Secondo un’approfondita indagine del Royal & Ancient, i golf nel mondo sono in totale 38.864. Diffusi un po’ dovunque (in 209 nazioni su 249) si concentrano però in una decina di Paesi.

Golf Around the World 2019: questo il titolo della terza edizione della ricerca realizzata dal Royal & Ancient sui campi di tutto il mondo. Sotto la lente tanto i percorsi esistenti, quanto quelli in progetto e costruzione. Rispetto alle indagini precedenti (2015 e 2017), la situazione mondiale sembra più variegata. Riguardo le sei zone geografiche in cui è divisa la mappa mondiale, dobbiamo segnalare la crescita di mercati come il Vietnam e di altri in cui i campi da golf sono considerati rilevanti per lo sviluppo locale. Fra questi Argentina, Portogallo, Turchia e Arabia Saudita.

L’imprimatur del Royal & Ancient

La ricerca è stata portata a termine dall’R&A con il supporto di numerose società ai vertici mondiali nel nostro settore. Fra queste la National Golf Foundation americana, un’associazione di business legata al golf che ha sviluppato e mantiene un completo inventario di tutti i golf mondiali.

Il golf è piuttosto diffuso nel mondo, anche se con una diffusione senza dubbio non omogenea. In questa ricerca targata 2019, i campi esistenti erano 38.864. Almeno un percorso è presente in 209 delle 249 nazioni del globo, dato che si traduce in un 84% di diffusione totale del nostro sport. Esiste però una forte concentrazione di percorsi. Il 78 per cento è infatti raggruppato nelle 10 maggiori nazioni per numero di club: Stati Uniti, Giappone, Canada, Inghilterra, Australia, Germania, Francia, Corea del Sud, Svezia e Scozia.

Al numero complessivo dei Paesi che ospitano un campo di golf si è aggiunto il Turkmenistan, con l’Ashgabat Golf Club, disegnato da Jack Nicklaus. L’ex stato dell’Unione Sovietica è oggi uno dei 48 con un solo campo. Di questi, 28 hanno un percorso con sole nove buche.

La diffusione per continente

La maggioranza dei club di golf è situata nell’emisfero occidentale. Nord e Sud America contano per il 58%, con gli U.S.A. che da soli detengono il 43% dei campi mondiali. Al secondo posto l’Europa (23%), seguita dall’Asia (16%) e dall’Oceania (5%). Queste percentuali dimostrano un modesto spostamento dal Nord America all’Asia negli ultimi anni.

Ci sono state numerose chiusure di club nei Paesi golfisticamente più “maturi” rispetto a quelli meno storici, suggerendo che si si sia trattato di un aggiustamento dopo uno sviluppo eccessivo nei decenni precedenti. L’80% delle chiusure totali riguarda Stati Uniti, Giappone, Australia e Canada, che rappresentano insieme il 68% dell’offerta complessiva di campi. Nel biennio 2017/2018, il 20% dei Paesi hanno fatto registrare un aumento di percorsi, mentre il 64% è rimasto sostanzialmente invariato.

Sebbene l’immagine del golf sia quella di uno sport collegato a club più o meno esclusivi, in realtà sono oltre il 75% le strutture che nel mondo offrono la possibilità di giocare con la formula “pay per play” legata a green fee giornalieri.

Dai links ai parkland

Il golf ha le sue origini nelle aree sabbiose sui mari che circondano Gran Bretagna e Irlanda. Il drenaggio naturale e il clima moderato era ideale per sviluppare il gioco in quella che veniva chiamata “linksland”. Con l’aumentata popolarità del gioco, cui potevano accedere anche gli appartenenti alla middle class, il golf ha cominciato a diffondersi anche su terreni meno congegnali, che dovevano essere preparati per ospitare gli appassionati. Fra questi prati aperti, zone rurali e parchi con alberi. Con l’allargamento, nacque anche l’architettura da golf e, con essa, un’intera industria per la gestione e la realizzazione di campi.

Molti dei links originali si trovavano su terreno pubblico e quindi erano tecnicamente aperti a tutti. Con l’espansione negli Stati Uniti, nell’Europa continentale, in Asia e in Africa, il gioco prese invece un’altra strada, acquisendo l’alone di esclusività privata. Un secolo fa, i club erano per la maggior parte aperti solo ai soci e quelli pubblici rappresentavano solo una piccola percentuale su scala mondiale. Una situazione che però, con il passare degli anni, si modificò, rovesciando completamente il rapporto fra campi pubblici e privati. Dato che emerge chiaramente nei dati di questa indagine.

I nuovi campi

Al momento di chiudere la ricerca, c’erano 534 nuovi progetti in cantiere in tutto il mondo, a un differente livello di realizzazione, distribuiti su 101 nazioni. Di questi campi, il 64% riguarda nuovi resort, dato che sottolinea l’affinità fra golf, turismo e sviluppo economico. Il fatto che esistano 198 cantieri in corso e 336 campi in fase di progetto è il dato più evidente della continua espansione del nostro sport.

Il continente più arretrato golfisticamente parlando, e cioè l’Africa, dal 2014 al 2019 ha aperto 25 percorsi, mentre 56 sono in fase di realizzazione in 18 nazioni.

In Europa lo sviluppo di campi si è spostato a est, in nazioni emergenti come Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, tutti progetti con una importante componente residenziale o di resort.

L’Asia, che detiene il 17% dei campi mondiali, è l’area con il 28% di nuovi progetti. Il balzo più importante riguarda il Vietnam, che oggi ospita già 78 percorsi e ne ha altri 43 in fase di realizzazione. Altra realtà interessante è l’India, che sta aggiungendo 30 campi ai 294 già aperti.

L’importanza economica del golf

In queste zone e non solo, il golf è un motore per attività sportive e ricreazionali ma anche per piani di sviluppo dell’economia di alcune regioni. Progetti economici innovativi sono inseriti in sistemi ambientali locali che aiutano la grande qualità generale delle nuove strutture. L’approccio all’architettura da golf ai nostri giorni è quello di lavorare assecondando il terreno, non “contro” il terreno stesso.

Gli sforzi per realizzare campi che vadano a braccetto con l’ambiente porta a piani di lavoro molto sofisticati. L’obiettivo dichiarato è ormai quello di disturbare il meno possibile il territorio naturale, anche riducendo al massimo l’utilizzo di pesticidi. E tanto gli architetti quanto i course manager devono collaborare per assicurare una lunga vita a progetti sempre più sofisticati.