Si parla spesso di Sudafrica, quasi sempre legato al nome di Nelson Mandela: egli è stato protagonista del più grande cambiamento sociale che una nazione abbia vissuto nel secolo scorso, e per questo ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1993.
Passare dalla segregazione razziale a uno stato democratico nel senso più moderno del termine non è stata una evoluzione indolore e, al vero, neanche ancora del tutto compiuta. L’Apartheid, così si chiama il sistema politico sociale di segregazione razziale istituito ufficialmente nel 1948 (ma le sue radici risalgono addirittura al 1600), è stato abolito solo nel 1994. Per arrivare a questo Mandela si batté tutta la vita e passò anche 27 anni in carcere.
Oggi, pur con grandissime contraddizioni e contrasti, il Sudafrica si sta lentamente avvicinando a una parità sociale. Ma le ‘township’ ancora esistono, sono grandi e rappresentano uno spaccato incredibile di una società che si adatta: illuminazione pubblica, vie che hanno tutte un nome e riferimenti urbanistici ufficiali, viaggiano di pari passo con baracche costruite con ogni genere di rifiuto (pannelli di legno e di plastica, travi di ferro, tetti in lamiera recuperati chissà dove), fognature inesistenti, acqua potabile disponibile solo alle fontane pubbliche all’angolo della strada.
Nella baraccopoli che trovate tra l’aeroporto di Cape Town e il centro città vivono più due milioni di persone ed è nettamente visibile lungo tutto il percorso dell’autostrada: sul lato destro palazzi moderni e zone periferiche ben curate, a sinistra l’immensa baraccopoli.
Ma allora com’è veramente il Sudafrica? Nonostante tutto è bellissimo anche perché questa situazione di lento cambiamento è vissuto quasi come un fatto normale, come una evoluzione talmente complessa che non può avvenire con una legge o con una rivolta. Ma avviene. Per cui andare in Sudafrica può rappresentare, pur con le sue immense contraddizioni, una delle più belle esperienze che possiate vivere.
Ma la condizione indispensabile è essere viaggiatori, non turisti. Scrivo quindi pensando a un pezzo del Sudafrica attento a una natura straordinaria che si mischia all’attaccamento della gente alla terra che ha sempre rappresentato l’elemento base della vita degli Afrikaner, il gruppo etnico bianco discendente dei colonizzatori del 17mo secolo: tedeschi, francesi e soprattutto olandesi, quasi tutti di religione calvinista, numericamente poco rilevanti (non superano il 5% della popolazione) ma detentori di larghissima parte della ricchezza del paese (alcuni studi parlano del 90%).
E Cape Town è l’epicentro di questo mondo: oltre 7.400 milionari vivono qui e la città è il loro specchio. Quindi sicuramente il primo posto da vedere è il Waterfront, porto turistico imperdibile pieno di negozi, musei e ristoranti, specchio di questa ricchezza.
Da qui partono le gite in barca, soprattutto verso Robben Island, l’isola prigione dove fu detenuto Nelson Mandela. Oggi è un museo raggiungibile con mezz’ora di traghetto. La visita dura tre ore ed è condotta da ex prigionieri. L’emozione che ti prende dentro è indescrivibile pensando all’uomo che ha trascorso in questa prigione 27 anni per la causa.
Ma Cape Town è tanto altro, a partire dalla Table Mountain, una montagna che sovrasta la città e, come dice il nome, dalla sommità piatta come un tavolo. La cima, a causa del microclima che caratterizza la Western Cape, è quasi sempre coperta da nubi che ne impediscono la vista. Quindi se vi capita, svegliandovi al mattino, di vedere la sommità di Table Mountain sgombra, abbandonate qualunque cosa abbiate in programma e prendete la funivia (con cabine rotanti) che vi porterà in cima. Non ve ne pentirete: il panorama della città, della catena montuosa che arriva fino al Capo di Buona Speranza e la straordinaria organizzazione turistica che intrattiene i visitatori varranno la giornata spesa lassù.
