Cronaca di una vittoria annunciata, quella di Dustin Johnson. Già al termine del terzo giro, il numero uno delle classifiche mondiali aveva preso il largo con quattro colpi di vantaggio sugli inseguitori. In più il suo gioco eccezionale in ogni parte del campo lasciava poche speranze ai suoi avversari. Come ci ha ricordato Andrea Vercelli all’inizio dell’ultimo giro, quest’anno DJ è stato una vera macchina da guerra. Negli ultimi sei tornei disputati, questi i suoi risultati: 2° al PGA Championship, vincitore nel Northern Trust, 2° nel BMW Championship, ancora vincitore nel Tour Championship e poi sesto allo U.S. Open e 2° nel Houston Open. Un ruolino di marcia impressionante, degno del Tiger dei tempi migliori.

Nato nel marzo del 1934, il Masters quest’anno, per la sua 84a e insolita edizione, ha celebrato come il vincitore il miglior giocatore di golf oggi in circolazione. Primo nel ranking mondiale, ornai in totale negli anni per oltre 100 settimane, Dustin Johnson (36 anni) aveva fino a oggi nel suo palmarès un solo major vinto (U.S. Open 2016) nonostante ben 18 piazzamenti nei primi dieci. E senza contare i 23 successi sul PGA Tour. Sei di questi, a un passo dal record assoluto di Woods, li ha conquistati nei WGC, le gare più importanti dopo i major e insieme a The Players.

Un fuoriclasse impassibile

Sul campo oggi non ha tradito la minima emozione, anche quando, dopo il birdie della 3,  ha segnato due bogey (4 e 5) che avrebbero potuto riaprire la gara. A quel punto infatti aveva solo un colpo di vantaggio sull’australiano Cameron Smith e due sul coreano Sungjae Im. Non è stato così. Dustin Johnson ha ripreso la sua marcia verso una meritatissima vittoria non commettendo più un errore, giocando con grande prudenza tattica, ma comunque segnando sullo score ben altri cinque birdie. Sono arrivati alla 6 e alla 8, seguiti poi dal trittico 13, 14, 15. Con un bellissimo score finale (268, – 20, 65, 70, 65, 68) Dustin ha lasciato tutti ben distanti. E stabilisce il record di tutti i tempi per lo score più basso, cancellando i -18 di Woods (1997) e Jordan Spieth (2015).

Secondi pari merito (-12) Cameron Smith e Sungjae Im, che hanno comunque tenuto botta come veterani, nonostante i 27 anni del primo (quarta apparizione al Masters) e 22 del secondo. A seguire Rory McIlroy, che deve maledire il suo primo giro in 75, e il sudafricano Dylan Frittelli (-11). Alle loro spalle, il taiwanese C. T Pan, Brooks Koepka e lo spagnolo Jon Rahm, settimi con 278 (-10 (-10).

Strepitoso come sempre l’Augusta National. Anche nel primo Masters autunnale della storia, il campo si è dimostrato in condizioni straordinarie. La mancanza di tribune e pubblico, se da un lato ha rappresentato una evidente mancanza, dall’altro ha permesso di gustare meglio il disegno delle 18 buche. E i celebri fiori che trionfano in primavera erano ovviamente un ricordo, ma la cornice verde di metà autunno ci ha lasciato lo stesso senza fiato. Unica annotazione, i green ci sono sembrati appena appena meno veloci del solito e quindi più abbordabili. Un dato che crediamo inevitabile vista la stagione.

Il 10 di Tiger

Resterà purtroppo nella storia del Masters anche il terribile +10 di Tiger al maledetto par 3 della 12, già devastante negli scorsi anni per Jordan Spieth e il nostro Francesco Molinari. Primo colpo in acqua, penalità, terzo in acqua dalla dropping area, penalità, quinto nel bunker dietro il green. Da posizione impossibile, palla che dal green è finita ancora in acqua. Penalità, approccio corto dal bunker in green. A chiudere, i canonici due putt.

Pazzesca però la capacità di assorbire una delle peggiori buche della sua vita. Tiger è rimasto a dir poco impassibile. E po, nelle sei buche che mancavano alla fine, ha tirato fuori tutto il suo orgoglio. Ben cinque i birdie sullo score, che l’hanno quindi riportato sotto par, a -1. Chapeau Tiger, sei sempre il Fenomeno.