Chiusa in modo trionfale la Ryder, l’obiettivo ora è smontare le false credenze sul nostro sport usando le immagini del Marco Simone e sguinzagliare i nostri tesserati investendoli del ruolo di promotori.


La Ryder Cup è finita, è stato un successo, un trionfo, qualcosa che ha lasciato tutti senza parole e che è andato ben oltre le più rosee aspettative.

Quasi 280 mila spettatori, la schiacciante vittoria del team europeo su quello americano, sole e caldo tutta la settimana, un grande ritorno mediatico e gente, tanta, tantissima di ogni nazione e classe sociale insieme con lo scopo di vivere uno degli spettacoli più coinvolgenti che lo sport possa regalare al giorno d’oggi.

Coreografie, cori, musica, divertimento, fiumi di birra, cheeseburger, carbonara e pizza.

Detta così poterebbe sembrare una sagra o la festa country di qualche paese più che un evento golfistico. In realtà è stata proprio questo il “trigger” vincete che ha incollato miglia di spettatori alla televisione da venerdì 29 settembre a domenica 1° ottobre e che ha estasiato tutti coloro che erano presenti al Marco Simone.

Ovvio che lo scontro tra i 24 giocatori e tutte le emozioni che ci hanno regalato durante e dopo il gioco sono stati il motore trainante di questa indimenticabile edizione italiana della Ryder Cup.

E adesso? Già, bella domanda…

Quello che tutti si stanno chiedendo è come sfruttare al meglio l’onda d’urto che questo evento sportivo ha generato in Italia, specie tra chi fino a metà settembre di golf non sapeva proprio nulla e che soprattutto non aveva mai preso in considerazione l’idea di poter cominciare un giorno a giocare.

La sostanziale differenza tra quello che ci aspettiamo e pensiamo del golf e quello che gli altri sostengono risiede nella definizione stessa di questa nostra grande passione: sport, gioco o tutti e due?

Tra i tanti motivi per cui “il popolo” è sempre stato reticente nell’avvicinarsi al golf ritroviamo il fatto che questo era spesso se non sempre identificato come attività per persone non di primo pelo, magari con qualche chilo in più, molto abbienti e che non hanno nulla da fare nella vita (primo errore).

I malati di fitness non vedono il golf come un modo per restare in forma o per tonificare (secondo errore). Tanti altri credono che questo gioco sia noioso (terzo errore).

Qual è quindi la nostra mission? Quella di smontare queste credenze, usando come “ariete” le immagini della Ryder Cup, e sguinzagliare gli oltre novantamila tesserati, investendoli del ruolo di ambassador. Pensiamo semplicemente una cosa: se ognuno di loro coinvolgesse una sola persona, nel 2025 parleremmo di 360.000 tesserati praticanti…

Quali strumenti dare in mano ai nostri ambassador? 

Un progetto che veda allineati FIG, PGAI e circoli. Un impianto snello, efficiente che spieghi per bene tutti gli step dal primo giorno in cui impugni un bastone fino ai successivi 4-5 anni. Con costi già stabiliti, nessun obbligo di firmare con il sangue e, soprattutto, facendo sentire queste persone non di serie B. Il golf è un gioco che si pratica facendo dello sport, o uno sport che fa giocare e divertire? A me non interessa quale sia l’interpretazione ma mi preme far capire che dobbiamo spostare quello che viene fatto con attività esterne per attirare persone all’interno dei circoli. E chi vive nei circoli, privati o no, ha il compito di accogliere queste persone, aiutandole nel loro processo di innamoramento.

Tutto questo deve essere appoggiato da una comunicazione massiva su tutti i canali adeguati, dove in maniera chiara e divertente, spingendo sulle immagini della Ryder, venga fuori la magia e lo spirito di questo gioco e i benefici di questo sport.

clubmanager@terredeiconsoli.it