Avevo due anni quando è accaduto. La mia memoria non arriva così lontano ma mi è stato raccontato che mi trovavo al supermercato con i miei genitori e c’era una bottiglia di soda per terra. L’ho presa e l’ho bevuta. Non era soda, era veleno per topi. Quando i miei genitori si sono voltati ero già incosciente a terra. Mi hanno portato d’urgenza in ospedale e ho trascorso settimane in terapia intensiva. I dottori dissero che avevo rischiato di morire davvero: quel veleno colpì il mio intero sistema nervoso e da allora iniziai a balbettare.

La balbuzie rendeva le cose difficili a scuola. Non mi piaceva parlare. Non volevo essere preso in giro. Era una sfida continua anche quando giocavo a golf. La prima volta che presi in mano un bastone avevo quattro anni e a otto iniziai a fare gare. Durante un torneo di solito in campo ci si intrattiene a parlare con gli altri giocatori e se vinci si è costretti a tenere un piccolo discorso davanti a tutti. In quelle situazioni mi irrigidivo, la mia mente si svuotava e non riuscivo a fare uscire una parola dalla bocca. L’ansia che mi provocava quella situazione era terribile. Il mio medico allora mi prescrisse un beta-bloccante per mantenermi calmo in situazioni del genere, che mi aiutò, ma fece anche deragliare la mia carriera golfistica.

Al British Amateur 2014 feci un test antidoping e trovarono una sostanza nel farmaco che era vietata nel golf. Ovviamente non sapevamo che fosse illegale. Usavo quel farmaco da più di dieci anni e non ne avevo idea. Fui bandito per due anni da tutto il golf competitivo. Fu uno shock, ero ferito e confuso. Quell’anno ero rimasto dilettante solo per giocare l’Eisenhower Trophy con i colori del Sudafrica. Avevo lavorato tutta la mia carriera dilettantistica per giocare quel torneo e alla fine non mi fu concesso di scendere in campo.

Avevo il cuore spezzato. Mi presi un paio di settimane di pausa per riflettere su quello che era successo, per cercare di risolvere la questione con la nazionale e riabilitare il mio nome. La cosa peggiore fu essere trattato come un imbroglione, quando invece non sapevo nemmeno che quanto fatto fosse contro le regole. Fortunatamente avevo le persone giuste al mio fianco: il mio nome fu riabilitato e il divieto di giocare ridotto a nove mesi. Avevo 21 anni e passai quindi professionista. Decisi di prestare tutta la mia attenzione alla pratica, lavorai molto sul gioco corto, e feci in modo che ogni aspetto del mio golf rimanesse in forma. Sapevo che ci sarei riuscito e una volta tornato al golf competitivo volevo essere pronto a vincere. Il mio primo torneo fu un evento del Big Easy Tour, un mini-circuito in Sud Africa. Vinsi di cinque colpi.

Quell’inverno ricevetti la carta per il Sunshine Tour, il circuito del Sud Africa. Nel 2016, partecipai ad alcuni eventi del Challenge e fu in quelle occasioni che attraversai momenti difficili. Rimasi a giocare sul circuito satellite continentale per sette mesi, viaggiando da solo, settimana dopo settimana, in macchina verso i tornei nel centro dell’Europa. Non conoscevo i luoghi, le persone, la lingua, i campi da golf. Alloggiavo in alcuni hotel piuttosto scadenti. Passai il taglio circa una volta su nove. Allora mi misi in contatto con la società che mi gestiva e dissi loro: “Devo tornare a casa. Sto perdendo il mio gioco qui, sono in un cattivo stato d’animo. Devo tornare e resettare, lavorare con il mio coach, vedere la mia famiglia, ritrovare me stesso”.

Due mesi dopo andai alla Qualifying School e ottenni la carta per l’European Tour. Guardandomi ora indietro devo dire che è stata una grande decisione andarmene a metà stagione. Anche se mancavano dieci tornei so quando devo ascoltare il mio corpo e la mia mente, quando andare avanti e quando fermarmi.

Mantenni la mia carta dopo quella stagione sull’European Tour e ottenni la mia prima vittoria nel 2019. Stavo giocando l’Andalucia Masters, in Spagna, e avevo cinque colpi di vantaggio su Jon Rahm quando iniziammo il giro finale, giocando insieme. A un certo punto ero davanti di sette lunghezze ma, cinque buche dopo, il mio vantaggio scese a soli due colpi. Ricordo di aver avvertito che il torneo mi stava scappando di mano ma poi, dopo aver imbucato un grande putt per mantenere il vantaggio, ripresi confidenza. Quella sensazione non mi abbandonò più dopo quel putt. Vincere il mio primo titolo dell’European Tour sotto quel tipo di pressione, contro uno dei migliori giocatori del mondo, nel suo paese natale, mi ha aiutato molto a rafforzare la fiducia in me stesso.

Quando succede, succede velocemente. Basta giocare alcuni buoni tornei e la tua posizione nella classifica mondiale inizia rapidamente a salire. Sono ancora solo un membro dell’European Tour ma sto iniziando a partecipare anche ad alcuni tornei PGA e ho ricevuto persino l’invito a giocare per la prima volta il Masters. Sogni che ho avuto per tutta la vita – grandi e difficili – si stanno avverando più velocemente di quanto avessi mai immaginato.

Il PGA Tour – con i suoi preparativi, l’entusiasmo, i campi, e il modo in cui si svolgono i tornei – è un ambiente molto diverso dall’European Tour. Amo gli Stati Uniti, mi piacerebbe molto sistemarmi qui. Dopo la fine del lockdown, il mio gioco ha incominciato a sembrare di nuovo quello di una volta, ci sto lavorando tanto per tornare ai livelli del 2019. Sono stato a casa in Sud Africa per tre mesi dopo il Players e lo stop forzato per la pandemia. Vivo su un campo da golf ma non ho potuto usare nessuna delle strutture durante il blocco. Sono felice ora di essere tornato a giocare di nuovo negli States, qui ti senti davvero parte del Gotha e ti confronti con i migliori.

Non prendo il farmaco beta-bloccante da quando ricevetti il risultato di quel famoso test antidoping nel 2014 e, onestamente, non sento alcuna differenza. Parlare con i giornalisti e rilasciare interviste con la mia balbuzie non mi dà più fastidio come una volta. Finalmente ho superato questo mio blocco: il golf in tutto questo ha avuto un merito enorme.