Sono passati sette anni dal mio ultimo successo sull’European Tour, quello in Scozia che mi aveva aperto le porte alla Ryder Cup 2010, vinta con mio fratello Francesco. In questo periodo ho attraversato momenti anche molto difficili. In realtà non ho mai pensato di smettere, ma ho avuto paura di doverlo fare. Come sapete mi sono infortunato al polso e ho subito il primo intervento. Quando torni a giocare dopo un’operazione sei timoroso ma pensi che, colpo dopo colpo, la fiducia torni al 100 per cento. La ricaduta invece, con il successivo intervento, invece ha fortemente minato questa speranza. Se giochi male puoi sempre provare a metterci una pezza. Allenandosi con costanza e impegno puoi sempre ritornare a buoni livelli. Quando invece non puoi giocare, perché il tuo fisico non te lo consente, è tutta un’altra storia.

In molti mi hanno chiesto quali siano state le chiavi della rinascita. Beh, penso siano fondamentalmente due. La prima è tecnica, ovvero il ritorno al lavoro con Sergio Bertaina, che mi ha cresciuto al Golf Torino e mi conosce molto bene. Nel lavoro ci ha affiancato anche Gianluca Pietrobono, che mi seguiva quando giocavo sul Challenge Tour. A volte l’avanzamento tecnico e la continua ricerca ti fanno perdere di vista le cose che ti hanno permesso di arrivare al top. Tornare indietro e ripetere lo swing di quando le cose funzionavano non sempre è possibile. Certo, oggi i video e la tecnologia aiutano, però i cambiamenti fisici e l’età che avanza non consentono di ripetere alla perfezione lo swing iniziale. Quello che ho fatto con Sergio e Gianluca è stato adattare le nuove caratteristiche al movimento che avevo quando ottenevo i risultati migliori.

Il secondo fattore che mi ha permesso di giocare di nuovo con soddisfazione è stato tornare ad allenarmi a Milanello nel Milan Lab, con Daniele Tognaccini, che mi ha seguito sin dal primo infortunio. Daniele e la sua èquipe hanno fatto un lavoro incredibile. Da metà del 2014 il polso non ha più problemi ma io continuo a frequentare i professionisti di Milanello per lavorare con le articolazioni. Ah, ovviamente non cambio la mia fede calcistica. La Juve è forte, sono andato a vedere la semifinale con il Monaco e dato che non ho impegni in agonistici nella settimana della finale di Cardiff…

Torniamo però al golf. Mi hanno riferito in molti che in Italia il Trophée Hassan II è stato seguito dall’inizio alla fine. Mi sono sentito subito a mio agio e sono partito con un buono score nel giro d’apertura. Nella seconda giornata non ho giocato male, anche se ho chiuso uno sopra il par. C’è stato qualche rimbalzo sfortunato e qualche putt non è voluto entrare, ma ho avuto ottime sensazioni vedendo come partiva la palla. Il sabato ho ripreso un buon ritmo, chiudendo in 70, e poi nel giro finale ho giocato veramente bene le buche di rientro, dopo aver chiuso in par le prime nove. Penso che uno dei colpi più importanti sia stato il putt per l’eagle imbucato alla 12 che mi ha permesso di salire a -7 e tornare in corsa per il titolo. Sono stato fortunato a imbucare i putt nel momento giusto per riuscire ad andare al play off.
In molti mi hanno chiesto di fare paragoni con gli altri successi. Beh, vincere è sicuramente difficile ma tornare a farlo lo è molto di più specie dopo così tanto tempo, durante il quale pensi di fare bene ma non hai conferme. La vittoria ha cambiato molte cose. Sino al torneo in Marocco il mio obiettivo principale era mantenere la Carta, ora posso concentrarmi maggiormente sul gioco perché, grazie al successo di Rabat, potrò giocare le gare di maggior rilievo nei prossimi tre anni.

A questo punto, devo lavorare per risalire nel world ranking. Un primo salto è stato fatto ma certamente non mi accontento di questo. Quando si ottengono risultati ci si rende conto che la strada è giusta, ma anche che è ancora lunga. Mi manca ancora qualche miglioramento sotto l’aspetto tecnico, che mi permetta di avere continuità di risultati. Non vedo l’ora di tornare a giocare i major e specialmente il British. All’inizio carriera non vedevo l’ora di giocare ad Augusta, ma oggi preferisco l’Open Championship, magari anche perché è il major nel quale ho ottenuto i migliori risultati. Il Masters è molto “show”. Certo, la prima volta mette i brividi perché sei in un posto che hai visto solo in TV, però con il passare delle edizioni ti rendi conto che il campo è splendido ma forse non straordinario, anche se in un posto meraviglioso e unico al mondo, e assumono un maggior fascino quelli britannici. Almeno così è successo a me e a molti miei colleghi. Ho saputo che su questo numero trattate il tema “meglio un major o 10 titoli sul Tour”? Beh, personalmente preferisco un major, senza alcun dubbio!

Ma pensarci ora è prematuro. Prima giocherò in Sicilia, a Wentworth e le qualifiche per lo U.S. Open. Poi prenderò una pausa nei mesi di maggio e giugno rientrando probabilmente a Parigi, dove il prossimo anno si giocherà la Ryder Cup. Quella del 2022 è un tema molto caldo. Ho letto che sulla rivista l’avete seguita sin dal primo giorno. Ora per noi è ancora molto lontana ma entrerà tra gli obiettivi di tutti i giocatori che avranno la possibilità di qualificarsi. Ne ho giocata una sola ma la ricordo molto bene. Nel 2022 avrò 41 anni e prendervi parte sarebbe straordinario. Adesso alternerò gioco e recupero per arrivare in buona forma, fisica e mentale, al momento delle gare più importanti della stagione. Voglio anche passare un po’ di tempo con la mia famiglia che mi ha dato tanta serenità nei momenti più difficili. Una gran parte delle soddisfazioni in campo sono merito di mia moglie Anna che è la mia prima tifosa e l’arrivo di Margherita ci ha dato ancora più tranquillità. Dopo il Marocco sono tornato a casa solo un’ora, mentre la piccola dormiva. Ma adesso, finalmente, potro stare un po’ con loro!