L’edizione romana è stata un trionfo in campo ma anche fuori per organizzazione, sostenibilità e un contesto, quello della Città Eterna, che l’hanno resa irripetibile.

Lo ammetto: sono stato uno scettico. Attenzione, non un detrattore né un gufo. Solo una persona che, quando otto anni fa un euforico Franco Chimenti annunciò di essere riuscito a ottenere la Ryder Cup in Italia, pensò a una ‘Mission Impossible’.

Ero stato a Valhalla nel 2008, avevo visto cosa significava muovere 50.000 visitatori al giorno: parcheggi, strade, navette, controlli, servizi in campo, strutture… E poi, siamo in Italia. Burocrazia, ritardi e le problematiche che tutti conosciamo.

Ebbene, mi rimangio tutto e cospargo il capo di cenere. La Ryder Cup 2023 è stato un successo planetario sotto tutti i punti di vista: sportivo, organizzativo e d’immagine.

Partiamo dalla parte più vista e nota che però rimarrà negli annali. La vittoria europea: netta, schiacciante e mai in discussione.

I giocatori di Luke Donald si sono trovati a loro agio sin dalla prova del percorso e la cura dei dettagli da parte del capitano e dei vice è stata minuziosa.

Nei giorni che hanno preceduto il via della gara abbiamo visto i golfisti in Azzurro ridere e scherzare mentre quelli a Stelle e Strisce seriosi e solitari. Niente di nuovo sotto il sole: Europa più squadra rispetto all’America. 

I fattori chiave del successo

A mio avviso però, così come avviene per gli altri sport, a fare la differenza è stato il fattore ambientale.

Quante volte sentiamo dire nel calcio: il pubblico è stato il dodicesimo uomo in campo?

Ecco, a Roma il pubblico è stato il tredicesimo giocatore. Sempre mutuando dal calcio, chi ha giocato conosce la tensione nel battere un rigore.

Pensate cosa si può provare, nel bene e nel male, nell’imbucare o sbagliare un putt con il pubblico che inneggia. Gli europei hanno messo spesso la palla in buca, anche per merito di un’attenta preparazione del percorso e una corretta lettura, gli americani no.

La partenza fulminea per quattro a zero nei foursome la mattina del venerdì ha, di fatto, condizionato l’intero torneo costringendo i giocatori statunitensi all’inseguimento. 

Mai nella storia era successo che un team vincesse tutti gli incontri della prima mattina. Nel pomeriggio la rincorsa americana non ha avuto nessun esito. 

Anzi: tre pareggi e una vittoria hanno dilatato il vantaggio a cinque punti. Cosa avreste fatto nei panni di Zach Johnson dovendo recuperare da 6 ½ a 1 ½ nella seconda giornata?

Forse la stessa cosa tentata dal capitano: mandare in campo in prima partenza i più forti Scottie Scheffler e Brooks Koepka.

La scommessa vinta su Åberg

Chi avrebbe scommesso nella vittoria di Viktor Hovland e Ludvig Åberg, un ragazzino che quattro mesi prima era amateur? Non solo una vittoria ma il punteggio più pesante mai inflitto nei foursome nella storia della Ryder: 9&7.

Il primo punto pieno per gli statunitensi è arrivato alle 11:15 del secondo giorno, che si è concluso 10 ½ a 5 ½, un parziale realisticamente troppo ampio per sperare in una rimonta.

Domenica i 12 match singoli sono iniziati sulla falsariga delle prime giornate. Vittoria di Hovland su Morikawa (4&3), di McIlroy su Burns (3&1) e Hatton su Harman (3&2). Punto americano di Cantlay su Rose (2&1) ma pareggio all’ultimo colpo acciuffato da Rahm con Scheffler. 

È la prima volta che il numero uno al mondo non porta alla squadra un punto pieno ma Scheffler è stato l’unico che, attraverso le sue lacrime sabato e la sua presenza costante in campo, ha fatto capire quanto ci tenesse all’evento.

Sebbene il leaderboard avesse molti “rossi” Koepka su Åberg (3&2), Thomas su Straka (2up) e Schauffele su Højgaard (3&2) si attendeva solo il mezzo punto decisivo.

