Si rincorrono voci lugubri nelle clubhouse dei golf italiani. Il Circolo Tal dei Tali ha chiuso o sta per chiudere. Il Tal Altro è in procinto di portare i libri in tribunale.

Perfino il grande club alle porte della metropoli, a quanto risulta, dopo lenta ma inesorabile agonia sta per essere commissariato e Dio sa quando i fairway torneranno a essere agibili.

Tutte notizie, anche ogni tanto non proprio aderenti alla realtà, che danno comunque un senso di diffuso malessere, soprattutto fra club senza un preciso e sostanzioso bacino d’utenza golfistico.

A dispetto dei grandi risultati agonistici in campo internazionale, il golf azzurro sembra in sofferenza.

Da qualche anno, sono finiti i tempi delle vacche grasse e della proliferazione di campi e campetti avvenuta sulla spinta di un incremento di giocatori magari non esponenziale, ma certo ragguardevole.

Invece, proprio adesso che il movimento italiano, tra assegnazione della Ryder Cup e successi a raffica sui green di tutto il mondo, sembra aver raggiunto una considerazione universale, proprio adesso, si diceva, dal punto di vista economico/organizzativo pare sul punto di annaspare.

Il problema, lo andiamo scrivendo da tempo, risiede nella politica suicida di alcuni Circoli, anche molto importanti, che, invece di ampliare la base dei giocatori, di attrarre cioè nuovi “clienti” all’emporio del golf, hanno pensato bene di provare a sottrarre soci ai club vicini.

Solo così si spiegano campagne di marketing mirabolanti nelle quali si propone, al costo di un’associazione a un campo a 9 buche, di frequentare per tutto l’anno in corso e pure per il prossimo un Circolo blasonato che invece di buche ne ha 36, con un ampio corollario di strutture e servizi che completano il percorso di golf.

Non ho idea se la promozione abbia dato e stia dando i risultati sperati da chi l’ha proposta.

Sono però certo che fagocitare soci ai club della zona non farà crescere il golf, ma solo i debiti di tutto il movimento.

Gli unici due modi per riportare in linea di galleggiamento i conti, a tutt’oggi sembrano essere l’aumento del numero complessivo dei giocatori e quello dei green fee venduti.

Sul primo fronte non sono tra quelli che si illudono che portando il golf nelle scuole assisteremo alla moltiplicazione dei frequentatori di green e fairway.

Per i ragazzi giocare a golf resta molto complicato, a meno di poter far conto su una famiglia disposta a fare da tassista al neo giocatore.

I Circoli, tranne sparute eccezioni che si contano sulla punta di due mani, non sono in città e sono praticamente dimenticati dai servizi di trasporto pubblico.

Se non ci sono mamma, papà, nonni o parenti vari, raggiungere anche solo il campo pratica è un’impresa.

Pierino proverà l’ebbrezza del ferro 7 nel cortile della scuola, ma sarà come vedere un documentario sulla maestosità della Luna: bella e irraggiungibile per noi comuni mortali.

Sull’incremento del numero dei green fee bisognerebbe dare il via a una rivoluzione epocale.

Non si tratta di privilegiare gli ospiti giornalieri, ma almeno di aprir loro le porte del Circolo senza se e senza ma.

Il sabato e la domenica – tra Coppe Fragola, Trofeo del Gestore e Challenge dello Zappatore – i campi restano di fatto off limits per chi non abbia intenzione di cimentarsi in gara.

Per i turisti stranieri, quelli che grazie alla Ryder dovrebbero migrare a frotte verso i fairway nostrani, non è un handicap da poco.

Ma con i chiari di luna attuali chiudere i rubinetti delle quote di iscrizione alla gara potrebbe diventare un’arma letale per i bilanci di molti club.

In tutto questo occorre, probabilmente, che la Federazione – che all’articolo 4 del suo Statuto, comma i) specifica di avere il compito di “promuovere e favorire lo sviluppo del golf in Italia” – si smarchi dall’influsso dei club che hanno storia, influenza, voti e potere sedimentati negli anni.

Una sorta di aristocrazia golfistica che ha certamente una sua logica e una sua dignità, ma che non può da sola sovrintendere allo sviluppo del golf del Duemila.

Occorrono scelte coraggiose e controcorrente, come fu il via libera ai campi pratica qualche decennio fa.

I parrucconi del golf mugugnarono, ma il numero dei giocatori subì un’accelerazione potente.

Se vinceranno i mugugni, se il golf sarà indirizzato solo a non scontentare i soci (non importa se rapinati al club vicino) l’orizzonte si farà più stretto e molte realtà dovranno fare i conti con momenti bui.

Se vinceranno la fantasia, la ricerca di nuovi giocatori (in questo i professionisti dovrebbero essere interlocutori e partner privilegiati) e l’apertura verso il turismo golfistico, allora la Ryder potrebbe essere solo il primo gradino di una lunga scala verso il successo.