La giovane trentenne ha quel fuoco negli occhi che si riconosce a chilometri di distanza. Anche attraverso lo schermo di un computer. Determinazione fatta in persona, Giulia Molinaro a fine giugno ha conquistato il terzo posto al KPMG Women’s PGA Championship, uno dei cinque major al femminile in calendario. Non un punto di arrivo ma solo l’inizio di un cammino ricco di soddisfazioni, costruito con il duro lavoro, con allenamenti, viaggi estenuanti tra un torneo e l’altro in giro per il mondo e con la consapevolezza di fare la professione per cui è nata. Dalle parole di Giulia si capisce che la strada per rendere il golf femminile allo stesso livello di quello degli uomini è ancora lunga. Troppi sono ancora gli ostacoli e gli impedimenti che dividono i due circuiti.

Iniziamo subito con la prima polemica. Cosa si può fare per rendere il golf femminile più appetibile agli occhi di chi guarda?

 Domanda da un milione di dollari. Parto dicendo che sicuramente l’interesse nei nostri confronti è cresciuto rispetto agli anni passati, stiamo iniziando a ricevere più attenzione. Un esempio è il torneo misto, come quello organizzato in Svezia da Henrik Stenson e Annika Sörenstam. A mio parere però, se davvero vogliamo percorrere questa strada, si deve gestire la gara in modo diverso. Il comitato organizzativo deve metterci nelle condizioni di tirare il secondo colpo con lo stesso bastone al green altrimenti il risultato non è paragonabile.

Già ci criticano perché partiamo 30 metri avanti, così facendo dovreste avere i tee di partenza oltre i 70 metri rispetto a quelli degli uomini?

  Esatto, e non dobbiamo vergognarci a ripeterlo. Ovvio che se una proette gioca il ferro 5 e un giocatore il pitch, il risultato andrà a favore di quest’ultimo. Il suo range di errore è ovviamente ridotto. La nostra fisicità ci impedisce di effettuare dei colpi simili ai colleghi uomini. E questo vale per tutti i livelli di gioco: sia dilettantistici che professionistici. 

Levami una curiosità, secondo te è vero che un amateur per imparare qualcosa deve vedere uno swing femminile piuttosto che cercare di emulare McIlroy, invano aggiungerei?

 Assolutamente sì. Durante tutte le Pro-Am i dilettanti che giocano con noi ci dicono che si divertono molto di più rispetto che giocare con i giocatori del PGA Tour perché, alla fine, da noi possono imparare qualcosa. Le distanze effettuate sono più o meno le stesse. Non si può paragonare un giocatore che tira il drive a 320 yard con un amateur di buon livello. Non impari nulla dallo swing di DeChambeau, anzi diventa controproducente cercare di imitarlo, il suo è tutto un altro sport. Se guardi l’armonia e il timing di noi proette, invece, puoi sicuramente migliorare e questo i giocatori dilettanti lo devono capire. Chiamalo maschilismo o in un altro modo, fatto sta che da un Rory McIlroy o un Jon Rahm non si impara nulla.

Parliamo ora del tuo incredibile terzo posto al KPMG Women’s Championship. Ti aspettavi questo risultato?

 Ci speravo tanto perché era da un paio di mesi che il mio gioco era molto solido. Il problema era che non mettevo mai quattro giri di fila sotto il par. Poi, appena arrivata ad Atlanta, già il primo giorno di prova campo ho detto subito che quel percorso mi piaceva e si addiceva alle mie qualità di gioco. Ero ottimista e sono partita molto più tranquilla di quello che mi immaginassi. Per come ho giocato so di essermi ampiamente meritata questa terza piazza.

Cosa comporta il risultato ottenuto ad Atlanta in termini di opportunità future?

 Sono entrata nelle migliori 100 giocatrice del World Ranking e nelle prime 50 della money list quindi la carta per la stagione prossima è già confermata. Se continuo su questi livelli potrò giocare gli ultimi tornei in Asia a fine anno ed entrerò di diritto nel field per giocare i major l’anno prossimo. 