Sarebbe potuto arrivare da Lowry, che ha pareggiato con Spieth, ma lo ha segnato Fleetwood impattando con Fowler (3&1). Il successo di MacIntyre su Clark (2&1) è servita solo per fissare il punteggio di 16 ½ a 11 ½.

Tiriamo le somme

Questa la vittoria in campo: bella, netta e storica. Ma non meno importante però è stata quella fuori. Ora che le palline si sono fermate da qualche giorno si possono tirare le somme.

Lasciamo perdere rumor e detrattori che non vogliono arrendersi neppure di fronte all’evidenza. Ci sono due successi.

Il primo, incontrovertibile, è che l’Italia sia finalmente stata vista nel mondo quale una destinazione golfistica ed esempio di efficienza. Sì, anche efficienza: abbiamo preso la navetta per la stampa ogni mattina ed effettivamente ci sono stati alcuni inconvenienti e ritardi.

Ebbene, i giornalisti stranieri non hanno fatto una piega, hanno atteso spiegando agli iracondi italiani: “Capita in eventi di questo genere”.

Il pubblico presente porterà in giro per il mondo l’immagine dell’Italia paese dove, ai già noti atout della gastronomia e cultura, si aggiungerà ora quello del golf.

Ma il clamore non arriva solo dal campo. La Ryder è stata vista in tutto il mondo e sicuramente ci sarà un ritorno di presenze anche negli anni, oltre a quello registrato nei giorni dell’evento.

Non ascoltate quanti sostengono ancora che “è stato una manifestazione che ha dato beneficio solo ai circoli intorno alla Capitale”.

È vero, i club di Roma hanno avuto una ricaduta importante con green fee alle stelle e slot esauriti. Ma anche i circoli sulle “strade del ritorno” ne hanno beneficiato.

Il tornaconto turistico, se sapremo approfittarne, sarà importante. Serve però organizzazione e lungimiranza con segreterie in grado di organizzare prenotazioni e lungo termine parlando un buon inglese e un sistema che consenta di offrire servizi all’altezza di quanti arrivano.

Ricordiamoci che il golfista, anche lo straniero, è alto spendente e si aspetta golf car efficienti, un servizio ristorazione all’altezza e un tee time puntuale, anche se prenotato parecchi mesi prima. 

L’eco mediatico da cavalcare

Il successo però si è registrato anche dentro i confini. Poco importa se in Italia l’ultima giornata di gara sia stata vista da “solo” 294.000 spettatori (gli stessi del film Agente Smart – Casino Totale).

Stiamo parlando di oltre tre volte il numero dei tesserati che hanno potuto constatare di come il golf non sia uno sport ingessato e di ricchi pensionati.

Il nostro sport su alcuni quotidiani ha addirittura preceduto il calcio nelle pagine sportive: avete letto bene, la Ryder a pagina due e il calcio alla quattro.

Tutti i principali telegiornali ne hanno parlato in ogni edizione e ampiamente. Siate sinceri, avete avuto anche voi almeno un amico che, sapendovi golfista, vi ha chiesto di “questa Ryder” della quale ha sentito l’eco.

Ora non bisogna fermarsi, bisogna cavalcare l’onda senza se e senza ma diventando noi in prima persona i principali promotori del nostro sport. Serve collaborazione tra tutte le forze in campo: Federgolf, professionisti, campi pratica, circoli e golfisti. 

La Federazione e il suo Presidente Franco Chimenti hanno fatto un miracolo poiché oggi ci saranno migliaia di persone che, a partire dai giocatori, racconteranno dell’esperienza vissuta e di quanto sia bella l’Italia.

La cena alle Terme di Caracalla, le foto in Piazza di Spagna, i Fori Imperiali ma anche Firenze, Venezia e le altre città che sono state visitate dopo la Ryder. 

Patrick Cantlay si è sposato a Roma qualche giorno dopo, Justin Thomas è andato sul lago di Como e i social hanno fatto da cassa di risonanza in ogni angolo del mondo.

La portata di questo evento è stata straordinaria, ora tocca a noi cercare di sfruttarla al meglio lavorando insieme e ancora più assiduamente. 

La speranza, ma soprattutto l’obiettivo, è che questa Ryder non rimanga soltanto un ricordo unico dalle forti emozioni ma che un domani non così lontano venga annoverata come il momento chiave della definitiva consacrazione del nostro settore in Italia.