Abbiamo raggiunto telefonicamente Dave Sampson nel suo ufficio di Londra, dove attualmente vive e lavora, per farci raccontare le tappe, le sfide e tutti i passaggi che hanno visto il Marco Simone rinascere e prendere nuova forma dopo essere stato scelto come percorso sede della 44esima Ryder Cup.

Gli studi e la passione per il golf

Sampson, dopo essersi laureato nel 2002 presso la Nelson Mandela Metropolitan University di Port Elizabeth, in Sudafrica, con un Bachelor of Arts sia in Architettura che in Arte Edile, si trasferisce nel Regno Unito all’inizio del 2003.

Ha poi lavorato per sei mesi come analista di cricket p s aer il Surrey County Cricket Club, prima di entrare a far parte di uno studio di architettura con sede a Londra in qualità di design associate, dove si è occupato di progettazione di dettagli, produzione di disegni di lavoro e facilitazione di progetti.

Nel 2002, Sampson è stato il vincitore del concorso Golf World Design-A Hole, che lo ha portato a entrare nell’European Golf Design come associato alla fine del 2004.

I suoi precedenti lavori

Come raccontato da lui stesso, Dave è stato il progettista principale del percorso recentemente inaugurato presso lo Zavidovo PGA National, un campo che ha vinto il premio come miglior nuovo progetto in Russia nel 2011 ed è stato anche finalista del premio Golf Inc’s 2012 Best New Course in the World.

Nel 2013 ha inoltre completato e supervisionato i lavori di progettazione e costruzione per la riqualificazione del tracciato dell’Evian Resort, in Francia, sede dell’Evian Championship, uno dei cinque major dell’LPGA Tour. Nel 2009 ha inoltre completato i lavori del Safaa Golf Course presso la King Abdullah University of Science and Technology, in Arabia Saudita.

Architetto, perché ha scelto questo lavoro? 

È una storia interessante. Ho iniziato a giocare a golf grazie a mio padre quando avevo nove anni insieme a mio fratello, e già allora avevo come passione quella di creare alcuni disegni dei campi da golf dove andavamo a giocare. Quindi dopo la scuola ho studiato architettura in Sudafrica. Nel mio quinto anno di università ho partecipato a una competizione commissionata da World Golf Magazine in collaborazione con l’European Golf Design e dopo soli due anni ho avuto l’opportunità di lavorare in questo mondo. Amo il golf e sono molto fortunato a poter lavorare e vivere della mia passione.

Quando e da dove siete partiti con i lavori di ricostruzione del Marco Simone, che immaginiamo rappresenti la sua più grande sfida lavorativa fino ad ora? 

Assolutamente sì. Parto col dire che ricostruire un percorso è sicuramente più complicato che progettarlo e disegnarlo da zero. Nel 2014 siamo stati incaricati di realizzare questo progetto, dove alcuni designer sono stati ingaggiati per studiare i percorsi nell’area di Roma per vedere quali sarebbero potuti essere più idonei ad ospitare un evento di questa portata. 

Dopo un’attenta analisi effettuate dall’European Golf Design, insieme alla Federazione Italiana Golf e all’IMG è stato selezionato il Marco Simone quale campo in lizza per la 44esima Ryder Cup. Dopo che l’Italia e Roma nel 2015 furono ufficialmente nominati Paese ospitante, nel 2017 iniziammo a mettere le basi per ridisegnare il percorso. I lavori hanno poi preso il via ufficialmente nel settembre del 2018. 

IQuali sono state le fasi principali di questo progetto? 

Si trattava di un percorso molto complesso perché abbiamo dovuto rallentare i lavori più volte e per diversi motivi, in primis dovevamo mantenere sempre attive 18 buche per far giocare soci ed esterni. Per fortuna il golf aveva a disposizione nove buche executive, grazie alle quali siamo riusciti a lavorare su nove alla volta, lasciando sempre 18 buche libere al gioco.