Da Cape Town dovete poi raggiungere il Capo di Buona Speranza, quello che l’immaginario collettivo immagina essere il posto più a sud dell’Africa. Non è così. Il punto più meridionale è un po’ più in là, 150 chilometri a est: si chiama Capo Agulhas, ma tutti pensano al Capo di Buona Speranza, anche perché lì aleggia la leggenda dell’Olandese Volante che naviga eternamente in quelle acque perché non riesce a doppiarne la punta. Quando sarete sugli scogli, capirete la leggenda e perché una volta si chiamava “Capo delle tempeste”: lì si congiungono le acque degli oceani Indiano e Atlantico.
Si generano onde altissime e tumultuose, di colore diverso e perfettamente visibili a occhio nudo: blu intenso quelle dell’Atlantico, blu scuro (quasi marrone) quelle dell’Indiano. E nel mare di fronte periodicamente capita di vedere che lo scontro tra l’Atlantico e l’Indiano forma una linea quasi retta che separa i due oceani: blu scuro da una parte, più azzurro dall’altra.
Sulla strada del rientro, fermatevi a Boulder Beach: lì dimora una delle poche colonie di pinguini del Sudafrica, piccoli animali alti 60 centimetri che esistono solo in queste zone dell’Africa. Sono animali monogami, nidificano sempre nello stesso posto e quindi la colonia è stanziale da tantissimo tempo.
Ancora è permesso nuotare in mezzo a loro (in tutto il mondo avvicinare gli animali è raramente ammesso in un parco protetto) ma ve lo sconsiglio, anche se loro vivono su una spiaggia di sabbia bianchissima e la tentazione è fortissima: l’acqua dell’oceano è gelida, come in tutto il Sudafrica. Meglio rimandare ad un’altra occasione l’idea di ombrelloni, pedalò e sci d’acqua…
Da qui, in poco più mezz’ora raggiungerete lo Steenberg Farm, un resort cinque stelle poco a sud di Capetown. È una struttura incredibile per il fascino, l’eleganza e la classe del complesso.
La Farm (chiamarla azienda agricola sarebbe fortemente riduttivo) è nata nel 1682 ed è la più antica della zona di Constantia. L’attività era concentrata sui vigneti e sulla produzione di vini.
Poi nel corso del tempo l’attività si è sviluppata senza mai perdere l’atmosfera delle origini: ha conservato il suo clima esclusivo, con un servizio di grandissimo livello e nel tempo è nato un resort con uno charme ben lontano del lusso stereotipato dei grandi alberghi di catena.
Qui ci si sente avvolti da un’atmosfera quasi irreale, coccolati in qualunque momento: l’hotel, il ristorante, la magnifica SPA, l’attività vinicola con visite guidate e degustazioni, e il golf hanno la stessa atmosfera elegante, riservata e – questo lo sottolineano – sicura. Il golf, pur essendo aperto al pubblico, è una associazione privata molto esclusiva: lo statuto limita a 575 i soci, dei quali 225 devono essere titolari di abitazioni nella zona immobiliare e solo la parte rimanente può essere allocata ad esterni. Come si vede, anche il golf mantiene quel carattere di esclusività di tutto il complesso.
Il campo è un 18 buche disegnato Peter Matkovich & Hayes, tra l’altro progettisti anche dell’Heritage Golf di Mauritius. Lo stile di Matkovich è quello di sfruttare tutte le caratteristiche del territorio, senza stravolgerne la natura. Qui ha trovato la sua sublimazione facendo correre le buche tra la foresta di pini di mare, corsi d’acqua naturali e vigneti.
