Quando pensi a Paul Casey c’è un’immagine che predomina su tutte, quella del suo inconfondibile sorriso.

Provate a pensare a una sua inquadratura televisiva durante un torneo oppure, se siete più fortunati, quando avete avuto il piacere di vederlo giocare o allenarsi dal vivo.

Difficile, anzi, praticamente impossibile incontrarlo scuro in volto: Paul Casey è un ragazzo solare, capace di trasmettere energia positiva a sé stesso e a chi ha intorno.

Domenica scorsa ha conquistato il suo 15° titolo sull’European Tour, dominando l’Omega Dubai Desert Classic. Attuale numero 16 del mondo, classe 1977, è professionista dal 2000 e nel suo ricco palmares spiccano anche tre successi sul PGA Tour, circuito dove gioca ormai stabilmente da diversi anni.

Nel 2020 ha chiuso la FedEx Cup al 49° posto e la Race to Dubai al 17°. Miglior risultato stagionale il 2° posto al PGA Championship ad Harding Park, vinto da Collin Morikawa.

Il 2019 fu invece per Casey un anno davvero fantastico, con i titoli del Valspar Championship sul PGA (il secondo consecutivo nel torneo) e del Porsche European Open sull’European Tour.

Hai ormai superato i vent’anni anni di carriera e continui ad essere vincente: quali sono stati i momenti più belli e quali invece quelli che, se potessi, affronteresti oggi in modo diverso?

Non ho mai pensato di voler cambiare nulla di quanto ho già fatto, cerco sempre di guardare avanti.

Ricordo ancora la mia prima vittoria a Gleneagles in Scozia nel 2001, la grande emozione che provai a impormi in un torneo professionistico.

Era un sogno che diventava realtà. E poi come dimenticare i tanti indimenticabili momenti in Ryder Cup: niente è più snervante e allo stesso tempo adrenalinico e gratificante nel golf.

Hai giocato 66 major, andando vicinissimo a vincerne uno in diverse occasioni: quanto è importante per un top player conquistare almeno un titolo dello Slam? Quale dei quattro preferisci e quale invece consideri il più difficile?

Non credo che ci sia una risposta univoca a questa domanda, ogni giocatore vive questa cosa in modo personale. Forse quando avrò terminato la carriera risponderò in modo diverso.

Il Masters è sempre stato il major in cui ho sentito di avere le migliori possibilità di vittoria. Il mio stile di gioco si adatta perfettamente all’Augusta National e conosco il campo come il palmo della mia mano.

Il più difficile? Probabilmente l’Open Championship: è forse quello che desidero più di tutti, ma nella mia carriera ho sempre dovuto lottare duramente sui links.

In più, per sollevare la Claret Jug, bisogna avere anche un pizzico di fortuna con le condizioni meteo.

Paul Casey e il caddie John McLaren posano con il trofeo dell’Omega Dubai Desert Classic 2021, il 15° titolo dell’European Tour conquistato dall’inglese in carriera

Sei da anni golf ambassador di Rolex: ogni orologio della Maison svizzera ha una storia da raccontare. Ci racconti la tua di un modello a cui sei particolarmente affezionato?

Il Rolex Daytona è sempre stato uno dei miei orologi preferiti. Nel 2011, quando il mio eroe Seve Ballesteros morì, comprai un Daytona che un tempo apparteneva a lui.

L’orologio in questione fu regalato dallo stesso Seve a un amico comune. Un giorno il campione spagnolo gli si avvicinò e gli disse: “Tieni, questo è per ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me”. 

Quando Seve se ne andò il mio amico decise di mettere all’asta l’orologio nel corso della Olé Seve Charity Pro-Am e i fondi raccolti sarebbero andati alla fondazione Severiano Ballesteros e alla Ricerca sul Cancro del Regno Unito.

Volevo che questo orologio rimanesse tra me e il mio amico anche dopo il suo generoso gesto, quindi feci di tutto per aggiudicarmi l’asta quella sera e ci riuscii.

Ora quel Daytona si trova in un luogo sicuro, nella sua scatola originale, con un documento che certifica il fatto che fosse appartenuto in passato a Seve. 

Ogni tanto lo indosso in occasioni speciali, per onorare la memoria di un grande uomo e di un campione unico che ha fatto tanto per il nostro sport.

Nel 2018 sei tornato a far parte del team europeo di Ryder Cup dopo dieci anni di assenza e sei stato protagonista ancora una volta. Hai vinto tre edizioni su quattro disputate, qual è il segreto per imporsi in Ryder?

In realtà non esiste una ricetta magica o un segreto e se anche ci fosse di certo non lo condividerei!

Una squadra vincente fa pochi errori e imbuca i putt decisivi: diciamo che gli europei nel corso delle ultime edizioni sono stati più brillanti degli americani come gruppo, meritando di portarsi a casa la coppa.