Stai facendo una stagione con ottimi piazzamenti. È scattato qualcosa nella tua testa?

 L’anno scorso mi sono concentrata troppo sullo swing e sulla tecnica tralasciando il gioco in campo e in gara non riuscivo a concretizzare ciò per cui avevo lavorato duramente in campo pratica. Quest’anno ho iniziato a lavorare con un mental coach in Arizona e mi ha aiutato parecchio. Ora sento che tutte le pedine sono al loro posto. 

Quella di Tokyo è stata la tua seconda partecipazione ai Giochi Olimpici. Sei arrivata a questo appuntamento con un’altra mentalità o l’emozione è sempre stata la stessa?

 La sensazione che si prova a giocare un’Olimpiade non cambia mai e per me è stato un onore e un privilegio rappresentare nuovamente l’Italia. In Brasile mi sembrava di essere alla Disneyland per adulti, è stata un’esperienza indescrivibile ed ero sopraffatta dal momento. Questa volta non abbiamo alloggiato nel villaggio olimpico insieme agli altri atleti perché era troppo lontano del percorso di gioco. È stata quindi una gara normale, ci sono state meno distrazioni e, da una parte, è stato un bene. 

Arriviamo alla seconda polemica di questa intervista. Cosa pensi delle numerose defezioni degli uomini a Tokyo? 

 Allora, capisco il loro punto di vista ma non lo condivido. Sicuramente partecipare alle Olimpiadi rappresenta un vero e proprio tour de force per tutti, sia per noi dell’LPGA e del LET che per loro dell’European e del PGA Tour. D’altro canto, se sei un top player per una volta puoi rinunciare a un ricco montepremi e giocare per il tuo Paese. Spero solo che queste continue rinunce non comportino nuovamente alla cancellazione del golf tra gli sport olimpici. Altra cosa che mi sento di dire è che potrebbero rendere questa competizione più divertente.

Cosa intendi?

 Dovrebbero creare un format diverso, magari a squadre, altrimenti è come disputare una gara normale. Perché quindi non coinvolgere uomini e donne e tenere validi i risultati di tutti? Il field è ridotto e, a maggior ragione, potrebbero fare qualcosa di più divertente sia per noi che giochiamo che per gli spettatori che ci guarderanno in tv da casa.

Sei sull’LPGA Tour dal 2014, qual è stato l’aspetto più difficile da gestire in questi anni di circuito?

 La continua pressione alla quale siamo sottoposte. Ogni singolo colpo è fondamentale, sia in termini di guadagni che di graduatorie. Un bogey potrebbe costarti la carta piena per la stagione successiva. Bisogna essere capaci di mantenere i nervi saldi e non lasciarsi sopraffarsi dalle difficoltà che, inevitabilmente, si incontrano.

Con chi hai legato sul Tour?

 Con Melissa Reid e Carlota Ciganda. Siamo molto unite, ci siamo create una vita e una routine famigliare più vicina possibile a quella di casa, ci aiutiamo e ci supportiamo a vicenda. Carlota è la mia migliore amica, ci conosciamo da quando abbiamo 16 anni e abbiamo fatto il College insieme. 

Qual è una tua giornata tipo quando non sei in gara? 

Prima di tutto dormo, e tanto. Poi cerco di rilassarmi, faccio lunghe passeggiate con Aspen, il mio cane, ed esco a bere un bicchiere di vino con gli amici. 

Sei nata in Italia ma hai vissuto tutta la tua infanzia in Kenya e ora sei in pianta stabile in America. In quale di questi paesi ti senti più a casa?

 Casa mia è in Kenya. Lì c’è tutt’ora la mia famiglia ed è il posto dove sono cresciuta. Ma mi sento italiana al 100%, su questo non si discute. Dopo anni e anni all’estero l’accento veneto c’è sempre e ne vado molto fiera. 

Giulia Molinaro insieme al suo amato cane Aspen, con lei da quasi due anni