Il 153º Open Championship a Royal Portrush non è stato solo il palco del dominio di Scottie Scheffler, ma soprattutto la celebrazione di un figlio del posto: Rory McIlroy. Nato a solo un’ora di macchina da quelle dune, il nordirlandese ha ritrovato in quei giorni l’abbraccio sincero di casa, trasformando ogni swing in una dichiarazione d’amore per il suo territorio.

McIlroy non ha vinto, ma la sua presenza è stata la vera vittoria

Una serie di colpi ispirati, lampi di genialità – su tutti, l’eagle alla buca 12, accolto da un boato che “è stato tra i più forti mai uditi su un campo da golf”  – e un’energia contagiosa hanno trasformato ogni giornata in un evento collettivo.

Il terzo giro ha regalato un momento bizzarro: una seconda palla è spuntata dal rough proprio mentre McIlroy eseguiva il colpo, creando un’immagine surreale che ha incuriosito e divertito pubblico e commentatori. Nessuna distrazione: il campione ha risposto con eleganza, archiviando il bogey con un eagle immediato. Un segno del suo equilibrio.

Sul campo, Rory ha giocato con la consapevolezza di chi sa di non dover strafare: il 66 di sabato è stato il suo biglietto per la ribalta finale, anche se la sfida per il Claret Jug era svanita già davanti a Scheffler. 

Ma è stato il calore della folla a restare impresso

Diecimila volti, 20 file di tifosi, un boato che ha accompagnato ogni suo passo. “Sento l’appoggio di un’intera nazione là fuori” ha detto McIlroy, visibilmente commosso. Un affetto che ha raccolto e abbracciato con quel sorriso discreto ma pieno di gratitudine, diversamente da Portrush 2019 – quando un 79 iniziale aveva generato tensione e rimpianto.

La sua settimana a Portrush sarà ricordata come la “lap of honour”: senza vittoria, ma carica di significati.

Un campione che, pur senza calare il volume, ha conquistato la scena con eleganza. Un uomo che ha saputo trasformare la pressione in calore, il tifo in energia. Il pubblico lo ha ricompensato con ovazioni e orgoglio condiviso, dimostrando che in certi luoghi non conta soltanto il trofeo, ma l’identità di chi lo gioca.

E mentre Scheffler si è portato a casa il Claret Jug, McIlroy ha portato a casa qualcosa di altrettanto prezioso: il cuore della sua terra, la certezza che l’onore di rappresentarla può essere – se non un trofeo – un trionfo senza tempo.

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