L’avventura iniziata nel 2014 ha permesso al dirigente sportivo di guidare il progetto Ryder cup grazie alla sua esperienza manageriale e completarsi nel ruolo di Direttore Generale.

Il 14 dicembre 2015 le porte del treno Ryder Cup 2023 si chiusero e questo partì alla volta di Roma. C’era un disegno, ma mancava tutto: vagoni, stazioni e gli stessi binari. Franco Chimenti che ebbe l’intuizione, il sogno di portare la Ryder in Italia, aveva bisogno di un capotreno capace. Scelse allora Gian Paolo Montali, uomo di sport dal grande e vincente curriculum ma non di golf. 

Come ha accolto la chiamata da Viale Tiziano per guidare il progetto?

Ho immaginato le titubanze del mondo del golf per la scelta di un non golfista. A onor del vero ho iniziato a giocare molti anni fa perché Benetton mi regalò la sacca e la quota a Ca’ della Nave, ma sono un giocatore scadente.

La nomina non mi ha spaventato perché dalla pallavolo, al calcio o al golf cambiano le specificità, ma per quelle ci si fa aiutare da collaboratori competenti, ma resta l’imprinting che è comune a tutti.

Sono stati otto anni vissuti pericolosamente, usando una metafora cinematografica, un’esperienza complessa che mi ha fatto crescere sotto molti aspetti. Per esempio, non mi ero mai confrontato con il mondo politico e questo, come molti altri fattori, è stato per me motivo di arricchimento”.

Come mai la scelta è caduta su Gian Paolo Montali secondo lei?

Nessuno si poteva immaginare che l’Italia potesse avere la Ryder Cup. Tutto è nato dalla lucida follia di Franco Chimenti. I sogni però si realizzino da svegli e per portarli a termine serve alzarsi e metterli a terra. Probabilmente la mia razionalità, pragmatismo ed esperienza manageriale nella pallavolo e nel calcio sono stati determinanti”.

La prima fase, l’aggiudicazione, è stato un momento importante e difficile perché avvenuto battendo paesi golfisticamente più evoluti e con più giocatori. 

Abbiamo vinto perché per noi la Ryder Cup non è mai stata una gara di soli sette giorni. Abbiamo prospettato un progetto di 12 anni che comprendesse la crescita e lo sviluppo del golf nel nostro Paese attraverso la Ryder Cup. Questo evento cercherà di cambiare la percezione degli italiani nei confronti del golf e del mondo verso l’Italia quale destinazione golfistica”.

Come si è sviluppato il progetto?

Su due binari: la valorizzazione del territorio coadiuvata dai circoli italiani e lo sviluppo del turismo golfistico. Il progetto è partito con l’aggiudicazione poi è iniziato il lavoro. Gli obiettivi federali prevedevano un piano strategico mirato per lo sviluppo del golf.

Con KPMG abbiamo sviluppato diversi progetti: golf nelle scuole, donne, autismo, Road to Rome, disabilità, inclusione sociale… Abbiamo portato la coppa in giro per l’Italia, iniziando con un tee shot simbolico dal Monte Bianco bissandolo dal punto più a Sud del Paese, La Valle dei Templi, perché il progetto è del Paese Italia intero.

Tutto questo lavoro è stato fatto all’interno della Federazione, con i consiglieri federali parte in causa, senza un comitato organizzatore (a parte un paio di consulenti esterni Montali e Alessandro Mancini) e questa è una cosa tanto insueta quanto meritoria. Il business plan era di 160 milioni, di cui 60 dal Governo a fondo perduto e 100 a garanzia, che non verranno toccati.

Ci siamo resi conto che le strade non erano sufficienti per l’accesso e abbiamo convinto il Governo a stanziare altri 50 milioni di euro, dalla Dottoressa De Micheli, per fare le strade (con ulteriori 20 da parte della Regione Lazio).

