Questa è la storia di Gianmario, che nelle prossime righe chiameremo più comunemente Gimbo, perché è così che tutti nel mondo del golf lo conoscono.
Milanese doc, gioca a golf da sempre e nonostante gli oltre 50 anni di relazione con palline e driver, il coinvolgimento e la passione sono sempre gli stessi. 

Un amore tramandatogli da suo padre, altro personaggio che varrebbe la pena di approfondire, ma soffermiamoci sul figlio. Gimbo inizia a tirare i primi colpi a Rapallo nel 1969 e da subito si intuisce che quel bel ragazzo dai capelli corvini ha del talento.
Piano piano inizia l’iter delle gare giovanili, si diverte, vince e inizia repentinamente a scendere di handicap.

Alla soglia dei 65 anni il suo movimento ancora oggi sembra non scalfirsi mai, il suo ritmo perfetto e armonico è l’invidia di tutti, giovani e veterani del fairway.
Non passa weekend che non scenda in campo, indipendente dal clima e dalle intemperie.
Ricordo che durante le mille cromie che si susseguivano durante il Covid (zona rossa, gialla e arancione) si lamentava della reclusione forzata e la sacca fissa in garage.
Quante volte lo chiamavo la sera sul tardi ed era in campo a giocare, da solo, soprattutto d’estate e magari era alla sua 27esima buca della giornata. 

L’amore di Gimbo per il golf

Osservandolo ho capito cosa significhi appassionarsi e amare davvero qualcosa anche se, spesso, non si è corrisposti. E sappiamo bene quanto il golf ci illuda in questo. Ci fa pensare di aver capito tutto, di essere invincibili per poi rimetterci al nostro posto e farci tornare a casa con la coda fra le gambe.
Provate a chiedergli quante volte è riuscito a battermi in match-play in questi 28 anni di scampagnate insieme. Lui dirà tre ma è un numero un po’ troppo ottimistico…

Bene, esperienze così il buon Gimbo ne ha avute tante.
Ho perso il conto di quante volte alla 12 mi ha detto: “Basta, smetto di giocare”, oppure “Cosa sono venuto qui a fare non potevo starmene a casa?” (e vorrei anche ribadire che queste frasi sono vagamente edulcorate perché le esatte parole erano leggermente diverse).
Fatto sta, che arrivati in club house dopo una piadina, mi guardava e affermava: “Andiamo a farci 9 buchette?”. 

Memoria storica

Un altro aspetto alquanto bizzarro di Gimbo è la sua memoria quasi eidetica. Non scherzo quando dico che si ricorda che ferro ha giocato alla buca 5 del Golf Nazionale nel 1981.
Sa raccontarti tutte le sensazioni provate prima, dopo e durante il colpo con una minuziosità incredibile di dettagli quando tu fatichi a ricordarti cos’hai mangiato per cena la sera prima.
Si ricorda il colore del golf di Billy Casper quando vinse l’Open d’Italia a Monticello nel 1975. E vi assicuro che sono andata a vedere le foto d’archivio e sì, aveva proprio ragione, il golf era di colore amaranto.
È stato lui a portarmi in campo pratica e a regalarmi la prima sacca. Da quel momento non ho più smesso e se mi guardo indietro la Coppa Famiglia è uno dei ricordi che conservo più nel cuore. 

Quando lo sento parlare delle sue 18 buche gli si illuminano gli occhi e si percepisce quanto il golf possa essere molto più di un semplice sport. E se sono qui oggi a scrivere di Gimbo e ad aver fatto della passione il mio lavoro lo devo soprattutto a lui. 

Ecco, credo che qui risieda l’insegnamento più grande che mi ha dato.
Ogni giorno mi fa capire quanto la passione sia l’anticorpo naturale alla paura della vita, la tinga di colori e riempia di esperienze positive, o negative che siano, quel cassetto nella nostra mente che ci fa sentire vivi, sempre e comunque. Ma i suoi insegnamenti non si fermano qui, perché oltre all’amore per questo sport, di consigli me ne ha dati.

Ora che ci penso praticamente lo fa da una vita intera. In fondo, Gimbo non è altro che il mio papà.