Quelle tra i filari di vigne sono quelle che mi hanno colpito di più. È incredibile giocare avendo le vigne appena fuori dal basso rough e la Table Montain sullo sfondo: la serenità è la sensazione che ti colpisce di più. La Signature Hole è certamente la buca 7, un par 3 con il green su una protuberanza circondata per tre lati dall’acqua. Ma da ricordare è anche la 14, con il green profondo 140 metri, il più lungo d’Africa, che accoglie i tiri di un par 3 da 166 metri.
Un campo entusiasmante, divertente ma non troppo facile: l’acqua entra in gioco spesso con ruscelli e laghi e numerose sono le waste area che vi complicheranno la vita.
La Garden Route
Da qui parte il nostro viaggio su quello che è il più classico percorso turistico del Sudafrica: la Garden Route. È un viaggio comodo con l’auto a noleggio (ricordate che si viaggia a sinistra, come in tutti i paesi britannici), con traffico limitato e ordinato e con tratte abbastanza brevi tali da permettervi visite lungo il percorso.
La destinazione è il Stellenbosch Golf Club: circa un’ora di viaggio, nella Winelands, che fa sempre parte della Western Cape. È un percorso molto piacevole che si infila in diversi tipi di paesaggi naturali: dalla macchia arbustiva a foreste e ambienti boschivi, passando nei pressi della riserva di Jonkershoek.
Numerosi ruscelli e corsi d’acqua, piscine naturali e cascate caratterizzano il parco, ma anche la flora è impressionante: oltre 1.000 specie di piante sono registrate nella riserva. Avvicinandosi alla località di Stellenbosch i vigneti tornano a farla da padrona.
Qui il vino diventa un business fondamentale per la vastità della produzione: tra i rossi dominano il Cabernet Sauvignon, il Merlot ed un eccellente vitigno sudafricano denominato Pinotage (incrocio tra Pinot Noir e Cinsaut), mentre tra i bianchi troviamo lo Chardonnay fermentato in legno e il Sauvignon Blanc.
Vini per buona parte di origine francese, eredità di passate occupazioni, curiosamente testimoniate anche dalla presenza di una casa vinicola che si chiama Chamonix che si trova nella valle di Franschoek, a poche decine di chilometri.
La filosofia è ovunque quella del ‘terroir-driven’, ossia pochi interventi in cantina e forte attenzione all’espressione del terreno di coltivazione. Ma anche massima attenzione al mercato, tant’è che tutto il vino viene imbottigliato con tappi a vite o a corona per evitare il rischio di contaminazioni da tappi in sughero difettosi che porterebbero a perdite economiche devastanti.
Alla mia domanda “Quali vini invecchiate?” La risposta è stata “Nessuno perché non possiamo permetterci di lasciare importanti capitali fermi”. Un ragionamento ineccepibile e fortemente ‘marketing oriented’. La cittadina di Stellenbosch, poco meno di 120.000 abitanti, è una delle più antiche del Sudafrica e l’omonimo campo da golf è ai confini sud est dell’area urbana, con alcune buche inserite anch’esse tra filari di vigne. È una struttura del 1904, nato come 9 buche e trasformato nelle attuali 18 nel 1953 per mano di Ken Elkin. Ospiterà nuovamente il SA Open Championship nel 2026, dopo averlo già avuto nel 1999.
La club house è molto moderna e costruita in uno stile contemporaneo con un ristorante assolutamente all’altezza. Il campo è in un ambiente collinoso sulle pendici iniziali delle Helderberg Mountains e quindi piuttosto mosso nelle prime nove buche pur senza essere troppo faticoso, mentre quelle aggiunte nel 1953 sono tutte su un terreno pianeggiante e meno impegnativo. L’acqua entra in gioco solo su quattro buche (2,5,12,e 18), mentre aspettatevi un inizio di fuoco con quattro par 4 con lunghezze vicine ai 400 metri.
Se non è la lunghezza della buca che vi preoccupa, può darsi che ricorderete la terribile 8, par 5 denominata ‘Snakes and Grapes’ (Serpenti e Grappoli d’uva) dove uno slice spedirà la palla nei grossi cespugli a destra, mentre un gancio vi farà perdere la palla nei vigneti sulla sinistra.
