Con ancora vivido il ricordo delle emozioni della Ryder Cup al Marco Simone due anni fa, eccoci nuovamente a rivivere il biennale appuntamento con la gara più bella del golf. Bella per la storia che l’accompagna fatta di epici duelli. Bella perché giocata con formula match play ma anche perché a squadre e con l’onore, per una volta, al primo posto tra i premi in palio.
Il lungo cammino che porta all’evento è terminato con le wild card dei capitani
Keegan Bradley e Luke Donald hanno agito in modo molto differente. Per il primo cambiamenti radicali, mentre l’europeo ha puntato sull’esperienza e l’alchimia creatasi nella vittoria del 2023. Teatro dell’evento Bethpage Black, un campo che ha terrorizzato i migliori golfisti al mondo ma che non si preannuncia così punitivo come in passato. Il pubblico sarà ancora un elemento importante che potrebbe condizionare la gara, apparentemente equilibrata come mai prima.
Le caratteristiche dei giocatori sono cambiate nel corso dei decenni e oggi anche gli europei, storicamente meno lunghi ma abili intorno ai green, sono diventati “picchiatori” e a loro agio nel giocare su green veloci e perfetti, tipici del PGA Tour. La X, simbolo del pareggio, è un segno che sulla ruota della Ryder è uscito solamente due volte: nel 1969 al Royal Birkdale, quando l’America confermò il titolo ai danni degli inglesi, e nel 1989 a The Belfry, dove a prevalere furono gli europei, aprendo un decennio di grande equilibrio. Nelle successive cinque edizioni per ben quattro volte un solo punto separò le due squadre. Recentemente le vittorie, o le sconfitte, sono state ampie. Dopo il successo europeo fuori casa del 2012 ha sempre prevalso il fattore campo e la distanza tra le due compagini è stata almeno di cinque punti. Ora l’esperienza del Team Europe può fare coltivare speranze di successo che passerebbero anche attraverso un pareggio, fatto che renderebbe avvincente la competizione costretta a terminare all’ultima buca dell’ultimo incontro.
Le scelte dei capitani
Luke Donald ha confermato la squadra che ha vinto due anni fa. Unico cambio, non scelto da lui bensì arrivato dalle qualifiche, Rasmus Højgaard che sarà della partita al posto del gemello Nicolai. L’affiatamento del team, vice capitani inclusi, potrebbe essere uno degli elementi fondamentali per la vittoria. Proprio lo spirito corporativo è stato da sempre caratteristica distintiva del team risultando determinante per epici successi.
Vincere fuori casa è impresa assai ardua ma nel 2012, a Medinah, fu proprio l’unione, addirittura “misticizzata” dall’eterea presenza di Severiano Ballesteros, a guidare la rimonta nell’ultima giornata. Fu ribattezzato “Il miracolo di Medinah” e rappresenta l’ultimo acuto Oltreoceano. Dopo, due sonore sconfitte, con quella del 2021 a Whistiling Straits che ha segnato il record di distacco da quando ci sono in palio 28 punti (19 a 9).
Dal 1979, anno in cui l’Europa Continentale si presentò sotto un’unica bandiera, gli americani non hanno mai vinto tre edizioni casalinghe consecutive e, sempre da allora, il bilancio è a favore del Vecchio Continente con 12 successi in 22 edizioni.
Per vincere fuori casa serve esperienza ed è proprio a questa che si affida Donald
Un solo esordiente, Rasmus Højgaard, con numeri che lasciano qualche perplessità vista la mancanza di successi in stagione e un solo secondo posto sul PGA Tour. Però Rasmus non è un esordiente assoluto e può dare un apporto importante, come ha confermato lo stesso Donald: “I rookie possono portare un’energia e un entusiasmo che ispirano anche i giocatori più esperti e, avendo fatto parte della squadra dietro le quinte a Roma, non ho dubbi che Rasmus sarà pieno di fervore per la sfida di Bethpage Black”.
Le scelte di Bradley
Se da una parte la squadra che vince non si cambia, dall’altra quella che perde è stata parzialmente stravolta.
Keegan Bradley ha operato una vera e propria rivoluzione con scelte clamorose. Se è vero che gli esordienti portano entusiasmo, il Team USA ne avrà da vendere poiché sono ben quattro i rookie presenti, due dei quali scelti dal capitano. Bradley non si è limitato ad assecondare il ranking delle qualifiche, ma ha pescato oltre escludendo giocatori che ha considerato poco utili alla causa. Fuori Brian Harman, ad esempio, nonostante il 12° posto e l’esperienza già maturata. Via i giocatori del LIV, a parte Bryson DeChambeau qualificato in automatico.
Bradley ha escluso anche se stesso, nonostante l’11° posto e un’esperienza in campo invidiabile
Con questa scelta ha azzerato le critiche degli eventuali esclusi ma ha anche dimostrato di mettere al primo posto il bene della squadra evitando la scomoda e poco sostenibile posizione di capitano/giocatore. Il suo esempio potrebbe essere un tassello per una coesione che, come ha confermato Francesco Molinari, culturalmente manca al popolo americano. Peraltro una soluzione pare essere stata trovata con la creazione dei “pods”, piccoli gruppi all’interno della squadra. Probabilmente non vedremo il team fare colazione tutti insieme, ma magari sedersi in tavoli da due o tre elementi. Insomma, come dicono a Milano “piutost che nient l’è mei piutost”.
