La sconfitta della squadra europea a Whistling Straits è stata la prova tangibile del divario tra i due massimi circuiti del golf mondiale.

Il vero problema non sono state le scelte del capitano Padraig Harrington, al quale è sbagliato addossare la colpa, bensì, il livello dei giocatori dell’European Tour, nettamente inferiore rispetto a quello americano.

I numeri parlano da sé

Alla vigilia della biennale sfida già si sapeva la difficoltà che la compagine del Vecchio Continente avrebbe incontrato in Wisconsin.
Difficile competere con un Dream Team a stelle e strisce come quello proposto da Stricker. 

Calato il sipario sulla Ryder Cup, è però tempo di un esame di coscienza.

Se si vuole arrivare preparati all’appuntamento con il Marco Simone è necessario cambiare rotta. Parto con il dire che, secondo me, è stato fatto un autogol pazzesco non volendo cambiare il regolamento di qualifica e permettere al capitano Harrington di selezionare sei wild card, come ha fatto l’America.
In un periodo come quello che abbiamo vissuto e stiamo tutt’ora vivendo era utile avere più scelte invece che ridurre la selezione a solo tre nomi. In Europa è stato più difficile fronteggiare le misure di restrizione, viaggiare tra una nazione e l’altra e organizzarsi rispetto a quanto hanno fatti i giocatori sul PGA Tour.  

Non voglio puntare il dito su nessuno in particolare dei 12 giocatori europei ma Rory McIlroy deve essere motivo di discussione.

Premetto di aver sbagliato ad accusarlo in telecronaca perché davanti a un grande campione bisogna portare sempre rispetto anche quando le cose non vanno nel verso che vorremmo noi. Detto questo, è sotto gli occhi di tutti la difficoltà del nordirlandese nell’affrontare un torneo di questo livello. E credo anche che non sia tanto una questione di gioco ma il problema sia ancora più profondo.

Dietro l’intervista rilasciata da McIlroy al termine del suo match nei singoli della domenica si cela tutto il suo disagio e la sua frustrazione.

Sono il primo tifoso di Rory e so che il suo posto è tra i primi tre del World Ranking e non al quindicesimo. Stiamo parlando di un fuoriclasse, di un giocatore diverso dagli altri, riconoscibile, con una tecnica e una naturalezza unici.
Ma, nonostante tutte queste qualità, quando veramente un torneo conta, lui si spegne. Da quanto tempo non è in contention per la vittoria finale in un major? Perché in Ryder Cup sembrava spento e scoraggiato?
A Whistling Straits scendeva in campo ed era da subito in netta difficoltà, non riusciva a concentrarsi e ad attivarsi.

Forse è stata l’eccessiva pressione e aspettativa che aveva su di sé perché, insieme a Jon Rahm, si sarebbe dovuto portare la squadra sulle spalle ed esserne la colonna portante.

Molti l’hanno criticato perché dallo sguardo che aveva sembrava che non gli importasse di essere lì a giocarsi la vittoria con i suoi compagni di squadra. Ma sappiamo bene che non è così e durante l’intervista è fuoriuscita tutta la sua frustrazione e il suo rammarico per non essere stato di supporto ai suoi compagni che ritiene una seconda famiglia.

Se davvero vuole tornare ad essere il numero uno del mondo serve perciò uno scossone, deve uscire dalla sua comfort zone, mettersi in discussione e, magari, cambiare il proprio staff per ricominciare da capo. 

È un ragazzo intelligente e sa che deve fare molto di più altrimenti non si sarebbe mai commosso in quel modo in Ryder Cup.