L’Open d’Italia del settembre scorso mi ha fatto capire ancora una volta quanto il livello di gioco si sia alzato, e non parlo solo dei top player ma di tutti i giocatori presenti nel field, anche quelli di seconda fascia (oltre il numero 100 del World Ranking).

Questo è dovuto principalmente alle ampie conoscenze scientifiche alla base del golf e alla preparazione tecnica, fisica e biomeccanica, tutti ingredienti che portano il nostro sport a un livello successivo. Se penso agli anni ’90 a come interpretavamo noi il golf, vedo una differenza abissale.

Erano numerosi i giocatori che andavano a occhio con la misurazione dei colpi, molti non avevano nemmeno lo yardage book. Oggi, è esattamente l’opposto, basta guardare come i professionisti studiano la linea sul putt cadendo spesso nell’esagerazione e, soprattutto, nella piaga del gioco lento. Chi guarda il golf da profano non capisce il loro atteggiamento e la loro lentezza, e questo va combattuto. 

Durante l’Open ho avuto modo di osservare da vicino molti giocatori in campo pratica e parlare con i loro coach. Chi mi ha veramente stupito per la potenza e il tocco di palla è l’australiano Min Woo Lee e pensare che, per come gioca, non ha nemmeno passato il taglio al termine delle 36 buche. Ovviamente sono rimasto affascinato da Rory McIlroy, dalla qualità dei suoi colpi e dell’atteggiamento in campo, e mi è piaciuto molto Viktor Hovland. È pazzesco come tira i ferri ma sugli approcci c’è ancora da lavorare. Ha un gioco corto molto scolastico, poca fantasia e scarsa tecnica e per questo ha un margine di miglioramento incredibile se si pensa alla sua qualità tecnica. 

E poi c’è Matthew Fitzpatrick, che Dio lo benedica, se tutti fossero come lui in non più di quattro ore si giocherebbero 18 buche. L’inglese oltre alla velocità della routine in campo è migliorato tantissimo, sia dal punto di vista fisico che tecnico. Il suo modo di approcciare con le mani ‘reverse’ fa capire quanto lavoro ci sia dietro. 

Se un ragazzo vuole intraprendere questa carriera deve mettersi in bene in testa che il talento da solo non basta più. Ci vuole dedizione e impegno massimo. Stare in campo pratica otto ore al giorno consapevole che ormai la concorrenza è spietata e i sacrifici sono all’ordine del giorno. 

Ho poi avuto modo di scambiare quattro parole con Denis Pugh, il coach di Francesco Molinari, che mi ha confidato che secondo lui Chicco è messo meglio del 2018 dal punto vista tecnico. Ovviamente la performance finale in campo è un’altra cosa. Ha spiegato quanto Francesco sia tornato alle basi semplici che aveva quattro anni fa e quanto sia fisicamente molto più forte. Non credo riuscirà a qualificarsi automaticamente per la Ryder Cup del 2023 ma se fa una bella stagione lo scelgono sicuro tra le sei wild card a disposizione. In una squadra giovane, una personalità come la sua serve alla squadra. 

E infine arriviamo a Guido Migliozzi. Già all’Open d’Italia era in forma, il suo gioco era tornato solido ed efficace e l’exploit dell’Open di Francia è la riconferma del talento assoluto di questo ragazzo. 

Una delle sue qualità più grandi è il coraggio, non ha paura di nulla e gioca sempre all’attacco. Quel colpo alla 18 da 180 metri sopra l’acqua lo può tirare solo un genio vincente. A Le National Guido ha dimostrato di avere la testa per vincere, non si accontenta di arrivare secondo e questa dote e o ce l’hai di natura o no. Non la acquisisci sui libri di tecnica.