Sei ancora giovane ma un giorno ti piacerebbe ricoprire il ruolo di Capitano? Cosa non dovrebbe mai mancare nel tuo team?

Ovviamente mi piacerebbe molto, essere il capitano di Ryder Cup è un grande onore. Prima di tutto vorrei essere un capitano vincente, ma il modo in cui opera spesso è dettato da chi fa parte della squadra.

Cosa non dovrebbe mai mancare nel mio team?

La passione: in tutti i team in cui ho giocato ho sempre avvertito un forte senso di appartenenza e la voglia di remare tutti nella stessa direzione.

Farne parte è la massima aspirazione per un europeo o un americano ed è un onore poter rappresentare il tuo paese e continente.

La passione noi europei l’abbiamo sempre trasmessa e non credo che sarebbe diverso nella mia squadra.

Il 2021 è un anno ricco di appuntamenti: quali obiettivi ti sei prefissato?

I miei obiettivi raramente cambiano da un anno all’altro, ma nel 2021 mi piacerebbe fare parte della squadra olimpica della Gran Bretagna a Tokyo.

Avrò appena compiuto 44 anni ed è molto probabile che questa sarà la mia ultima opportunità di poter far parte dei Giochi. Sto giocando bene e sono convinto che potrei aspirare a una medaglia.

E poi, chiaramente, di quella europa a Whistling Straits a settembre. Diciamo che questo 2021 è iniziato bene per cui sono molto fiducioso. Stimo molto Padraig Harrington e sono certo che sarà un ottimo capitano. E poi volete mettere battere gli americani a casa loro?

Parliamo di Paul senza i bastoni in mano: come sei fuori dal campo e quali sono le tue passioni?

La famiglia è al primo posto: cerco di essere il miglior padre possibile per i miei due figli e un buon marito.

Adoro l’alta orologeria, sono un grande appassionato e mi piace andare alla ricerca di pezzi rari o documentarmi su ogni aspetto di questo mondo.

Ho poi una grande passione per il ciclismo su strada, in parte mi permette di tenermi in forma ma è anche un modo per evadere e liberare la mente.

Ho partecipato a numerosi viaggi in bicicletta e le vostre Dolomiti sono in assoluto il luogo che preferisco.

Raramente ho parlato del mio amore per le automobili e nel mio garage ho alcuni modelli divertenti tra cui qualcosa anche proveniente dall’Italia.

La mia preferita è una Porsche GT3 RS del 2004.

Qual è il tuo punto di vista sul gioco lento?

Non amo la lentezza sul campo ma sfortunatamente il golf è un gioco intrinsecamente lento, anche se qualcosa si può certamente fare per migliorarlo. Cosa non è ancora chiaro ma sono d’accordo nel cercare nuove strade.

Quali modifiche il golf dovrebbe introdurre per non perdere appeal nei confronti delle nuove generazioni?

Ci sono alcuni semplici accorgimenti che i club, le federazioni e gli organi di governo del golf mondiale potrebbero adottare.

L’abbattimento dei costi, l’apertura a un abbigliamento più casual, la facilità di accesso ai campi e una mentalità più giovane e dinamica sono piccoli passi che possono fare la differenza.

Iniziare a giocare a golf del Regno Unito non è costoso: io ho avuto la possibilità di farlo in un piccolo campo vicino a casa per poche sterline, usando bastoni forniti dal club, il mio approccio al gioco non è stato più costoso o difficile di qualsiasi altro sport.

Molti avevano un abbigliamento casual e un po’ anticonvenzionale rispetto ai canoni tradizionali e questo aspetto era ancora più simpatico e divertente da vedere su un bambino come me.

Solo perché non vestivo come un golfista tradizionale non significava che non lo fossi.

Sono sicuro che oggi non sarei quello che sono se non fosse stato per quanto il mio ­paese mi ha insegnato in termini di atteggiamento nei confronti del gioco del golf.

Hai 43 anni e sei nel pieno della tua maturità golfistica: oggi un giocatore, se integro fisicamente, può giocare sino a oltre sessant’anni ad alti livelli. Se ti immagini tra dieci anni dove ti vedi?

Cercherò di giocare il più a lungo possibile, finché rimango in forma e in salute non c’è motivo per cui non possa continuare almeno per altri dieci anni.

Fino a quanto avrò voglia di farlo?

Attualmente adoro giocare e competere, ma se un giorno dovessi cambiare idea, allora mi fermerò.

Amo questo sport e ci sono molte cose che vorrei fare anche quando non sarò più in un campo con un bastone in mano. 

Il golf è la tua vita: se dovessi convincere qualcuno a iniziare cosa gli diresti?

Dovete solo provarlo. Non c’è niente di più appagante al mondo che essere su un campo da golf, immersi nella natura, sfidando sé stessi per mettere una piccola pallina bianca in una buca.

È senza dubbio il gioco più bello del mondo.