Un assaggio di PGA Tour e poi nuovamente a tempo pieno a giocare nel Vecchio Continente. Guido Migliozzi cresce, come giocatore e come persona. Anno dopo anno, intervista dopo intervista, abbiamo la conferma di come questo ex ragazzino tutto istinto e passione stia diventando uomo. Oggi è il giocatore più in forma tra gli azzurri, il World Ranking parla per lui. 

Per altro hai superato Francesco Molinari, è una cosa che ti ha colpito o creato pressione essere il nuovo numero 1 azzurro?

 No, nessuna pressione. A dire il vero non ci avevo neanche fatto caso. Non era nei miei obiettivi diventare l’italiano più avanti in classifica. 

Gli obiettivi sono un aspetto fondamentale nella carriera di un professionista?

 Penso lo siano nella vita. Io da sempre me li pongo dandomi anche un limite temporale. A 16 anni avevo detto che avrei voluto giocare sul PGA Tour entro i 25 anni, e l’ho fatto visto che ne ho 24! Entrare nei primi 50 del mondo è sicuramente importante ma è l’obiettivo di tutti i giocatori del Tour, quindi non facile da raggiungere. 

Ci racconti il tuo ultimo anno?

 Sono stato a Dubai, dove mi sono trasferito un anno e mezzo fa e mi trovo molto bene. Lì siamo stati chiusi in lockdown per tre settimane, poi si è tornati alla libertà con obbligo di mascherina. Niente a che vedere con quanto accaduto in Italia. Abbiamo vissuto senza particolari restrizioni: potevamo andare al golf, allenarci, cenare. Penso siamo stati realmente fortunati. I vaccini sono arrivati presto, questo ci ha agevolati. Io l’ho fatto quasi subito. I viaggi sono stati complicati. Anche quelli corti in Europa, dove una volta in tre ore si giungeva a destinazione, ora sono infiniti. Si devono compilare una serie di carte, fare tamponi, mostrare QR Code e, causa il distanziamento, si formano code enormi. È tutto più complicato, si rischia di perdere coincidenze, cosa che mi è successo.

E quando sei in Italia, come ti organizzi?

 In Italia mi alleno a livello atletico a Montecchia, circolo che ha un centro all’avanguardia. Poi quando scendo in campo giro prevalentemente tra Montecchia, Asiago, Frassanelle, circoli dove ho mille ricordi.

Che tipo di giocatore ti definiresti?

 Sono sicuramente aggressivo ma sto anche crescendo, quindi in evoluzione. Mi affido molto all’istinto. 

Istinto che deve andare d’accordo con le scelte del caddie, ci racconti qualcosa di lui?

 Si chiama Alberto Calvo, è spagnolo di Barcellona. Un padre di famiglia di 49 anni, professionista e maestro praticante. Abbiamo un bellissimo rapporto dentro e fuori al campo. Spesso condividiamo addirittura la stessa camera tale è la nostra confidenza. Mi fa stare bene moralmente, oltre a darmi consigli tecnici quando serve. Penso che il caddie sia una parte fondamentale del gioco, ho potuto scoprirlo quest’anno nella bolla.

Come vi siete incontrati?

 Lui faceva da caddie a Enrico Di Nitto sul Challenge Tour nei due anni dal mio passaggio al professionismo. Una volta presa la carta ci siamo sentiti e da lì è nato tutto. È importante sapere di avere al proprio fianco una persona competente che oltre ai numeri conosce il feeling del gioco e la visione del colpo.

Hai vissuto uno U.S. Open da sogno. Quando hai saputo che ci saresti andato hai cambiato modo di allenarti?

 No, non ho cambiato nulla. Cerco sempre di essere ripetitivo in quello che faccio. Era un periodo che stavo giocando bene e non erano necessari cambiamenti. Prima della gara, conoscendo il campo, abbiamo lavorato su quello che richiedeva: tee shot dritti e putt dalla lunga distanza. Ho fatto 18 buche con Edoardo Molinari e poi ho fatto prove più tranquille perché negli orari di punta devi pedalare. Martedì e mercoledì con Alberto Binaghi, il mio coach, abbiamo provato il percorso nel tardo pomeriggio, senza fretta.

Ti saresti aspettato una prestazione del genere?

 Stavo giocando bene ed ero andato oltre per l’esperienza ho cercato di fare un gran torneo.

Quel risultato però ti ha portato alla ribalta nel mondo. Avverti di avere le attenzioni di tutti ora?

