Gaia Zonchello e Sebastiano Torrisi sono gli altri due azzurri insieme ai fratelli Molinari protagonisti dentro le corde nella 44esima edizione della Ryder Cup. Arbitri del DP World Tour impassibili, coerenti e professionali impegnati al Marco Simone


Prima di mettere in soffitta questa storica edizione della Ryder Cup è tempo di ricordare quanto Tricolore fosse presente al Marco Simone.

E non ci riferiamo solo ai due preziosi vicecapitani Francesco ed Edoardo Molinari, ma a un‘Italia che da anni si rimbocca le maniche, è conosciuta e stimata sul DP World Tour e lavora assiduamente dentro le corde.

Questa Italia porta il nome di Gaia Zonchello e Sebastiano Torrisi, romana lei e catanese lui, sono i due arbitri che hanno solcato i fairway al fianco dei 24 protagonisti europei e americani.

Gaia dopo 20 anni di instancabile carriera sull’European Tour come segretaria di torneo e recorder, aveva deciso nel 2019 di compiere un grande passo diventando la prima arbitro donna ufficiale del circuito maggiore europeo.

Sebastiano (Jano) Torrisi lavora sul Tour dal 2016, per entrambi è stata la prima esperienza di arbitraggio nella biennale sfida tra Europa e Stati Uniti. Un momento che rappresenta il culmine della propria carriera e farlo in casa, a Roma, ha un sapore ancora più speciale.

Che ruolo avete avuto durante la settimana della Ryder?

Gaia: da martedì 26 a giovedì 28 settembre sono stata il direttore di torneo della Junior Ryder Cup, poi da venerdì ho ricoperto il ruolo di arbitro al Marco Simone. Ho organizzato la cena degli arbitri e la gara tra il board europeo e quello americano il mercoledì all’Olgiata, un momento che si verifica in ogni edizione. Ma il lavoro al Marco Simone non finiva solo in quella settimana specifica. Ormai da un paio di anni ero il riferimento in loco per tutte le necessità e richieste da parte di Ryder Cup Europe. 

Jano: a inizio settimana mi sono occupato della marcatura del campo come, ad esempio, delimitare le aree fuori limite e di penalità, e ho contribuito ad abbozzare i primi documenti, tra i quali le regole locali. Durante i giorni di gara invece a rotazione ho fatto l’osservatore nel primo foursome del venerdì e nell’ultimo fourball del sabato e l’arbitro nella giornata dei singoli di domenica.

Come ci si sente ad arbitrare un evento come questo?

Gaia: ho lavorato nelle edizioni del 2006 e del 2014 come tournament office manager ma questa è stata la mia prima Ryder da arbitro che rappresenta il culmine della carriera. Poi ero a Roma, a casa mia, e questo ha aggiunto un mix di sensazioni difficili da spiegare a parole. È stata un’esperienza nuova e diversa dal solito, arbitrare a piedi è qualcosa di completamente inusuale da quello al quale si è abituati. Si è dentro al match e lo si condivide al 100% con i giocatori, è stata una cosa pazzesca. 

Jano: difficile descrivere a parole l’emozione che si prova ad entrare nell’arena della tee della 1 circondati da migliaia di persone. Quando sono uscito dal tunnel ho sentito un boato assordante, va bene che non era per me, ma l’emozione e l’adrenalina che scorreva nelle vene era tanta. Questa è la mia prima esperienza in Ryder, ho arbitrato l’Open Championship a St Andrews e il WGC-Dell Technologies Match-Play ma nulla si equipara anche solo minimamente a quello che ho provato al Marco Simone. Dalla stretta di mano con i giocatori alla domenica, con il match di Hatton e Harman finito sul green della 16… mi sono girato e dietro di noi c’era il delirio più totale. 

Quanto cambia il vostro lavoro rispetto a un torneo ufficiale del DP World Tour?

Gaia: diciamo che durante la Ryder Cup le ore di lavoro sono sicuramente meno e quindi si riesce a godersi di più il torneo nella sua totalità. E poi lo spirito di squadra è unico. Siamo un gruppo sempre molto affiatato ma durante quella settimana al Marco Simone l’atmosfera è stata magica.

