Prendiamo spunto dalla canzone che ha fatto storia agli inizi degli anni ‘90 per raccontare la nuova generazione di proette che sta reinventando il gioco del golf con distanze siderali e che hanno poco da invidiare ai ben più famosi colleghi uomini.

In principio c’era Sam Snead, giocatore dal talento eccezionale che a metà degli anni ‘40 impressionò il pubblico dopo aver raggiunto il green con un colpo da 315 metri.
Questo gli valse da subito il soprannome di “Slammin Sammy” per la sua incredibile lunghezza generata con il driver e i ferri (di quell’epoca).

Quant’anni più tardi arrivò Greg Norman, l’australiano che tra la metà degli anni ‘80 e ‘90 macinava metri su metri sui suoi avversari grazie a un fisico scolpito e a ripetuti allenamenti.

È stata poi la volta di Tiger Woods che a partire dal ’97, nella sua prima vittoria al Masters, dava oltre 40 metri ai compagni di gioco.

Oggi, la storia si ripete con Bryson DeChambeau, l’Arnold Schwarzenegger del PGA Tour che lascia esterrefatti i colleghi e i fan con le sue distanze siderali.

E se adesso vi dicessimo che 323 yard (295 metri circa) è la distanza raggiunta da una ragazza sull’LPGA Tour ci credereste? 

Bene, è proprio così. La giocatrice in questione non è una culturista, non ha 90 chili di massa muscolare e non ingurgita 3.000 calorie al giorno con beveroni di ogni tipo.
Si chiama Patty Tavatanakit, è thailandese, ha 21 anni e affacciatasi al professionismo appena un anno fa è già andata a segno nell’ambitissimo ANA Invitational. 

Era dal 1984, quando a firmare l’impresa fu Juli Inkster, che una rookie non vinceva il major americano.

Durante il primo importante torneo stagionale la giovane proette aveva tutti gli occhi puntati su di sé dopo aver letteralmente sopraffatto colleghe e campo grazie alla sua distanza con il driver. Non si era mai vista sul circuito femminile una ragazza che arrivasse a tirare il drive a 323 yard, un risultato che avrebbe dell’incredibile anche nel settore maschile.
Questa volta però a realizzare l’impresa è stata una ragazzina minuta, alta appena 1,65.

La fama di Patty Tavatanakit la precede

Nella sua brillante carriera da amateur, infatti, era conosciuta con lo pseudonimo di “long hit” e lei stessa ha sempre ammesso che essere la giocatrice più lunga aiuta molto. Giocare un ferro 7 a un par 5 rispetto a un ferro 4 o a un legno, lo sappiamo, comporta un enorme vantaggio e un ristretto margine d’errore.

Forse il paragone risulta troppo azzardato ma in molti la performance della Thailandese ha ricordato quella di un giovane Jack Nicklaus che nel lontano 1965 vinse il Masters segnando il record mai registrato in Georgia con nove colpi di distacco sul secondo.
Bobby Jones, il co-fondatore del torneo, si era meravigliato del modo in cui l’Orso d’Oro aveva dominato l’Augusta National Golf Club.
“Gioca un altro tipo di sport”, aveva detto a proposito di Nicklaus.

Ora, lo stesso si potrebbe dire della prestazione di Patty Tavatanakit al Mission Hills Golf Club. Proprio come la vittoria di Nicklaus nel 1965, quella di Tavatanakit segna una nuova era nel golf femminile. La proette rappresenta l’atleta a tutto tondo, una giocatrice atletica e dai nervi d’acciaio, con un gioco corto chirurgico e quello lungo ineguagliabile. 

Bombardieri in minigonna

Non parliamo solo di Patty Tavatanakit. Sull’LPGA Tour da anni ormai si sta assistendo a una vera invasione di bombardieri in gonnella. Nomi che sicuramente non coprono le pagine dei giornali ma che il nostro sport lo stanno velocemente rivoluzionando.

Bianca Pagdanganan è attualmente la leader sulla distanza media con il driver con 285 yard; e poi Angel Yin e Anne van Dam sono solo alcuni dei nomi che vedono le 300 yard non come una barriera insormontabile ma come un obiettivo facile da raggiungere.

C’è quindi una rivoluzione silenziosa in atto sul massimo circuito americano anche se tale cambiamento ha fatto più rumore sul circuito maschile, dove Bryson DeChambeau ne è il portavoce.
La causa di tutto questo va forse ricercato nell’eccessivo sviluppo dell’attrezzatura (bastoni e palline) e nel miglioramento atletico dei giocatori. Il risultato è che il golf sta diventando uno sport di picchiatori, indipendente dal sesso del giocatore.

La potenza nel golf professionistico è quasi tutto. E per capire appieno tale evoluzione ci si deve affidare ai numeri. Prima dell’approdo sul pianeta Terra di Tiger Woods, la distanza media di un colpo dei primi venti giocatori sul PGA Tour era di 254 metri, oggi siamo arrivati a 283. In pratica con un primo colpo si copre il 65% di una buca. Tutto questo riduce drasticamente l’errore e permette a giocatori e proette di fare score sempre più bassi nonostante si cerchino di restringere i fairway e indurire i green.

“Verso l’infinito e oltre”

Questa espressione pronunciata dal protagonista di Toy Story, Buzz Lightyear, è ormai entrata nella cultura universale. Quante volte ci spingiamo oltre i confini di ciò che conosciamo per provare l’emozione, l’avventura e quel pizzico di timore che ci regala l’ignoto?

Oggi, vedendo il percorso intrapreso da giocatori dal bicipite d’acciaio come Bryson DeChambeau e Patty Tavatanakit questa citazione ci sembra ancora più attuale. I due fuoriclasse hanno rotto gli schemi del golf dando vita a una nuova interpretazione di questo sport. Ci stanno facendo capire che “oltre” a quello che si è, “oltre” a quello che si pensa, “oltre” a quello che si crea, c’è qualcosa di più lontano che è possibile raggiungere. 

Le proette che hanno osato sfidare gli uomini

Nel panorama golfistico mondiale è un nome noto che ha riempito pagine di giornali.
A lei ha persino dedicato una copertina il New York Times.
Parliamo di Michelle Wie che all’età di 16 anni ha “osato” sfidare i colleghi partecipando a tornei a loro dedicati e partendo dal loro stesso tee di partenza. Ma l’allora giovanissima baby fenomeno non fu la prima a tentare quest’impresa a molti ritenuta una sorta di suicidio in diretta mondiale.

Sono state sei le donne – in 102 anni di tornei ufficiali – a giocare sul PGA Tour e sull’European Tour accanto ai professionisti. La prima (e unica ad oggi in grado di passare il taglio) ad affacciarsi sui massimi circuiti fu Babe Zaharias nel Los Angeles Open del 1945. Quindi è toccato ad Annika Sorenstam, Suzy Whaley, Shirley Spork, Babe Didrikson Zaharias, Michelle Wie e Brittany Lincicome.

Michelle Wie con Sergio Garcia in occasione dell’Omega Masters a Crans-Sur-Sierre nel 2006