 Sì, certo, e mi fa molto piacere. Una cosa bellissima mi è successa quando alcuni ragazzini mi hanno visto e mi sono reso conto che si sono bloccati nel parlare. Poi mi hanno chiesto di fare una foto e ho scoperto che uno addirittura ha un mio poster in camera. Sono cose che fanno piacere e aumentano la mia responsabilità. Da ragazzino ero abbastanza una testa calda, oggi vengo preso come esempio e quindi è importante meritare di esserlo dentro e fuori dal campo.

Sei stato a Tokyo. A prescindere dalla cronaca che tutti abbiamo avuto modo di vedere, pensi che i giochi Olimpici in questo contesto si sarebbero dovuti rimandare?

 Penso che quest’anno ci ha insegnato che le cose, con i giusti accorgimenti, si possono fare. Certo, non abbiamo potuto vedere altre discipline né entrare in contatto con altri atleti, aspetti che rendono l’appuntamento olimpico unico. Abbiamo fatto il tragitto albergo – golf e viceversa. Le Olimpiadi però sono un segnale al mondo. I valori insiti nella kermesse sportiva vanno oltre business, si parla di onore, fairplay, pace e orgoglio.

Hai assaggiato l’esperienza PGA Tour. La differenza per moneta e importanza è evidente. Trovi questo divario riscontrabile anche a livello pratico?

 Le differenze sono tantissime. Il PGA Tour è un altro mondo. Ogni settimana viene vissuto come un vero e proprio evento e il paese che lo ospita contribuisce a dare ancora più valore al torneo. Il giocatore lo sente. Ho partecipato allo U.S. Open, ok un major. Però la settimana seguente al Travelers, quindi una gara del calendario PGA Tour tradizionale. Beh, è stato un evento enorme. C’era un gruppo di tifosi che mi aveva preso in simpatia e ho giocato 18 buche con un coro di ragazzi che mi seguiva. Io mi diverto in campo e mi trovo a mio agio con il pubblico. Lì mi riconoscevano e mi intrattenevo con loro. Sono una persona che anche se gioco male interagisce con gli spettatori. L’America quindi per me è il Paese dei Balocchi, dove la gente si diverte e adora lo spettacolo. 

E da parte dell’organizzazione?

  Il giocatore è al centro dell’attenzione e non si deve preoccupare di nulla. Questo aspetto sembra banale ma non semplice da realizzare. Prendiamo ad esempio gli spostamenti. Ogni settimana sul PGA Tour le auto sono in aeroporto a disposizione dei giocatori. Quindi scendi dall’aereo, esci dal terminal e trovi un autista ad attenderti per portati a destinazione. In Europa questo avviene solo in alcune occasioni ma è un aspetto che fa una differenza enorme. Se il torneo ci rende il viaggio più comodo per noi è stanchezza in meno. 

Quindi il futuro di Migliozzi è a Stelle e Strisce?

 Il mio obiettivo è giocare i tornei più importanti al mondo. Voglio entrare tra i primi 50 del ranking per avere accesso ai WGC e ai major. Certamente giocare in America aiuta perché i tornei hanno un peso maggiore. Poi, una volta entrato nei 50, voglio puntare ancora più in alto ma un passo per volta. 

Idee chiare e ambiziose…

  Sono sempre stato ambizioso e con la fame di scalare le classifiche e fare bene. Questo in tutti gli aspetti della vita, a parte la scuola!

Ryder Cup, sei in corsa per qualificarti per Whistling Straits, ci pensi? 

 Sì, è un obiettivo. Essere in contention e punzecchiare il capitano mi rende felice. Essere in lizza per entrare in squadra stimolante. Bisogna fare davvero bene perché molti campioni aspirano a uno dei dodici posti in squadra.

A proposito, hai ricevuto messaggi o telefonate da Harrington?

  Molto di più! Il capitano in Scozia ha invitato a cena i giocatori qualificati, come Rahm e McIlroy, ma anche quelli in corsa per un posto. È stata una serata molto bella e Harrington generoso a ospitarci.

Arriviamo all’Open d’Italia. Lo scorso anno hai concluso 22°. Quest’anno ci arrivi da italiano più atteso. Hai già visto il nuovo Marco Simone e senti particolarmente la gara? 

 È un campo del quale si parla molto bene e la sua fama non viene certo smentita. Sono stati fatti grandi lavori e non vedo l’ora di giocarci in gara. Se sento particolarmente l’appuntamento? Certo, si gioca in Italia e il sapore è particolare. Sarà una settimana bellissima con tanti volti famigliari e amici. Per me però ogni torneo è importante, quindi stessa routine con prova campo, adattamento e poi si gioca.

Che programmi hai per l’estate?

  Per ora nessuna vacanza prenotata. Non ho ancora definito a quali tornei prenderò parte. Sicuramente quando sarò libero andrò in montagna a rilassarmi e la settimana che precede l’Open d’Italia sarò a Crans, un posto che mi piace molto.