Jano: cambia moltissimo e per certi versi è alleggerito perché al Marco Simone il mio lavoro era circoscritto all’arbitraggio in campo. Ma nella vita di tutti i giorni questo è solo una minima parte di tutto quello che c’è dietro. In verità, ricopriamo molteplici incarichi e quando siamo direttori di torneo ci occupiamo a 360° dell’organizzazione della settimana. Si è il referente diretto su tutto quello che ruota attorno a una gara: dalla sistemazione dello staff, ai rapporti con le televisioni, con i giocatori, con il superintendent del circolo ospitante, etc… 

Parliamo del set up del Marco Simone. Come è stato gestito e quanto hanno influito la volontà e le richieste del capitano Luke Donald? 

Gaia: ovviamente giocando in casa si cerca sempre di tirare l’acqua al proprio mulino, un esempio sono i green più lenti rispetto alle tavole da biliardo che trovi in America. È stato deciso di non avere mai uno stimpmeter (che determna la velocità dei green) a 13 come si trova sul PGA Tour ma mantenerlo fisso sull’11. È tutta questione di tattica e la nostra grande fortuna è stata anche quella di avere Edoardo Molinari come vicecapitano perché grazie al suo metodo statistico ha influenzato le scelte di Luke Donald, come quella di portare avanti il tee box della 5 così da poter tirare al green. Nel complesso, è un grande lavoro di squadra tra capitano e Ryder Cup Europe. Si chiama Captains agreement, è una sorta di contratto nel quale si evince che fino alla domenica antecedente l’inizio della settimana di Ryder, il board europeo ha libera scelta su tutto poi, dal lunedì, si condividono le decisioni con la PGA of America. 

Jano: sul set up dobbiamo aprire una parentesi più grande e dividere la preparazione agronomica da quella sportiva. Nella prima, come ha spiegato Gaia, la Ryder Cup Europe si riserva il diritto di apportare qualsiasi modifica al percorso, dal taglio del rough alla velocità dei green, fino alla domenica prima dell’evento. Da inizio settimana, invece, tutto viene condiviso tra i due board (europeo e americano) e i due capitani. Con il set up sportivo, invece, si intendono le scelte sull’avanzamento o meno dei battitori e la posizione delle aste. In generale, entrambi i capitani non hanno mai avanzato grosse pretese ma si sono sempre sincerati sull’uniformità dei green. In cuffia sentivo spesso Luke Donald chiedere che fossero tutti alla stessa velocità, sia mattina che pomeriggio.

Ci sono state critiche e lamentele da parte del Team USA riguardo l’assetto del Marco Simone?

Gaia: direi di no, e nemmeno tanto sui green come ho letto in giro. Gli americani lo sanno che fa parte del gioco. 

Jano: il campo è volutamente fatto per svantaggiare gli americani, è tutto studiato a tavolino, come tenere i rough alti. Da dietro le quinte non ho avvertito un malcontento perché si sa che funziona così. 

Potete dirci qualcosa che non possiamo sapere sia successo all’interno delle corde? 

Gaia: allora ti racconto cos’ho combinato la domenica dei singoli. Quando fai l’arbitro prima di scendere in campo devi pensare a una cosa sola: ricordarti quello che noi chiamiamo “gotcha”, una sorta di metro indispensabile da avere sempre con sé. Bene, io questo filo l’avevo perso e me ne sono accorta solo una volta iniziato il match di Hovland contro Morikawa. 

Jano: ma sai che non mi viene in mente nulla di così interessante da raccontare e che soprattutto non si sappia già. Nel mio piccolo posso dire che essere in mezzo ai festeggiamenti della squadra europea sulla terrazza della club house ed essere inondato di champagne è stato un momento che non dimenticherò mai.

Si è tutti grandi appassionati di golf quindi quanto è difficile restare impassibili durante i match? 

Gaia: riesco a entrare facilmente nella parte e fare il mio lavoro senza mostrare emozioni. Vuoi sapere la verità? Nel match tra Hovland e Morikawa speravo che l’americano imbucasse alle 15 così il match finiva alla 16, una buca scenograficamente spettacolare. 

Jano: in realtà è facile per noi perché abbiamo un lungo allenamento alle spalle. Ovviamente dentro di me il tifo da stadio era già partito venerdì mattina ma credo di essere stato bravo a non far trasparire nulla. Sono anche soddisfatto del mio operato perché so di essere stato imparziale sulle mie decisioni e aver garantito un risultato equo. Non ci sono stati ruling difficili ma sicuramente il più comune, che poi è molto importante per l’avanzamento del gioco, è decidere chi deve giocare prima. Nel match-play questo può cambiare tutto.