Gli abbinamenti
Un fattore che spesso è stato determinante è l’abbinamento dei giocatori nei doppi. L’intesa, non solo caratteriale ma anche nel gioco, è fondamentale. Qui entra in campo Edoardo Molinari che, ben prima dell’avvento dell’Intelligenza Artificiale, ha sviluppato un sistema di statistiche impressionante. I dati raccolti da Dodo sono infiniti. Per fare un esempio, è in grado di consigliare a un giocatore dove tirare in green, conoscendo la posizione dell’asta, basandosi sulla probabilità d’imbucare in relazione alla pendenza. Tradotto: se da cento metri di solito metti la palla entro i quattro dalla buca, la tua percentuale di realizzazione da quella distanza è superiore con pendenza da sinistra a destra in salita, devi giocare, corto “sbagliando” a destra. Ma non è tutto. “Per noi professionisti una pallina, anche della stessa marca, non è come le altre – ci ha raccontato Dodo -. Nei mesi che precedono la Ryder facciamo arrivare al giocatore palle utilizzate da colui che prevediamo possa essere accoppiato così da permettere un parziale adattamento”. Un dettaglio che può fare una grande differenza quando si gioca in foursome, formula a colpi alternati.
Sebbene i giocatori sul fronte europeo siano pressoché gli stessi, è possibile che a New York vedremo abbinamenti differenti rispetto a Roma. Se l’affinità caratteriale difficilmente cambia, non sappiamo di litigi, il gioco si evolve e con esso il momento di forma. Chi era un puttatore infallibile al Marco Simone non è detto che si trovi a proprio agio sui green di Bethpage.
Bethpage
Teatro della gara sarà il Black Course, uno dei campi più iconici e temuti del golf mondiale. Situato a Farmingdale, nello Stato di New York, all’interno del vasto Bethpage State Park, il percorso nero è diventato un vero e proprio simbolo di sfida fisica e mentale. La sua fama di tracciato proibitivo è tale che, già all’ingresso, un celebre cartello mette in guardia i visitatori: “Il Black Course è adatto solo a golfisti molto esperti”. Un po’ come la pista nera di Kitzbühel che ospita la discesa libera nello sci. Ma non si tratta di un’esagerazione: chiunque abbia avuto modo di giocarci sa che ogni colpo richiede precisione, potenza e strategia. Se si è amateur anche una buona dose di palline! Progettato da A.W. Tillinghast e inaugurato nel 1936, ha conservato nel tempo il fascino del design classico, pur adattandosi alle esigenze del golf moderno. Ha ospitato molti grandi eventi, tra i quali due U.S. Open (2002 e 2009) e il PGA Championship del 2019, consolidando la sua reputazione quale banco di prova tanto tecnico quanto fisico.
Misura quasi 7.000 metri con un rough particolarmente severo e bunker profondi.
Alcune buche, in particolare, sono entrate nella leggenda:
- la 4, un par 5 imponente con fairway in salita e ben protetto dai bunker, obbliga a scelte strategiche già dal tee.
- la 5, par 4 considerata tra le più difficili del percorso, mette alla prova i giocatori con un colpo d’apertura cieco e un green stretto, difeso su più lati.
- la 15, altro par 4, è un autentico capolavoro di design: il tee shot richiede coraggio e precisione per evitare i profondi bunker a guardia del fairway.
- la 18, par 4 lungo e spettacolare, rappresenta il degno epilogo di un percorso che non concede mai respiro e, visto l’equilibrio che si prospetta, potrebbe essere giocato spesso nonostante la formula match play.
Dato che in questa occasione, a differenza dei tornei individuali, non è necessario che vinca il campo (ricorderete le promesse nel non far terminare nessuno sotto il par nei major ospitati?) il Black Course dovrebbe avere fairway più ampi e rough meno punitivo rispetto alla preparazione USGA. In compenso i green promettono di essere pari a lastre di vetro. Uno degli elementi che ha disturbato gli statunitensi al Marco Simone erano stati proprio i green che, a detto loro, non erano sufficientemente veloci.
Il pubblico
Se è vero che la Ryder è un evento dall’atmosfera unica, simile a quella di uno stadio, giocare negli Stati Uniti non è come farlo in Europa. Gli spettatori del Vecchio Continente tifano incitando i propri beniamini o provocando, sempre nei limiti del consentito, gli avversari. A Roma è diventata celebre la provocazione a Patrick Cantlay, reo di non aver indossato il cappellino durante le foto di presentazione dei team (i maligni dicono per via della mancanza di compensi ai giocatori in Ryder Cup). Così il pubblico ha salutato il passaggio dello statunitense sventolando i propri berretti. In America il tifo tende spesso a trascendere. I giocatori statunitensi esaltano la folla con reazioni spropositate e sovente questa risponde disturbando i giocatori durante i colpi. Nel 2008 a Valhalla Antony Kim annichilì nientemeno che Sergio Garcia, il quale non ebbe neanche la forza di alzare lo sguardo verso la folla durante tutto il match. New York però ha anche una forte componente di abitanti europei che cercheranno di portare in equilibrio anche la sfida sugli spalti. Una gara dall’esito incerto dentro e fuori da campo che andrebbe bene finisse in pareggio!
Ryder Cup: il fattore X
