Non potevamo chiudere il numero speciale della Ryder Cup senza il protagonista che al Marco Simone avrà l’arduo compito di riportare la coppa d’oro a casa dopo la sconfitta epocale di due anni fa in America.

Luke Donald, nominato capitano nell’agosto dell’anno scorso, non ha avuto un inizio facile succedendo ad Henrik Stenson dopo il suo passaggio al LIV Golf. Ma l’inglese dall’animo gentile ha interpretato questo suo nuovo ruolo alla perfezione facendosi trovare pronto e non avendo paura di scommettere sui suoi giocatori.
Quello che vedremo a Roma sarà un’alchimia perfetta tra gioventù e maturità, un equilibrio sottile tra giocatori d’élite (McIlroy, Rahm, Hovland), giocatori di esperienza (Fitzpatrick, Fleetwood, Lowry, Hatton e Rose) e rookie dall’ottimo potenziale (Straka, MacIntyre, Højgaard e Aberg). Esattamente come è successo con Zach Johnson le decisioni di Donald non sono state accolte all’unanimità ma a lui va il merito di aver avuto il coraggio di scommettere su giovanissimi dal futuro ancora tutto da scrivere come Ludvig Aberg, e giocatori esperti ma attualmente non al massimo della forma, come Shane Lowry. 

Manca sempre meno cosa si aspetta di provare sul tee della 1 il venerdì mattina?  

Difficile trovare le parole per esprimere quello che si vive mentre si percorre il corridoio che porta alla prima buca. Gli spettatori in visibilio e i cori da stadio sono solo una piccola parte di questo momento unico nella vita di un giocatore e di un capitano. Tutto quello sul quale abbiamo lavorato in questo ultimo anno sta trovando la sua degna conclusione. I giocatori sono pronti, lo spirito di squadra e la voglia di dare spettacolo ci sono. Ora si tratta solo di scendere in campo e dare tutto se stessi. 

Cos’ha di speciale una competizione a squadre rispetto ai classici tornei sul PGA e sul DP World Tour?

Parliamo della forma di gara più pura che abbiamo nel nostro sport. Non giochiamo per noi stessi ma siamo parte di una squadra, rappresentiamo un continente e questo eleva il significato più profondo che si cela dietro il significato della Ryder Cup. Non c’è niente di meglio che giocare per il proprio paese, scendere in campo per la propria famiglia, i compagni di squadra e il pubblico presente e quello da casa. L’importanza di questo evento va oltre il singolo individuo, non si gioca per il montepremi finale, per i punti del World Ranking o della FedEx Cup, si gioca per l’orgoglio e l’amore per la propria bandiera. Ecco perché non c’è niente al mondo che possa eguagliare questo momento. Sono emozionato anche solo a pensarlo.

Ha rappresentato l’Europa in quattro edizioni da giocatore vincendo in tutte le occasioni (2004, 2006, 2010, 2012). Cosa significa per lei far parte del Team Europe? 

Come giocatore penso di aver avuto una soddisfacente carriera raggiungendo importanti traguardi e risultati ma se devo pensare ai momenti che più di tutti mi resteranno nel cuore la partecipazione alle mie quattro Ryder Cup rappresenta il massimo livello. Sapere di far parte di qualcosa di grande e condividere la settimana con i proprio compagni non ha eguali. Si crea un legame indissolubile, senti di far parte di una seconda famiglia.  

Il famoso spirito di squadra che da sempre vi caratterizza. Come gestirà questa importante chiave del successo?

Quando si ricopre la mia posizione è basilare capire i singoli individui con le loro personalità, il loro ego e tirare fuori i diversi punti di forza. Non esistono prime donne, tutti sono al servizio della squadra. Il numero uno del mondo giocherà con il rookie di turno, lo supporterà e sarà la sua spalla. Questo aspetto è facile da gestire per noi europei, è una classe innata che da sempre è stata il nostro fiore all’occhiello.

Si ricorda la sua primissima esperienza come giocatore?

Come dimenticarla! Era il 2004 e avevamo vinto in America, ad Oakland Hills, situazione mai facile da gestire. Era stata una settimana fantastica, non avevo mai provato così tanta energia e passione, e da rookie essere accoppiato con Paul McGinley ha aggiunto gratitudine e grandi insegnamenti che mi sono portato appresso in tutte le altre edizioni. 

Il 2004 è stato un anno importante anche per l’ingresso nella famiglia Rolex 

Esatto, è una delle relazioni più durature che ho nel golf e ne vado davvero fiero. Condividiamo gli stessi valori e la stessa integrità. 