La fase 1, che prevedeva la realizzazione delle seconde nove buche del nuovo percorso, ha preso il via nel settembre 2018, e terminata nell’ottobre del 2019, riuscendo ad aprire le buche al pubblico a inizio 2020.

La fase 2, ossia la creazione delle prime nove, è iniziata nell’ottobre 2019, per completarle e aprirle a inizio 2021. Il percorso infatti doveva essere pronto per l’Open d’Italia proprio di quell’anno (settembre 2021).

A quel punto da ottobre 2021 a maggio 2022 si è svolta la fase 3 dei lavori, dove abbiamo completato la creazione del nuovo putting green e del nuovo campo pratica e solo all’ultimo abbiamo lavorato sull’area dedicata all’ospitalità e alle zone per gli spettatori. 

Ai lavori di restyling ha partecipato attivamente anche Tom Fazio II, figlio di Jim autore del primo Marco Simone. In che modo avete collaborato a questo importante progetto?

Tom oltre a rivestire il ruolo di consulente golf della famiglia Biagiotti, soprattutto nella fase 2 del progetto ha avuto un ruolo cruciale e determinante a livello di project management, supervisionando personalmente i lavori su ogni singola buca. Grande merito del risultato finale, ovvero un campo di respiro internazionale, va quindi anche a lui. 

Quali sono state le maggiori difficoltà e gli ostacoli che avete incontrato durante i lavori? 

Le difficoltà sono state molteplici. Per prima cosa durante gli scavi abbiamo scoperto delle aree di rilevanza archeologica, come ad esempio a destra della buca 10, dove abbiamo ritrovato una villa del I secolo d.c. così come anche attorno ai green della 7 e della 17 sono stati ritrovati dei resti.

Per questo motivo abbiamo dovuto rivedere il disegno originario e rimodellarlo.

Abbiamo dovuto rimuovere quattro piloni dell’alta tensione, quindi come ho detto prima, dovevamo adattarci a quello che trovavamo per andare avanti con i lavori. A complicare poi il tutto è arrivato anche il Covid e la pandemia, che ha ritardato ulteriormente tutte le operazioni.

Una delle chiavi per la riuscita dei lavori è stata sicuramente che tutto il team di lavoro aveva perfettamente chiaro quello che andava fatto per portare a termine il progetto, trovando ogni volta una soluzione per risolvere le difficoltà e andare avanti e raggiungere questo importante traguardo.

Da cosa ha preso spunto e da cosa si è fatto ispirare per il disegno del campo?

I luoghi dove sorge il percorso del Marco Simone sono davvero unici e incredibili. Qui si respira la storia di secoli e secoli, quindi è stato facile per me trovare l’ispirazione nel creare questo progetto. Uno degli elementi che caratterizzano questo campo è la sua elevazione, nel senso che in molte parti del percorso, soprattutto nelle buche 11 e 12, si hanno delle vedute magnifiche sulla città di Roma. 

Tutti parlano del successo di Parigi e della Ryder Cup del 2018 e della bellezza del percorso del Golf Le National, che era davvero magnifico, ma personalmente penso che il Marco Simone, grazie alla sua posizione e alla struttura morfologica dell’area in cui si trova, regalerà a tutti gli spettatori un vero e proprio spettacolo mai visto prima. 

Per chi non lo sapesse, da tutti gli stand e tribune presenti sul campo, si potranno vedere dalle tre alle quattro buche e più momenti di gioco, e questo è un elemento incredibile e unico rispetto alle edizioni precedenti.

Come ho detto prima, nel punto più alto del campo, quindi dal green della buca 11 e dal tee della buca 12, si ha una vista da togliere il fiato sulla città di Roma e sul celebre Cupolone, la copertura della Basilica di San Pietro in Vaticano. Pensate che in certe giornate con il cielo limpido e terso, dal tee dell’iconica buca 12, è possibile vedere in lontananza anche altri dettagli della città. Stupendo! Per gli spettatori stranieri sarà davvero incredibile poter ammirare dal campo queste meraviglie artistiche e architettoniche della città di Roma.

