungata ulteriormente fino ad arrivare agli attuali 461. Sono stati piantati dei nuovi pini che hanno chiuso la metà destra della buca, creando un primo colpo da sinistra a destra più pronunciato.

Il restringimento, costringendo i drive a evitare il lato destro, ha eliminato le precedenti opzioni e obbligato i protagonisti a una linea di gioco verso il bordo dello stagno.

La 11 è così passata dall’essere un par 4 duro alla buca distruggi-score del campo: in 11 degli ultimi 18 Masters è risultata la più difficile dell’Augusta National (e mai fuori dalle prime tre), con una media di 4,36 colpi.

Una volta si diceva che l’Amen Corner iniziasse soltanto con il secondo colpo della buca 11. Oggi incomincia senza ombra di dubbio con il primo.

BUCA 15 – PAR 5 – 484 METRI

Come la 11, la 15 un tempo era il paradiso dei bombardieri. Anche se un bosco di pini ha sempre impedito ai giocatori che andavano a sinistra di prendere il green in due, potevano tirarla a destra quasi quanto volevano, anche sul fairway della 17, e potenzialmente avere ancora il colpo alla bandiera.

I giocatori più lunghi sapevano che scollinare con il drive oltre la serie di cunette sul lato destro del fairway significava guadagnare ulteriori metri.

Prima del Masters del 1999 furono piantati circa venti nuovi pini nel rough di destra e le collinette vennero rimosse. Con la crescita degli alberi negli ultimi vent’anni si è formata una barriera che, insieme ai pini storici sulla sinistra, ha creato uno corridoio stretto e delicato verso il green.

Questi e altri ritocchi, inclusi alcuni interventi alle pendenze intorno al green, hanno avuto scarso effetto sui punteggi (gli eagle si verificano più o meno con la stessa frequenza degli anni ’90) ma i giocatori arrivando oggi in green più o meno dagli stessi punti e sulla stessa linea di gioco.

La 15 rimane una buca entusiasmante, un punto di svolta drammatico del torneo, ma è diventata meno imprevedibile rispetto a quando i colpi provenivano da una serie di distanze e direzioni molto diverse tra loro.

La conversione dei green in Agrostide

Una delle modifiche più critiche apportate negli ultimi 40 anni all’Augusta National potrebbe non essere evidente agli occhi dei meno esperti.

Nel 1980 il circolo georgiano ha convertito i suoi green in Agrostide Penncross, sostituendo il vecchio impianto di Bermuda (ricoperto di segale) che stava facendo diventare impossibile il gioco veloce.

Gli effetti voluti sono diventati evidenti quando i giocatori si sono meravigliati della rapidità dei green, e solo un vincitore nel resto degli anni 80 ha finito in doppia cifra sotto il par (Ben Crenshaw, -11 nel 1984) rispetto a cinque dei sei precedenti campioni.

Mano a mano che l’erba maturava lo staff del campo poteva raggiungere un nuovo standard di velocità e uniformità al punto che i green erano a volte fin troppo veloci a causa delle notevoli pendenze.

La buca 15 dell’Augusta National vista dalla passarella che porta in green, con l’ostacolo d’acqua che interessa il secondo colpo

Se le condizioni meteo erano calde e secche, i green diventavano duri come la pietra e non era insolito che i putt rotolassero addirittura fuori. Se venivano ammorbiditi dalla pioggia, i colpi al green spinnavano indietro e anche in questo caso, spesso uscivano.

A fronte di questo i green con le gobbe più pronunciate, ovvero quelli della 4, 6, 8, 9, 14 e 18, sono stati ricostruiti per ridurre le pendenze.

Queste continuano a essere lavorate e aggiornate ogni anno con innesti di erba ma i terribili green di Augusta, che oggi sono lo spauracchio di ogni giocatore, risalgono a quella prima modifica sostanziale del 1980.