Negli ultimi sei anni sono cambiati cinque governi con relativi primi ministri e interlocutori che voglio ringraziare. Certo, ci sono stati momenti difficili, ma siamo riusciti attraverso la diplomazia a superare le riserve e diffidenze.

Abbiamo spiegato il progetto in modo oggettivo attraverso i numeri, l’impatto economico e sociale. I ministri dello sport Andrea Abodi, degli esteri e vice primo ministro Antonio Tajani e del turismo Daniela Santanché ci hanno supportato in modo decisivo, insieme alla Regione Lazio e al Comune di Roma”.

Qual è stato il momento più delicato?

Più che delicato direi drammatico: quello legato allo scoppio della pandemia. Non avremmo potuto fare la gara al Marco Simone senza la rimozione di quattro piloni dell’alta tensione.

Al Mise ci dissero che sarebbero servite 55 autorizzazioni e due anni e mezzo, questo avrebbe reso impossibile avere il tempo per lavorare sul percorso. Siamo riusciti ad avere i permessi in sei mesi grazie a un lavoro quotidiano.

Era marzo 2021 ed è scoppiata la pandemia che ha bloccato tutto. Abbiamo però deciso di abbattere i piloni con una scelta coraggiosa iniziando poi a fare i lavori al campo con una collaborazione sinergica tra Federgolf, Ryder Cup Europe e Marco Simone”.

Siamo all’evento clou, cosa lascerà la Ryder Cup una volta terminata?

Questo progetto lascerà una serie di legacy oggettive. La prima è economica: 12 anni di progetto porteranno un impatto da 600 milioni a 1 miliardo di euro dati dagli oltre 100 tornei ospitati tra i quali 12 Open d’Italia.

I Governi, che hanno investito 60 milioni, hanno avuto un indotto fiscale di 82 milioni arrivati dagli introiti degli eventi. Poi c’è una legacy infrastrutturale: le strade create intorno al Marco Simone e la Tiburtina che aveva lavori bloccati da 15 anni. Il milione e mezzo di persone che vivono in quel quadrante hanno avuto la vita cambiata. La terza è sportiva, per creare una nuova serie di giocatori che si ispirino alla Ryder Cup. 

Inoltre, il brand Italia, al quale tengo molto: noi italiani, quando si tratta di organizzare grandi eventi, abbiamo una pragmaticità unica. Siamo bravi e abbiamo un plus in più, non solo l’attenzione all’aspetto tecnico ma la passione per le cose che si fanno. Lo vedremo nei side event che faremo nella settimana della Ryder.

L’ultima, la più importante che valuteremo nel 2027, è quella legata al turismo golfistico. Stiamo cercando di portare imprenditori stranieri a investire nel golf in Italia. Il Marco Simone resterà il cuore ma i giocatori si spostano e serve una comunione d’intenti tra i circoli esistenti e quelli che verranno.

Uno degli aspetti straordinari del golf è che vedi il tuo idolo giocare la buca 16 del Marco Simone e puoi prendere l’aereo, pagare un green fee e provare a emularlo. Quando vedi Messi segnare alla finale dei Mondiali non puoi partire e andare a giocare in quello stadio.

Ci saranno progetti mirati legati al turismo golfistico, come ha fatto anche Costa Crociere, per la destagionalizzazione del turismo e lo sviluppo e valorizzazione del Sud che può avere un indotto straordinario”.

Fra dieci anni il mondo del golf come sarà?

Il sogno è di avere degli italiani che giochino stabilmente sui Tour vincendo. I circoli secondo me sono la chiave di volta del golf.

Penso ci voglia un aumento dei campi al Sud, l’apertura di campi pratica nel cuore delle grandi città e la creazione di percorsi pubblici.

Se il golf diventa come il tennis o il padel e le persone in pausa pranzo vanno a praticare questo può portare grandi benefici.

Poi c’è l’aspetto legato ai viaggi: serve lo sviluppo attraverso un piano strategico mirato a far diventare l’Italia una golf destination turistica che deve coinvolgere tutte le componenti, dai circoli al Ministero del Turismo”.