Quali sono a suo avviso le buche più belle del percorso?

Tutti parlano, giustamente, della 11 e della 16 come quelle più rappresentative del campo. Queste due buche sono sicuramente affascinanti e scenografiche sia dal punto di vista paesaggistico che tecnico, in quanto oltre ad essere due par 4 corti e quindi raggiungibili con il primo colpo dal tee, aumentando lo spettacolo in campo, possono appunto essere affrontate con strategia diverse a seconda dei momenti della gara.

Un elemento determinante sarà rappresentato anche dalla presenza dal vento in quota, dove la palla potrà prendere diverse traiettorie. Detto questo però non sono la mia prima scelta. 

Le mie due buche preferite del Marco Simone sono i due par 4 molto delicati della 2 e della 15. La vista dal tee della 2 è a dir poco incredibile. Arretrando i back tee, dove prima si tirava il legno 3, adesso è necessario utilizzare il driver per raggiungere la corretta landing area e non finire nei temibili bunker del fairway.

Dal tee della 15 ci vuole molta strategia, dove alcuni giocatori possono provare a tagliare il dogleg e prendere qualche rischio in più utilizzando il driver o in alternativa optare per una strategia più conservativa e appoggiarsi sulla parte sinistra del fairway con un legno.

L’importante però è non finire né nel rough di sinistra né nei due bunker del fairway di destra, altrimenti raggiungere il green diventa molto complicato. 

A suo avviso il disegno e le caratteristiche del percorso possono in qualche modo favorire i giocatori europei rispetto a quelli americani?

Alcuni europei potranno trovarsi più a loro agio, in quanto il percorso può ricordare per alcune caratteristiche più i campi che troviamo in Europa rispetto a quelli che ci sono negli Stati Uniti, come ad esempio i fairway più stretti o i bunker con sponde più alte.

Ma quello che può favorire in qualche modo il team di Luke Donald è il fatto che molti dei suoi ragazzi hanno già giocato in condizioni di gara il percorso sia quest’anno sia nelle due edizioni precedenti dell’Open d’Italia (come Rory McIlroy, Viktor Hovland e Matt Fitzpatrick).

Cosa si aspetta da questa 44esima Ryder Cup?

Mi aspetto e sono certo che sarà un grande successo. Uno spettacolo per tutti i presenti al Marco Simone e per i milioni di spettatori che seguiranno l’evento in televisione. 

Tutti si ricorderanno della prima e storica edizione della Ryder Cup italiana. La città di Roma e l’intero movimento golfistico italiano sono pronti a farsi conoscere dal grande pubblico.

Non dimentichiamoci che la Ryder rappresenta il terzo evento mediatico più seguito al mondo, dove tutta l’Italia avrà l’opportunità di mettersi in mostra agli occhi del pianeta. Sono davvero onorato di aver lavorato a questo progetto.

Ho grandi aspettative e mi auguro davvero che questo incredibile evento possa far aumentare il numero di appassionati di golf nel vostro Paese. 

Ci può raccontare quante persone sono state impiegate concretamente alla realizzazione di questo progetto?

Parto col dire che è stato prima di tutto un ottimo lavoro di squadra, dove ogni singolo individuo ha fatto letteralmente la differenza in campo.

Dalla Federazione Italiana Golf, all’IMG, dal Managing Director dell’European Golf Design, Jeremy Slessor, allo staff del mio studio, arrivando a tutti i 45 operai che in questi anni hanno lavorato quotidianamente al nostro fianco per la realizzazione di questo importante progetto, che rimarrà nei secoli a venire come una vera e propria opera d’arte che lasciamo in eredità all’Italia golfistica, alla città di Roma e a tutti gli amanti di questo gioco.