Che anno sarà il 2023? Onestamente non mi aspetto grossi cambiamenti anzi, credo che sarà un anno di transizione dove bisognerà farsi un bell’esame di coscienza e pensare al bene del golf mondiale.

L’ha detto persino Rory McIlroy nell’intervista sul numero scorso di Golf&Turismo e sappiamo bene come la pensi e come sia schierato in questa diatriba. Ovviamente mi riferisco alla querelle tra PGA Tour e LIV che ormai da oltre un anno a questa parte anima le più alte sfere del nostro sport. 

Con l’avanzata della superlega araba i massimi circuiti, PGA e DP World Tour, si sono chiusi in sé stessi investendo cifre astronomiche per tenersi ben stretti i propri giocatori, gli sponsor e avere sempre più credibilità. 

Se entriamo nel dettaglio, vediamo che il nostro circuito continentale ha introdotto montepremi sempre più alti ma che, ne sono certo, non basteranno a richiamare i grandi nomi. Personalmente, avrei fatto un accordo diverso con gli arabi, mi sarei seduto a un tavolo prima che scoppiasse il finimondo e mi sarei sganciato dal PGA. 

Sì, con l’accordo con Monahan abbiamo avuto dei benefici in termini di montepremi ma non di top player, perché dubito che i grandi nomi vengano a giocare in Europa, salvo rari casi. Mi piacerebbe ci fosse un vero circuito mondiale dove tutti possano viaggiare da una parte all’altra del globo composto da numerose gare con diversi livelli di importanza e punti in palio, un po’ come succede nel tennis.

E invece, sta diventando sempre più un circuito a stelle e strisce con i tornei più belli negli Stati Uniti (già tre major su quattro si giocano lì) e questo non porterà che al collasso del nostro DP World Tour. E dirò di più, in questo mio ipotetico circuito world wide si dovrebbero organizzare eventi con format simile a quello del LIV con l’unica condizione che ci sia il taglio dopo le 36 buche. In questo modo, si avranno tornei più veloci, facili da seguire e da commentare, e con un field ridotto.

In queste fasi di continui cambiamenti e passaggi di giocatori da un circuito a un altro chi, come già detto, ci rimette di più è la Ryder Cup. Parliamoci chiaro, si tratta dell’unico baluardo per i non golfisti, un evento che avvicina e unisce ogni appassionato di sport, uno spettacolo da vedere sia dal vivo che direttamente dal divano di casa. Quello che più mi auguro è che non rovinino questo gioiello che fa avvicinare i non golfisti da ogni parte del mondo. 

Ma veniamo agli aspetti più interessanti. Il 2023 sarà un anno storico per il golf italiano e l’impatto sul movimento giovanile e amateur in generale sarà sicuramente positivo. Speriamo ovviamente ci sia almeno un azzurro nella squadra europea (oltre a Edoardo Molinari, già vice-capitano) perché così facendo sarà ancora più facile promuovere il golf. Sappiamo quanto siamo tifosi noi italiani. 

Già la nomina di Francesco Molinari all’Hero Open di gennaio non è banale perché ci fa capire quanto Chicco sia inserito nella politica che ruota intorno al nostro sport. In passato abbiamo avuto altri grandi giocatori che potevano avere importanti riconoscimenti e invece non hanno mai ricoperto ruoli di questo tipo. 

E chissà che pure il sottoscritto non si schieri nuovamente in campo, magari in un torneo del Legends Tour. Sono 12 anni che non gioco un torneo professionistico, ma come diciamo noi a Roma: “Se po’ fa!”.