Da giocatore non mi ero mai reso conto del duro lavoro dei vicecapitani durante la Ryder Cup. Quello di Roma è stato un successo sotto ogni punto di vista, con l’aspetto sportivo che ha trascinato tutti gli altri.

Quando sono arrivato a Roma per ricoprire il ruolo di vicecapitano di Ryder Cup per la prima volta non nascondo che avevo più interrogativi che certezze.

Essendo un ruolo per me totalmente nuovo non sapevo bene come sarebbe stato viverlo di persona. Certo, da giocatore ho sempre visto i vice con la coda dell’occhio senza rendermi pienamente conto del loro effettivo ruolo.

Alcuni dubbi c’erano anche sull’organizzazione. Da italiani volevamo che tutto andasse per il meglio e senza intoppi ma, con eventi di questa portata, non ci possono mai essere solo certezze. 

Al di là di ogni aspettativa

Il risultato sportivo ha sicuramente contribuito alla riuscita della manifestazione che è stata un trionfo sotto tutti gli aspetti.

Dal punto di vista organizzativo, per quello che abbiamo vissuto come squadre, mi è sembrato un successo a tutto tondo.

Non ho sentito lamentele di alcun tipo. C’è stata un sacco di gente in un’atmosfera fantastica, parere che ho riscontrato anche dai giocatori stranieri. Il campo è stato assolutamente all’altezza.

Avevo letto alcuni media americani che, nei mesi precedenti, erano stati abbastanza critici. Beh, si sono ricreduti!

La percezione in campo, con le tribune, gli spazi ampi per il pubblico e l’area hospitality è cambiata totalmente rispetto alle settimane che hanno preceduto la gara.

Ho letto gli stessi giornalisti statunitensi esprimere elogi. Il campo anche dal punto di vista tecnico ha creato sufficiente tensione nei match e ritengo sia stato un palcoscenico più che adeguato.

La Ryder e i suoi vicecapitani

Per quanto riguarda me, il ruolo di vicecapitano è risultato più impegnativo di quanto avessi mai immaginato.

C’è un grandissimo lavoro in campo e dietro le quinte. Mio fratello Dodo ha fatto un lavoro fantastico per le statistiche sia in loco che nelle settimane della preparazione. A Roma ognuno aveva il suo compito e un gruppo di giocatori da seguire.

Quando Luke ha diviso i giocatori ha tenuto bene a mente le differenti peculiarità e feeling: Bjorn, per esempio, ha visto crescere Højgaard al punto di considerarlo alla pari di un figlio.

Olazábal e Rahm non condividono solo la nazionalità. Io e Fleetwood, a parte l’amicizia, ci conosciamo a fondo avendo giocato quattro match insieme e sapevo esattamente cosa gli sarebbe servito come sostegno in campo.

Non so se l’unione che si è creata sia stato l’elemento che ha permesso di ottenere la vittoria. Sicuramente tra i team che ho vissuto, questo è il più unito e coeso. Le stelle della squadra si sono messe al livello degli altri e, di fatto, abbiamo avuto 12 giocatori sullo stesso piano.

Una delle chiavi per il successo è stato giocare i foursome al mattino e le 4 palle al pomeriggio, format differente da quanto avviene normalmente in Europa.

A Parigi eravamo partiti sotto 3–1 giocando la 4 palle, così Donald ha deciso di cambiare cercando di darci subito un vantaggio perché storicamente siamo più efficaci nei foursome.

Quattro a zero era impronosticabile anche avendo giocatori molto in forma. Hovland, McIlroy, Rahm e Fleetwood si sono presentati in ottime condizioni portando un bel gruzzolo di punti in cascina.

Tutti erano in forma e così è stato possibile anche dare dei turni di riposo a qualcuno, risparmiando forze per domenica.

Il lavoro di Donald è stato meticoloso e si è meritato il successo più di chiunque altro. I giocatori, tra il serio e il faceto, hanno chiesto una sua conferma.

Negli anni moderni non è mai successo ma oggi, con tanti potenziali capitani che si sono allontanati andando sul LIV, avrebbe senso dargli un’opportunità anche tra due anni a New York quando vincere sarà sicuramente più complicato.

L’episodio del cappellino

Molti mi hanno chiesto delle polemiche. Sino a sabato non abbiamo mai guardato gli americani rimanendo concentrati sul nostro gioco.

Poi c’è stato l’episodio alla 18 che mi ha sorpreso perché La Cava, oltre a essere esperto, è una persona molto educata.

Festeggiare con il cappellino ci stava e fa parte del gioco, poi però è andato avanti a lungo muovendosi verso Rory che stava guardando la linea del suo putt. McIlroy gli ha chiesto di spostarsi e lui ha reagito male, anche se capisco che erano in una situazione difficile.

Quando Ian Poulter a Medinah ha imbucato il putt per vincere il suo match abbiamo esultato tra noi senza provocare.

Magari quello di Joe è stato un tentativo di muovere le acque anche in vista dei singoli. I due poi si sono chiariti lontano dai riflettori. Rory è amico di Tiger e Joe è stato il suo caddie a lungo, le tensioni svaniranno con il passare del tempo.