Ho ancora negli occhi il gioco superlativo di Lee Westwood in occasione dell’Arnold Palmer e del Players e siamo già arrivati alla settimana del Masters.

Come non fare un tifo sfegatato per il talento inglese, che a 47 anni si appresta a giocare il suo 85° major in carriera?

Si torna all’Augusta National nella data canonica dei primi di aprile e in condizioni che tutti conoscono. Ecco spiegato il motivo per il quale dei quattro major il Masters è il più prevedibile perché, solitamente, vincono sempre i top player che giocano su questo percorso da anni.

Augusta è un campo che va conosciuto alla perfezione per riuscire a domarlo e l’esperienza è la chiave vincente che ti permette di tirare la palla in quella determinata area di atterraggio e in quella precisa parte del green.

Gli specialisti della Georgia sono a rotazione sempre gli stessi e ritengo che anche quest’anno Dustin Johnson sia uno dei grandi favoriti. Senza dimenticare Bryson DeChambeau, che ha dimostrato non solo di saper tirare il drive a distanze siderali ma di essere anche bravo intorno ai green e di imbucare i putt decisivi. Se tiri la palla a un chilometro di distanza e poi imbuchi pure è scontato che la vittoria arrivi più facilmente.

Come dicevo, da commentare il Masters è un vero e proprio show e, in assoluto, la gara più spettacolare. E lo è perché la struttura del percorso e il disegno dei green sono pensati proprio per realizzare colpi unici. Esattamente il contrario dello U.S. Open, dove preparano un campo impossibile e dove vince chi fa meno doppi bogey. La teoria del “Ne rimarrà uno solo” non mi ha mai convinto.

I momenti indimenticabili

Ma tornando al mio Masters da commentatore, ho diversi momenti che rimarranno per sempre indelebili nella mia memoria. Non posso dimenticare l’approccio imbucato da Tiger Woods al par 3 della 16 nel quarto giro del 2005.

Quella giornata è stata incredibile, sembrava di essere su scherzi a parte. A un certo punto del gioco imbucavano tutti, dal ferro 4 all’approccio. E questo perché i green sono tutti a imbuto e con determinate posizioni di bandiera, se si prende la pendenza giusta, prendere la buca diventa più facile.

Il culmine dello show era arrivato con il colpo, al limite dell’impossibile, di Tiger, con la sua reazione, con il pubblico in visibilio e con la degna conclusione di lui che indossa la Giacca Verde.

Continuando con i ricordi ci sono stati gli esordi di Matteo Manassero nel 2009 e di Edoardo Molinari nel 2006, con Francesco che gli faceva da caddie. Dodo aveva vinto lo U.S. Amateur e i primi due giri li giocò proprio con Tiger, il defending champion. Rido ancora se penso a quando Woods si avvicinò a Chicco sul tee della 1 e gli chiese “Tu di cosa ti occupi?”. Un mese dopo Francesco vinse l’Open d’Italia a Tolcinasco…

Per non parlare di quando Costantino Rocca giocò nel 1997. La domenica Tino scese in campo nel team leader con un giovanissimo Tiger che, davanti agli occhi del nostro campione, vinse la sua prima Green Jacket.

La gente penserà che sia Rocca che Molinari siano stati battuti da Woods ma non bisogna dimenticarsi del rovescio della medaglia. Costantino aveva poi sconfitto l’americano nel match singolo di Ryder Cup nel 1997 e Chicco aveva vinto l’Open Championship nel 2018, giocando la domenica proprio con il 15 volte campione major.

C’è una foto che rende perfettamente l’idea di quel momento storico: il green della 18 di Carnoustie con vista dall’alto con gli spalti stracolmi di gente e Tiger che, levandosi il cappello, va a stringere la mano al nuovo campione.

La gente che ti applaude, Tiger che, sconfitto, ti stringe la mano e la Claret Jug in mano.

Cosa si può desiderare di più nella vita?