L’ultimo campo è sempre sulla Garden Route ma parecchio più in là, nei pressi di Port Elisabeth, ai limiti a est della Western Cape. Sto parlando di Pezula, un campo dal colpo d’occhio meraviglioso sull’Oceano Indiano.
Ci sono cinque ore di viaggio da Stellenbosh per arrivarci, e si passa vicino a tantissimi campi meravigliosi degni di essere visitati: Pearl Valley, De Zalze, Paarl, Francourt, Franschoek… Varrebbe la pena di vederli tutti, ma lo spazio sul giornale (e il tempo di un viaggio) è sempre poco, per cui bisogna fare della scelte.
Per chiudere ho quindi privilegiato il Pezula Golf Course, a Knysna, paese della costiera oceanica, noto per essere luogo di soggiorno per anziani sudafricani che scelgono questa località per il clima mite. Il primo insediamento europeo di cui si abbia notizia risale al 1770 quando qui si stabilì Stephanus Jesaias.
L’economia era rappresentata dall’allevamento e dal commercio di legname e avorio, mentre oggi la zona vive di pesca delle ostriche e prevalentemente di turismo: il campo di Pezula nasce con l’operazione immobiliare che circonda il campo. Classificato tra i venti migliori del Sudafrica, è un percorso che occupa oltre 250 ettari sulla cima delle scogliere di Knysna e si affaccia sia sull’oceano sia sulla laguna omonima.
Disegnato da Ronald Fream (creatore del campo delle Terme di Saturnia, del Sentosa e del Tanai Mera di Singapore) e da David Dale (progettista dello Shore Gate Golf in New Jersey, dell’Eagle Ridge Golf in California), è un campo molto impegnativo per la presenza di una estesa macchia oceanica e da una vegetazione molto poco ‘friendly’.
Il vento incide in maniera importante: mettete in conto di vedere la vostra pallina volare ovunque meno dove sperate che vada. Soprattutto nelle buche 1, un par 5 dove il pro vi consiglia di giocare solo ferri, e nelle 14 e 16 dove il suggerimento è quello di avere una scorta di palline.
Quando vedrete poster pubblicitari del golf in Sudafrica, ce ne sarà sicuramente uno con un green circondato da numerosi bunker e con lo sfondo blu dell’oceano: ecco quella è la buca 14 di Pezula. Lì c’è sempre un vento pazzesco: la mia palla, dopo un drive forse troppo alto, si è fermata in cielo ed è tornata indietro. Lì ho capito perché gli inglesi giocano palle basse quando sono controvento.
Ma quella buca da sola vale tutto il viaggio. È un campo difficile, che non perdona e che farà incrementare gli affari del vostro pro-shop, ma darei non so che cosa per tornarci.
LA GUIDA
CAPE TOWN
Steenberg Hotel & Spa
Tokai
Cape Town 7945
Tel. +27 21 713 2222
Mail: reservations@steenberghotel.com
Steenberg Golf Estate
1111 Steenberg Estate
Tokai Road, Tokay
Cape Town 7945
Tel. +27 (0) 21 713 2233
STELLENBOSCH
Asara Wine Estate & Hotel
Polkadraai Rd, Baden Powell Dr
Stellenbosch 7600
Stellenbosch Golf Club
Strand Rd
Stellenbosch 7599
Tel. +27 (0)21 880 0103
Mail: bookings@stbgolf.com
KNYSNA
Pezula Nature Retreat
Lagoon View Dr.
Sparrebosch, Knysna
Tel. +27 44 302 3333
Pezula Golf Club
1 Lagoon View Dr
Sparrebosck – Knysna
Tel. +27 (0)44 302 5310
Mail: golf@pezulagolf.com
Green vista oceano sulla Garden Route