La passione e l’amore che Rolex mette nel suo lavoro lo ritrovo nella mia quotidianità e nel mio ruolo di giocatore professionista. 

Si dice sempre che il primo amore non si scorda mai e infatti non potrò mai dimenticare il primo modello indossato, un Rolex Daytona con quadrante nero e lancette rosse.

Il Marco Simone è il campo giusto nel quale far emergere i punti di forza della squadra europea?

Chi ospita l’edizione di Ryder Cup cerca sempre di portare l’acqua al proprio mulino mettendo quanto più in difficoltà gli avversari. E anche quest’anno sarà così. Il percorso di per sé è plasmato sul gioco di noi europei e non sorprende che ci piaccia seguire un modello, o meglio, un tracciato, sul quale abbiamo avuto successo. In più quest’anno, grazie all’apporto di Edoardo Molinari, ci sarà un lavoro ancora più approfondito sulle statistiche e sulle strategie da attuare buca per buca.

Quanto le sono servite le pregresse esperienze da vicecapitano?

Direi che sono la base sulla quale ho iniziato a costruire questo nuovo ruolo. Ho imparato quanto sia fondamentale avere il rispetto dei giocatori e in questo Thomas Bjørn è stato un grande maestro. Il lavoro di capitano non lo crei dall’oggi al domani ma lo coltivi nei mesi che anticipano la Ryder Cup. Nelle ultime due edizioni ho visto le cose da un’altra prospettiva capendo l’immensa mole di lavoro che c’è dietro quei tre giorni di gara e, soprattutto, quanto la figura del vice sia basilare perché la macchina funzioni alla perfezione.

Come si è avvicinato a questo importante incarico?

Più o meno come ho sempre fatto come giocatore cioè attraverso la tecnica, l’analisi dello swing e una buona dose di istinto. Lavoro a questo momento dall’agosto dello scorso anno, subito dopo la mia nomina. Mi è sembrato di ricevere un premio alla carriera quando ho scoperto che mi era stato dato l’onore e il privilegio di essere nominato capitano. È qualcosa che non prendo alla leggera. Tutti sanno quanto sia stata speciale per me la Ryder Cup e questa è l’opportunità di una vita. A Whistling Straits abbiamo avuto una pesante sconfitta e quella di Roma sarà l’occasione per provare a ribaltare la situazione. Bisognerà partire subito all’attacco e cercare di mettere fin dall’inizio un bel po’ di colore blu sul tabellone. 

Un approccio, quello basato sulle statistiche, che verrà utilizzato anche nella scelta degli abbinamenti per i match-play?

Assolutamente sì. L’apporto di Edoardo Molinari sarà fondamentale, senza dimenticare però il fattore umano e interpersonale tra i giocatori. 

Cosa desidererebbe chiedere agli spettatori presenti al Marco Simone?

Il pubblico italiano ed europeo in generale saprà essere il nostro alleato perfetto. Desidero che tutti insieme siano il nostro tredicesimo giocatore in campo sempre rispettoso nei confronti dell’avversario ma coinvolgente e appassionato. 

Dopo la sconfitta di due anni fa come si affronta questa nuova sfida? 

Sulla carta la squadra americana è più forte, lo sanno tutti, inutile essere ipocriti. Ci sono giocatori dalle ottime qualità tecniche e Zach Johnson secondo me è stato molto intelligente nel convocare personalità che si conoscono da una vita e, insieme, formano una coppia indissolubile, un’alchimia perfetta. Ma anche da sfavoriti i miei 12 giocatori non si lasceranno di certo intimorire, ho piena fiducia in loro, nella loro forza, nel loro temperamento e nello spirito di squadra e di coesione che sapremo creare. 

La scelta di convocare Aberg come ultima wild card può considerarla la sua scommessa più grande?

Ludvig si è conquistato questa opportunità e non potrei essere più felice di averlo in squadra con noi. Sarà l’unico, oltre a Sergio Garcia, a partecipare a  una Ryder Cup lo stesso anno in cui è diventato professionista ma tutti quelli che hanno giocato con lui e che lo hanno seguito sono rimasti colpi non solo dalle sue qualità tecniche ma, soprattutto, dalla sua forza mentale. A Crans-sur-Sierre in occasione dell’ultimo torneo valido per la qualificazione sapeva benissimo quale fosse la posta in gioco e guardate com’è finita. È sceso in campo, ha fatto il suo dovere e ha vinto.