Il DP World Tour Championship, l’atto conclusivo della lunga stagione europea, ci ha regalato quest’anno uno dei finali più intensi e drammatici della storia recente. Ma mentre Matt Fitzpatrick alla fine celebrava il suo terzo meritatissimo successo nel torneo, il vero protagonista è stato – inevitabilmente – lui: Rory McIlroy.
La sua settima Race to Dubai, una in più del grande Seve Ballesteros e una meno dal record assoluto di Collin Montgomerie, non è solo l’ennesima corona da aggiungere a una straordinaria collezione, ma la conferma tangibile che il nordirlandese ha raggiunto una maturità agonistica che va oltre i semplici risultati.
Il 2025 gli ha regalato qualcosa che stava cercando da anni, un equilibrio tra ambizione feroce e piena consapevolezza dei propri mezzi. La vittoria al Masters – quella che gli ha consegnato il Career Grand Slam (primo europeo a riuscirci nella storia del golf), cancellando in un colpo un decennio di fallimenti, pressioni e dubbi – è stata la scintilla che ha liberato il nuovo Rory.
Da quel momento, ogni suo gesto in campo ha avuto un peso diverso, come se il golf tornasse a essere il suo spazio naturale, non più il luogo dei fantasmi personali. Quell’impresa ad Augusta lo ha reso, di fatto, un giocatore che non ha più nulla da dimostrare.
Eppure, paradossalmente, ha iniziato subito a dimostrare di nuovo tutto. Perché completare il Grande Slam non ha spento la sua fame, l’ha per certi versi incanalata. Lo si è visto nei mesi successivi, quando prima ha rivinto il suo Open, l’Irish, e poi ha trascinato l’Europa a una storica vittoria in Ryder Cup in terra americana a Bethpage, uno dei suoi obiettivi dichiarati sin dai tempi del trionfo al Marco Simone.
Dopo averlo visto il 16 novembre scorso posare con l’Harry Vardon Trohpy a Dubai, in compagnia della figlia Poppy e della moglie Erica, una domanda è sorta quindi quasi inevitabile: ma adesso, che McIlroy ci dobbiamo aspettare?
Quello che si intravede è un giocatore che ha smesso di correre contro i propri limiti e ha iniziato a farlo verso la propria eredità. Un giocatore che non sembra più assillato dal bisogno di vincere ma ispirato dal desiderio di lasciare un segno, come Seve e Tiger. Un atleta che sta spostando la sua immagine da eterno talento a figura storica di questo sport. E, soprattutto, un ragazzo, anzi un uomo ormai, che sembra divertirsi in questo momento più che mai.
La sensazione è che il Rory post Grande Slam sia per molti versi più libero, leggero, non meno competitivo, anzi. Sembra quasi che, tolto il macigno delle aspettative accumulate negli anni, il suo golf sia tornato ad avere quell’imprevedibilità creativa che lo aveva reso unico da giovanissimo. È probabile che questo McIlroy, forte di una consapevolezza finalmente raggiunta, possa vivere le prossime stagioni come una vera e propria seconda giovinezza.
E se il 2025 ha raccontato un Rory che ha conquistato tutto quello che desiderava maggiormente, il futuro potrebbe raccontarne uno che aggiunge ciò che nessuno si aspettava, ovvero nuovi major, nuove imprese in Ryder Cup e forse nuovi record. McIlroy oggi non è più solo il giocatore che rappresenta il golf europeo, è quello attorno a cui il golf europeo si definisce. E lo dimostra il premio che il DP World Tour gli ha dedicato, e che ogni anno sarà consegnato al giocatore europeo che otterrà i migliori risultati nei quattro major.
Più che il bilancio di una stagione straordinaria quindi, il suo 2025 è il bilancio di un’evoluzione. Rory è entrato in una fase della carriera in cui la misura del successo non è più il singolo trofeo ma il significato che quel trofeo assume nella sua storia. E la sua storia, oggi, è quella di un campione che ha imparato a vincere tutto, anche le proprie ombre.
Il McIlroy che ci aspetta quindi è forse il più affascinante: quello che ha già completato il suo cerchio, e per questo può disegnarne uno nuovo. Un campione che non inseguirà mai più il tempo, ma che ora ha tutto il tempo di costruire la sua leggenda.